La Sindrome di Fregoli e degli auto allenatori

di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine

Le elezioni amministrative che Brindisi si prepara ad affrontare, tra le tante stranezze determinate dalla creazione di alleanze e ticket che neanche Nostradamus avrebbe potuto prevedere (chi mai avrebbe immaginato di vedere attovagliato Giovanni Antonino con il notaio Michele Errico, uno dei principali ispiratori dei suoi guai giudiziari e del suo arresto?), vi è una tendenza che potremmo paragonare alla cosiddetta “sindrome di Fregoli”. La patologia che porta questo nome comporta nel paziente la convinzione che le persone conosciute modifichino il loro aspetto per non essere riconosciute. Volendola riportare ad alcuni politici nostrani, la loro “sindrome di Fregoli” è parallela: tentano di farsi sostituire da altre persone per non essere riconosciute.
A inaugurare la nuova tendenza (non s’offenderà se lo citiamo di nuovo) è stato l’ex sindaco Giovanni Antonino il quale dopo aver genialmente ripescato lo storico marchio del Pri e averlo testato nelle recenti Politiche, ha annunciato in vari step il suo addio alla politica e il passaggio del testimone al figlio. Operazione suggestiva e anche ammirevole, se in realtà lui, Antonino-padre, non fosse perennemente presente durante tutta la campagna elettorale, perché proprio non riesce a contenersi. Del resto se avesse saputo farlo, forse avrebbe seguito tutt’altro destino.
Un’analoga scelta ha compiuto il suo alfiere d’un tempo, l’ex assessore plenipotenziario Ermanno Pierri che all’inizio di questo millennio era “mister preferenze” e che fu poi travolto dal medesimo vortice antoniniano. Anch’egli, così come aveva fatto alle precedenti amministrative, ha preferito mandare in pista il figliolo, rimanendo a tenere le fila del partito, ma solo negli incontri privati. Restando così fregolinianamente estraneo alla campagna elettorale.
Sia Antonino che Pierri hanno da un lato i loro comprensibili motivi per restare fuori, almeno ufficialmente, dalla macchina elettorale. Ma possono comunque permettersi di gestire ugualmente partiti o movimenti politici avendo alle spalle una lunga militanza politica nel corso della quale, con successi eclatanti e altrettanti clamorosi errori, hanno comunque rivestito un ruolo apicale nelle vicende politiche e amministrative di questa città.
Esiste invece un caso di “sindrome di Fregoli” totalizzante ed è quella del candidato sindaco perdente alle ultime amministrative, Fernando Marino. L’imprenditore nativo di Martina Franca due anni addietro, nonostante ne fosse completamente digiuno, decise di entrare in politica. Ed ebbe la fortuna di poterlo fare dalla porta principale, preso sotto braccio dal governatore della Puglia, Michele Emiliano, supportato dal Pd e da una coalizione che a Brindisi prometteva sfaceli. Ma perse clamorosamente, ribaltando ogni previsione, vanificando una campagna elettorale faraonica e facendo prendere una scoppola memorabile e imprevista a Emiliano che da quel momento ha girato alla larga da questa città.
Marino si è distinto in questi due anni per una sola azione politica: quella di aver guidato e ispirato il drappello che mise fine all’amministrazione di Angela Carluccio, colpevole solo del fatto di averlo battuto.
La scorsa estate, quando erano in corso le trattative per formare le coalizioni in vista dell’elezione del nuovo sindaco, a Marino è stato fatto capire subito che dalle parti del Pd non volevano neanche sentirlo nominare.
Dopo aver sondato invano l’aria che tirava nel centrodestra, illudendosi che almeno dall’altra parte potessero offrirgli la poltrona, e aver capito che non c’era trippa per gatti, ha deciso di crearsi un movimento tutto suo, chiamandolo “Brindisi in alto”, scelta che ha fatto legittimamente ravanare tra gli zebedei i notoriamente superstiziosi appassionati di basket. E’ stato in realtà iun ulteriore tentativo di candidarsi a sindaco, pensando di ricreare intorno a sé un grande centro che, in quel preciso momento, è sgattaiolato via accasandosi ora a destra ora a sinistra, ma a debita distanza da lui.
Rimasto solo, Marino aveva una grande occasione. Quella di mostrare di avere coraggio, come ha fatto Ferruccio Di Noi, testardamente alla guida di Impegno sociale, disposto a candidarsi da solo pur di rimanere lui sì coerente, e al quale lo stesso Marino aveva giurato alleanza eterna.
Invece l’imprenditore delle auto di lusso ha svoltato ancora una volta e senza servosterzo. E’ rientrato nel centrodestra, con una sua lista, ma senza metterci neanche la faccia. Leader di un movimento senza mai aver guidato nulla. “Sarò l’allenatore”, si ostina a dire con il suo consueto parafrasare il linguaggio sportivo, settore nel quale invece bazzica da tempo. Ma in cui evidentemente non ha completamente chiari i ruoli.
Gli allenatori sono di due tipologie: o sono stati grandi giocatori che trasferiscono alla squadra ciò che hanno imparato in passato sul campo. Oppure sono tecnici che hanno seguito corsi di studio, sostenuto esami, affrontato il lento salto da una categoria all’altra.
Marino, si è auto definito «allenatore», senza aver mai avuto modo di scendere in campo, perché la sua candidatura a sindaco fu bocciata e spuntò solo uno scranno nell’opposizione. E senza mai seguito lezioni di politica, non avendone mai fatto parte.
Avrebbe potuto almeno tentare di fare il capitano, mettendosi in gioco e candidandosi in cima alla lista, così come ha fatto ostinatamente (e coraggiosamente) il notaio Errico. Ma fingersi allenatori è più comodo: persa la partita si può sempre dare la colpa allo spogliatoio.