Tombati anche i fantasmi: la Procura salva la “prima” Brindisi

di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine

Non solo abbandonato a se stesso, inglobato in un’area portuale alla quale i cittadini non hanno più accesso. Ora anche ripetutamente violato, al punto da far scattare i sigilli penali: l’insediamento protostorico di Punta delle Terrare, nei pressi della storica spiaggia di Sant’Apollinare e della villa Monticelli-Skirmut, ossia l’area in cui nacque di fatto Brindisi con il primo abitato e le prime forme di civiltà, è da qualche giorno sottoposta a un duplice sequestro probatorio delegato dalla Procura di Brindisi ed eseguito dagli uomini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della guardia finanza e del Nucleo di Polizia ambientale della Guardia costiera di Brindisi.

I SIGILLI. Il sequestro ipotizza la commissione di reati ambientali (gestione non autorizzata di una discarica) e urbanistici, in un’area sottoposta a vincolo archeologico, con l’esecuzione di opere su beni culturali in assenza di autorizzazione. Inoltre delitti contro la pubblica amministrazione, in particolare, frode nelle pubbliche forniture.
Il sequestro probatorio disposto dalla procura riguarda terreni per 33mila metri quadri e due fabbricati, ossia l’intera area sottoposta a vincolo paesaggistico e archeologico. Viene inoltre contestato l’accumulo non autorizzato di rifiuti.
Ultima ipotesi di reato, l’invasione – in assenza di autorizzazioni – dell’area vincolata per lavori pubblici (la realizzazione di una strada Sisri) appaltati dall’Autorità portuale di Brindisi.
L’inchiesta nasce da un primo sequestro effettuato, nel dicembre dello scorso anno, dagli investigatori. Durante un controllo si appurò che l’impresa edile incaricata dall’Autorità portuale di tracciare una stradina di 200 metri, larga cinque, con un’altezza media dal piano campagna di 50 centimetri (una ditta di Torre Santa Susanna) aveva utilizzato esclusivamente tonnellate di materiale frantumato di varie dimensioni di rifiuti inerti proveniente forse dallo sradicamento di opere in muratura. Il manto stradale infatti presentava pezzi di varie dimensioni: pezzi di piastrelle, mattoni, tufi, cemento, marmo, plastiche e residui ferrosi. Non escludendo la possibilità che si sia trattato di materiale recuperato in loco.
La stradina taglia in due la zona archeologica e conduce sino all’antica villa Monticelli. Un’area, quella di Punta delle Terrare, che gli studiosi definiscono “la prima Brindisi storica”. Ma che viene indicata in diversi studi di portata mondiale come riferimento storico assoluto.
Fu scoperta dagli archeologi negli anni Sessanta e il materiale rinvenuto dalle campagne di scavo effettuate dalla Soprintendenza negli anni 1966-72 e 1979-81 è in parte esposto al Museo Archeologico Provinciale “Ribezzo” di Brindisi
e in parte al Museo Nazionale di Egnazia. Il sito dell’insediamento occupava in origine una superficie di diversi ettari di terreno e si estendeva fino all’odierna zona di Costa Morena. All’Età del Bronzo, infatti, il livello del mare era di almeno due metri più basso rispetto a oggi. La ricchezza e la vasta gamma dei reperti rinvenuti hanno consentito agli studiosi di tracciare un quadro complessivo sugli antichi abitanti di questo insediamento e l’abbondante presenza di scarti di cucina e vasellame ha permesso di risalire alle abitudini alimentari e agli stili di vita dei “primi brindisini”.
Appurate le presunte irregolarità nella realizzazione della strada, il fascicolo è stato inviato alla Procura con la denuncia dell’azienda vincitrice dell’appalto e del direttore dei lavori. Sono state effettuate quindi successive verifiche e Finanza e Capitaneria avrebbero individuato che, in assenza di qualsiasi controllo, una porzione della nuova strada asfaltata che dal molo di Punta delle Terrare dovrebbe immettere direttamente nella zona Sisri è stata realizzata ricoprendo con l’asfalto una zona dell’area archeologica. E che inoltre nella stessa area archeologica sarebbero stati realizzati, senza alcuna autorizzazione, due fabbricati: una vasca per la raccolta delle acque e un impianto di sollevamento per fornire di acqua i traghetti sino all’ormeggio.
Esaminati gli atti, qualche giorno fa, la Procura di Brindisi ha delegato guardia di finanza e capitaneria di porto a porre i sigilli con sequestro probatorio delegato e a effettuare ulteriori indagini che sono tuttora in corso, anche per verificare come mai l’Autorità portuale, custode del sito archeologico, non abbia appurato tali presunte irregolarità.

IL GIALLO DELLA DISCARICA
Le verifiche, ancora in corso, hanno consentito di appurare che l’area archeologica, affidata alla gestione dell’Autorità portuale, è sopraelevata di almeno di due metri rispetto alla sede stradale. Ma la questione è ben più preoccupante: si sospetta infatti che tonnellate e tonnellate di rifiuti, buona parte dei quali di origine edile, siano stati accumulati nel corso degli anni a partire da alcuni metri sotto il piano stradale. Perché, come documentato da una serie di foto, l’area degli scavi giungeva sino almeno a due metri di profondità. Esiste dunque la possibilità che l’area archeologica di Punta delle Terrare sia sommersa da cinque metri di rifiuti. Da qui l’ipotesi di reati ambientali commessi per la gestione non autorizzata di una discarica. I rifiuti sono attualmente ricoperti da una fitta vegetazione. L’area dunque necessita di una accurata bonifica e probabilmente sarebbe rimasta così per decenni se gli investigatori non avessero effettuato i controlli. Sia l’antica spiaggia di Sant’Apollinare che l’insediamento archeologico, inglobati dal nuovo piano di security dell’Autorità portuale nella zona recintata e posta sotto sorveglianza, non sono più raggiungibili né in auto né a piedi.
Gli archeologi hanno scoperto che in quel primo insediamento vissero uomini dediti alla pesca (sono stati ritrovati resti di molluschi in particolare patelle e resti di fauna ittica come saraghi e addirittura cernie), alla raccolta di molluschi, alla caccia (frequente il ritrovamento di palchi e ossa di cervo e di cinghiale) e all’allevamento; dediti alla lavorazione della lana, come attestano i ritrovamenti di fuseruole (pesetti per filare) in argilla e alla produzione di ceramica. Gli scavi abbondano di ceramica di produzione domestica, preparata a mano con argille di provenienza locale e di ceramica di importazione, a decorazione appenninica, con motivi a spirale o a meandri ottenuti con l’incisione, evidenze queste ultime di una predisposizione agli scambi commerciali. Il sito ha inoltre conservato diverse tracce di strutture di capanne protette da mura di cinta a secco, aree di lavoro (di particolare interesse, una fornace a ferro di cavallo con pani di argilla pronti per essere lavorati.
Come molti altri siti dell’età del bronzo presenti nella costa pugliese, anche Punta delle Terrare, prima dell’età del ferro, venne abbandonata: il ritrovamento di vasellame in ottimo stato e le tracce di incendi suggeriscono che si trattò di un abbandono repentino.
Di quel patrimonio storico, così come di villa Monticelli e della spiaggia di Sant’Apollinare si rischia di fare scempio. L’intervento della magistratura, a tutela di ciò che evidentemente l’Autorità portuale non ha saputo preservare, può essere un primo passo per un recupero della zona. La “prima Brindisi” non può essere una discarica.

Consulenza archeologica: Danny Vitale