Brindisi, campagna elettorale di veleni, ingerenze e malavita: peggio di prima

di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine

Questa campagna elettorale, iniziata nel peggiore dei modi con l’arresto del responsabile tecnico della Brindisi Multiservizi e con la rinuncia alla candidatura di due ex assessori comunali (Pasquale Luperti e Marika Rollo) prosegue sinistramente, come mai era accaduto in questa città.
Due sono i motivi che contribuiscono a rendere preoccupante la situazione: da un lato la presenza di personaggi, più o meno noti, più o meno compromessi, più o meno ingombranti che – spalmati nelle varie liste e nelle diverse coalizioni – alimentano un clima di sospetti, di veleni e di timori, alcuni dei quali tutto sommato fondati. Dall’altro la tendenza esplicita di elementi orbitanti (attualmente o nel recente passato) in ambienti malavitosi a divenire bandiera della campagna elettorale degli aspiranti sindaci, con una teatralità che mai finora si era verificata e che diviene ancora più lampante alla luce delle ultime indagini della Digos.
Eppure i presupposti con i quali i famosi 17 sfiduciarono la sindaca Angela Carluccio erano ben declinati e declamati: far crollare un’Amministrazione che pure non aveva alcuna macchia giudiziaria per ricostruire una nuova classe dirigente per questa città, lontana dai compromessi, dalle ambiguità. E possibilmente dalla malavita. Un programma da applausi, se fosse stato davvero perseguito.
La vigilia, si diceva, è stato un primo – grave – campanello d’allarme. Qual è la teoria con cui la procura ha posto fine (almeno per il momento) a quello che era considerato una sorta di “sistema Luperti”? Non certo grande strategia politica, intendiamoci. In pratica – sostiene l’ipotesi accusatoria – quando Luperti era assessore della giunta Consales aveva piazzato il suo fraterno amico Daniele Pietanza (pur se privo di adeguati titoli) come responsabile del personale della società partecipata Brindisi Multiservizi. Tra lavoratori e famiglie, un bacino di circa mille preferenze. Un patrimonio che Pietanza avrebbe indirizzato verso l’ex assessore, condizionando il voto con la sottile minaccia del rischio di non ricevere lo stipendio alla fine del mese. Come avrebbe esercitato questa pressione Pietanza? Attraverso audio messaggi elettorali che un dipendente (che ha precedenti penali alle spalle) ha inviato attraverso whatsapp “invitando” a votare per Luperti.
Tutto il materiale, compresi gli audio, è stato acquisito dalla magistratura. Ipotesi di reato nei confronti di Pietanza, del dipendente-speaker ma non di Luperti perché non esiste sul piano formale alcuna prova che effettivamente l’ex assessore fosse a conoscenza di queste pressioni e che poi i voti siano stati davvero canalizzati verso di lui. Nelle ore successive all’operazione della Digos e in virtù delle forti pressioni politiche scatenate dalla vicenda, Luperti ha cancellato il suo nome che era già stampato nella lista elettorale e ha deciso di rimanere a casa.
Doveva essere una spallata importante al vecchio sistema perché in una situazione di normalità l’intervento della magistratura riporta l’ordine e ripristina la legalità. Invece dai segnali captati negli ultimi giorni, e sui quali la Digos sta lavorando sulla scia dell’inchiesta precedente, l’uscita di scena di Luperti (e del suo riferimento Pietanza nella Multiservizi) ha di fatto “liberato” un migliaio di voti che vengono evidentemente considerati un pacchetto troppo appetitoso per poterli lasciare alla discrezionalità degli elettori e a una scelta democratica e libera da condizionamenti. E così da giorni hanno preso a circolare nuovi messaggi whatsapp che sono autentiche arringhe elettorali ma che, a giudizio degli investigatori, non sembrerebbero discostarsi troppo da contenuti e toni di quelli che un tempo sostenevano Luperti. E che seguono più o meno gli identici canali di diffusione (gruppi di chat telefoniche).
