Indagini sul Porto: nel mirino della Finanza finisce anche la security

di GIANMARCO DI NAPOLI per IL7 Magazine

L’indagine della guardia di finanza sulle opere abusive realizzate all’interno del porto di Brindisi sale all’improvviso ai “piani superiori”: non si parla più solo di strade create utilizzando rifiuti, oppure tracciate su una parte della zona archeologica. Questa volta gli uomini del Nucleo di Polizia economico-finanziaria delle Fiamme gialle, coordinati dal pm Raffaele Casto, puntano la lente d’ingrandimento sul progetto di completamento della security all’interno del porto di Brindisi, con particolare attenzione alle opere edificate tra il 2015 e il 2016.
Tra queste rientra la “misteriosa” struttura destinata a ospitare gli uffici di guardia di finanza, dogana e vigilanza privata realizzata quasi a ridosso della spiaggia di Sant’Apollinare e che non è mai entrata in funzione. Per il momento è stata sottoposta a sequestro la grande tettoia in ferro e cemento armato che sovrasta l’edificio e che sarebbe abusiva. Sigilli anche a un vicino muro di contenimento che costeggia la carreggiata in corrispondenza dell’ampliamento stradale vicino alle vasche dell’impianto Aventis. E per completare il quadro, le fiamme gialle hanno sequestrato e chiuso al traffico il tratto di strada della zona industriale che, esternamente all’area di security, conduce da Costa Morena al terminal di Sant’Apollinare. In sostanza si tratta della vecchia strada, che tutti i brindisini oltre i 50 hanno percorso tutte le estati, sino all’inizio degli anni Settanta, per giungere alla storica spiaggia.
I REATI. Gli accertamenti effettuati dagli inquirenti hanno fatto emergere presunti abusi edilizi e svariate ipotesi di falso in atto pubblico che sono al vaglio della Procura. L’indagine insomma sembra essere ancora agli inizi
Il nuovo filone dell’inchiesta va a lambire gli ultimi lavori, che suscitarono non poche perplessità, non fosse altro perché preclusero ai cittadini ogni via d’accesso alla spiaggia di Sant’Apollinare e all’attigua villa Monticelli: seppure non più balneabile, la zona era rimasta profondamente nel cuore dei brindisini proprio per la sua forte componente storica.
Attualmente si accede ai punti d’imbarco di Punta delle Terrare attraverso Costa Morena ovest, passando accanto al Terminal privato realizzato alcuni anni fa e che supplisce all’assenza di una stazione marittima pubblica, in attesa che venga realizzato (ma ancora non è stato iniziato e anche su questa vicenda la guardia di finanza ha acquisito recentemente la documentazione) il terminal “Le vele”. Ma un paio d’anni fa, mentre era in corso di realizzazione il progetto di security, qualcuno ha deciso che il percorso doveva essere mutato e l’accesso agli imbarchi non dovesse più passare da Costa Morena e dal terminal privato della società “Il mondo” ma transitare dalla vecchia strada che portava a Sant’Apollinare e poi, attraverso una nuova arteria e un ponticello sopra il fiume Piccolo, giungere sino a Punta delle Terrare.
Questa parte della strada era stata sequestrata alcuni mesi fa quando venne accertato che una parte di essa era stata realizzata in piena zona archeologica. Ora, con il nuovo provvedimento del giudice, essa viene totalmente posta sotto sequestro, così come il ponticello su cui essa transita per unire la zona di Sant’Apollinare a Punta delle Terrare bypassando Fiume Piccolo.
L’INCOMPIUTA. Ma il vero mistero di questa incompiuta è rappresentato dal punto d’accesso e di controllo che era stato previsto con le modifiche del piano delle security. Parliamo di quello che viene chiamato convenzionalmente “varco 9” e che di fatto avrebbe dovuto sostituire l’accesso sorvegliato a Costa Morena Ovest. Lungo la strada che conduceva alla spiaggia è stato realizzato uno sbarramento con i cancelli: qui, a rigor di logica, avrebbe dovuto essere realizzato il piccolo edificio di sorveglianza che avrebbe dovuto ospitare gli enti delegati ai controlli: Finanza, Agenzia delle Dogane e vigilanza privata (quest’ultima con attività di portierato). Ma, inspiegabilmente, la struttura è stata realizzata all’interno, e non lungo il circuito che verso destra conduce a Punta delle Terrare, ma sulla sinistra, proprio sulla ex spiaggia, in direzione del grande spiazzo in cui papa Benedetto XVI celebrò la sua messa.
Ovviamente per rinnovare integralmente la strada che conduceva a Sant’Apollinare (chiamata convenzionalmente “nuova strada ex Sisri”), creare il “varco 9” e costruire l’edificio con tettoia in cemento armato sono stati spesi fior di quattrini. Finora inutili, visto che il varco era chiuso e comunque non utilizzabile, proprio perché non poteva essere sorvegliato visto che l’edificio per i controlli era stato posizionato da tutt’altra parte.
