Uccide due imprenditori fugge: caccia a un brindisino di 67 anni

Cosimo Balsamo, 67 anni, pregiudicato che vive a Brescia, è l’uomo che stamattina ha ucciso due imprenditori a colpi di pistola a Flero e a Carpeneda di Vobarno e adesso è in fuga sull’auto di una delle vittime. Cosimo Balsamo stamattina alle 12 si è presentato nel capannone della SGA, azienda che vende veicoli industriali, e ha sparato al titolare, Elio Pellizzari, che è morto, e a un dipendente, che è rimasto ferito.
Secondo i carabinieri, prima di premere il grilletto, il killer avrebbe urlato: “Mi hai rovinato”.
Poi ha preso l’auto di Pellizzari ed è scappato. Con la vettura è arrivato fino a Carpeneda di Vobarno, in Valle Sabbia dove ha ucciso un altro imprenditore. Adesso è in fuga su una BMW X5. Balsamo lo scorso 30 gennaio era salito su una tettoia del tribunale di Brescia per protestare contro il sequestro della sua abitazione. L’uomo era stato infatti coinvolto in un’inchiesta sul traffico di mezzi pesanti. Balsamo, nato a Brindisi, era considerato il referente di un’associazione a delinquere che nel 2005 si era impadronita di nove rotoli di acciaio inossidabile al titanio (tra i più costosi in commercio) per un peso compessivo di 162 tonnellate. Il valore della refurtiva superava i 500mila euro. Il colpo era stato messo a segno durante i periodo di chiusura estiva dell’azienda, utilizzando tre camion prelevati da un piazzale all’interno della fabbrica.
Balsamo nel 2009 è stato condannato per associazione a delinquere finalizzata al furto e al riciclaggio. Il 9 gennaio scorso ha inscenato una protesta salendo sulla tettoia del tribunale di Brescia e minacciando il suicidio perché protestava per il sequestro dei suoi beni e del suo patrimonio. Poi i carabinieri e la Digos, insieme al suo avvocato, lo hanno convinto a scendere. Subito dopo ha incontrato il giudice Giovanni Pagliuca che chiedeva con insistenza per spiegare le sue ragioni del colpo d’ira e legato a una sentenza emessa nei suoi confronti.
Nel 2014 Balsamo insieme alle figlie è finito a processo per riciclaggio: era accusato di aver movimentato 2 milioni e 150mila euro per nasconderne la provenienza illecita: i soldi erano stati depositati su un conto presso la Banca Commerciale Sammarinese proprio a nome di una delle figlie. Parte della somma era stata investita in titoli, parte in obbligazioni; ma risultano anche diversi prelievi, almeno fino al 9 giugno 2011. Poi il blocco del conto da parte della Agenzia di Informazione Finanziaria. La difesasosteneva che che quei 2 milioni 150mila euro, ritenuti di provenienza illecita, erano invece frutto di investimenti di immobiliari.