L’altro segnale estremamente preoccupante giunge dal lavoro di distribuzione effettuato nei quartieri periferici dei cosiddetti “santini” elettorali, con il nome dei candidati alla carica di sindaco o di consigliere comunale. Si tratta ovviamente di un’attività del tutto lecita, ma dal lavoro di schedatura dei personaggi maggiormente “sponsorizzati” in determinate zone e dalla caratura di chi organizza la distribuzione dei volantini, emergerebbe un quadro che la Digos sta seguendo con grande attenzione. L’obiettivo è quello di monitorare preventivamente le situazioni a rischio e di insinuarsi laddove è più tangibile la possibilità della compravendita di voti. Eventualità maggiormente percorribile in quelle zone in cui il tessuto economico e sociale è più facilmente condizionabile.
Insomma ci si aspettava la campagna elettorale e poi una amministrazione le più pulite e trasparenti della storia brindisina e invece già da queste avvisaglie si ha il timore che la situazione sia già compromessa prima che il nuovo sindaco si sia insediato a Palazzo di Città, chiunque esso sia e da qualunque coalizione venga sostenuto.
E come se non bastasse ciò che si muove sotto traccia, ci pensano anche ingombranti personaggi del recente passato i quali, invece di mantenere un profilo basso, irrompono a piedi uniti nella misera campagna elettorale cui stiamo assistendo, con toni che non potrebbero essere consentiti già a esordienti della politica dal casellario giudiziario immacolato, figurarsi a chi ha accumulato arresti, condanne e un debito milionario con il Comune per i danni provocati. Ecco il testo del messaggio diffuso qualche giorno fa da Giovanni Antonino sulla sua pagina Facebook: “Quante persone, che oggi si sono defilate, dopo il 10 giugno verranno a omaggiarmi. Il Pri sarà una forza di governo, con un suo gruppo consiliare e una sua rappresentanza in giunta. E mio figlio Gabriele sarà stato eletto consigliere comunale. Ma le troveranno rigorosamente chiuse. Questa volta non ci saranno mezzi termini: o con me o contro di me. Si fa ancora in tempo…”.
Un messaggio talmente vaneggiante e dai toni minacciosi che a molti ha fatto pensare che la pagina di Facebook fosse stata hackerata (sì perché in questa campagna elettorale in cui non ci facciamo mancare niente sono coinvolti anche noti hacker già schedati dalla polizia e che sostengono pubblicamente altri candidati sindaco). E invece, dopo la prevedibile indignazione di chi l’ha letto, e l’immancabile strumentalizzazione degli avversari politici, Antonino se n’è uscito con la semplice frase “Ho fatto una cazzata”. Ha cancellato il post e ha continuato la sua promozione porta a porta, come si faceva un tempo, accompagnando il figlio Gabriele, candidato ufficiale di famiglia. Perché lui, il padre, ha giurato settimane fa di esserne uscito.
Veleni, sospetti, l’ombra della malavita e quella della vecchia guardia politica che ha invaso tutti gli schieramenti elettorali rendono questa campagna elettorale non solo priva di sollecitazioni, idee, proposte, progetti, ma inquinata al punto da renderla insopportabile, logorante. E buia. Nelle ultime ore il candidato Roberto Cavalera aveva avuto la geniale idea di paragonare il già citato Antonino all’ex sindaca Angela Carluccio. Quest’ultima, persona onesta e trasparente, ha fatto notare al novello aspirante sindaco di non avere nulla, ma proprio nulla a che spartire con il pluriarrestato primo cittadino. Lo stesso Cavalera ha poi deciso unilateralmente di rinunciare a tutti i confronti pubblici con gli altri candidati. Ferruccio Di Noi, candidato per Impegno sociale, sarebbe intenzionato dal canto suo a non presenziare ai pubblici comizi proprio per l’aria pestifera che si respira in queste settimane. E non solo politica.
Doveva essere l’anno della svolta e della nuova politica. Ma l’unica novità potrebbe essere che la magistratura stavolta entri a Palazzo di città ancor prima che il nuovo sindaco si sia insediato. Con la conseguenza che poi toccherà di nuovo al prefetto la mossa conclusiva.