Ora tutto, ed è questa la novità, l’intero circuito stradale di Sant’Apollinare è stato posto sotto sequestro: il cancello al livello del mare che dal grande piazzale confina con l’ex spiaggia, la tettoia dell’inutile edificio di sorveglianza, l’intera strada (recentemente trasformata in viale a doppia carreggiata) che da Costa Morena Ovest conduce a Sant’Apollinare. E poi, ancora, la sua prosecuzione oltrepassato il “varco 9”, nella zona a tutela archeologica.
Per la strada “Nuova Sisri” (quella che un tempo portava alla spiaggia di Sant’Apollinare) gli inquirenti hanno rilevato che alcuni pareri e autorizzazioni sono stati rilasciati prima della redazione del progetto esecutivo. E che quest’ultimo prevedeva che la sede stradale dovesse avere un’unica corsia di marcia per il transito di automezzi, e una corsia riservata, per ciascun senso di marcia, con riduzione della sezione stradale da 17 a 15 metri (al fine di non interferire con le proprietà limitrofe e gli impianti dell’azienda Sanofi Aventis, nonché con le dotazioni impiantistiche del metanodotto Snam. Prescrizioni che non sono state rispettate
Inoltre gli accertamenti effettuati hanno consentito di riscontrare la presenza di una tettoia in cemento armato, inesistente anche nel progetto esecutivo, costruita tra il luglio e l’agosto 2015. Anche queste opere invadono poi la fascia di rispetto dell’area sottoposta a vincolo archeologico.
IL FASCICOLO. Dalla documentazione raccolta dal pm, emergerebbe dunque – da un lato – la presenza di opere diverse da quelle regolarmente autorizzate, e dall’altro l’invasione di una zona riconosciuta come “di particolare interesse archeologico”
La nota informativa della guardia di finanza è piuttosto scarna ma contiene passaggi molto chiari che non hanno bisogno di grandi interpretazioni: “Secondo gli inquirenti, l’edificazione delle opere pubbliche in sequestro sarebbe potuta avvenire solo dopo il rilascio dei titoli abilitativi, urbanistico e paesaggistico, da parte degli Enti competenti”.
Fino a questo momento l’Autorità portuale aveva operato in un regime di totale autonomia in quanto ad autorizzazioni edilizie, sostenendo il principio di essere competente in toto e di non doversi necessariamente assoggettare alle direttive dell’Amministrazione comunale. Evidentemente è una teoria che ha parecchie falle, anche sul piano delle autorizzazioni da parte della Soprintendenza ai Beni Archeologici sotto la cui tutela è posto l’insediamento protozoico (la presenza umana più antica documentata a Brindisi) di Punta delle Terrare.
LE ORIGINI. L’inchiesta era nata da tutt’altra questione e in modo quasi casuale: militari della Capitaneria di porto, nel corso di una normale verifica effettuata il 6 dicembre dello scorso anno, hanno notato la presenza di numerose tonnellate di materiale inerte e individuata una strada, di recente realizzazione, lunga circa 200 metri, larga cinque, che conduce a Villa Monticelli, l’abitazione che un tempo si affacciava sulla spiaggia di Sant’Apollinare. La strada era stata realizzata con materiale frantumato di varie dimensioni di rifiuti inerti verosimilmente provenienti dallo svellimento di opere in muratura. Vi erano infatti pezzi di piastrelle, mattoni, tufi, cemento, marmo, plastiche, vetro e materiali ferrosi.
Ma la vera sorpresa arrivò poco lontano quando venne notata una nuova strada di raccordo all’interno dell’area portuale, una parte della quale era stata realizzata addirittura sul parco archeologico di punta delle Terrare, in zona protetta da vincoli severissimi, con una variante per la quale la responsabile della sovrintendenza, interrogata dalla guardia di finanza, ha assicurato di non aver fornito alcuna autorizzazione.
Nell’inchiesta condotta dal Nucleo di polizia tributaria della Finanza risultano allo stato indagati il direttore dei lavori Gianluca Fischetto, l’imprenditore che li ha realizzati, Gaetano Giordano, il dirigente del settore tecnico dell’autorità portuale Francesco Di Leverano (responsabile del procedimento), il funzionario del Comune di Brindisi Antonio Iaia e la referente locale della Sovrintendenza, Antonella Antonazzo, incaricata di effettuare il monitoraggio archeologico.
La procura, autorizzata dal giudice, nei mesi scorsi ha effettuato una serie di intercettazioni telefoniche. Che evidentemente hanno aperto la strada a nuove indagini.