Ma per Ettorino gli invisibili eravamo noi

di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine

No, Ettorino non era un clochard. I barboni sono quelli che annaspano nei cartoni spalmati sulle panchine, che rullano le nocche al portoncino di legno della Caritas, che raccattano monetine color rame per comprarsi la scatoletta di tonno all’Eurospin. Gli homeless sono così invisibili che ti passano accanto per una vita e non ti accorgi neanche che esistono, che vivono senza lasciare alcun segno e quando muoiono servono solo a risvegliare il sincopato senso di colpa dei solidali last minute, quelli del “rip” timbrato su Facebook con la lacrimuccia.
Ma Ettorino Epicoco, morto la notte di Natale nella stazione ferroviaria, non era un invisibile né un uomo abbandonato al suo amaro destino di solitudine. Era seguito, gli avevano assegnato persino un “amministratore di sostegno”, un avvocato che gestiva la sua pensione di 289 euro al mese cercando di evitare che la spendesse tutta in bottiglie di vino. Poteva pranzare alla Caritas e utilizzare il dormitorio, era seguito da amici e da volontari che si preoccupavano per la sua salute. Aveva vestiti puliti e a volte persino eleganti. Recentemente avevano trovato posto per lui in una comunità di Irsina, in provincia di Matera, per disintossicarlo dalla sua cronica dipendenza dall’alcol. Ma, come racconta il suo stesso tutor, appena sembrava rinato lasciava la struttura e tornava a Brindisi per ubriacarsi e ricominciare.
La stessa scelta l’aveva fatta pochi mesi fa quando, ricoverato in una Comunità riabilitativa assistenziale psichiatrica di Brindisi, quasi subito, aveva spalancato la porta e se n’era tornato per strada, riprendendo posto sulla panchina all’incrocio fra i corsi, con l’immancabile vino in tetrapak. Sembrava quasi che lo stare bene lo facesse sentire male.
Quattro anni fa, quando si era sparsa la voce che fosse morto, il web si era scatenato per cercarlo, attraverso la sua pagina Facebook. Sì, perché qualcuno aveva creato per lui una pagina “fan” con oltre 2.500 follower. Esiste ancora, con una raccolta di foto e di video, realizzati persino nel corso di una manifestazione studentesca durante la quale, al microfono, Ettorino cercò di spiegare – a modo suo – che bisognava protestare.
In realtà quella volta non era morto, ma lo si scoprì qualche settimana dopo, quando ricomparve a Brindisi dopo un lungo ricovero in una casa di cura a Racale. Sempre per lo stesso motivo. L’alcol.
Nella sfortuna di essere completamente solo, Ettorino è stato amato e coccolato da tanti, forse come nessuno mai a Brindisi tra i disperati che scelgono la strada come casa e che vengono dimenticati dalla famiglia. Nonostante le ubriacature perenni, le frasi sconce, gli atti ai limiti della decenza. Non è stato un “eroe” positivo, come lo era il mimo York, ma per una volta la morte di un poveraccio non è stata figlia dell’indifferenza. “Sono nato per strada e voglio morire per strada”, diceva. E così è stato. Gli invisibili, per lui, eravamo noi.