Porto, una free tax area per farsi gli affari propri

di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine

Le contrapposizioni politiche rappresentano un giusto bilanciamento negli enti pubblici: c’è qualcuno che governa e qualcun altro che sta all’opposizione, con la funzione di controllo. Accade al Comune e alla Provincia, ma anche negli enti di secondo grado, nelle partecipate. Insomma, ovunque ci siano in ballo interessi pubblici e si decida il destino dei cittadini o del patrimonio mobile e immobile di una comunità, c’è qualcuno che governa e qualcun altro che (almeno in teoria) verifica che ogni decisione sia legittima.
Eppure c’è un’area franca che non è sottoposta a questo tipo di controllo, una specie di “free tax zone” dove chi decide non ha praticamente contraddittorio e il sistema di “trasparenza” è tutt’altro che trasparente, ma senza che nessuno si preoccupi di sollevare questioni, avanzare istanze, contestare decisioni, rilevare situazioni quantomeno dubbie.
Si tratta dell’Autorità portuale o, come si chiama oggi, “Autorità di sistema portuale dell’Adriatico meridionale”. La deriva del porto di Brindisi, sulla quale indubbiamente pesa parecchio la scarsa avvedutezza della classe politica locale, fortemente ignorante in materia e troppo impegnata a gestire gli affari nei propri Palazzi, è il frutto di una gestione da parte dell’Authority che negli ultimi vent’anni è stata segnata da approssimazione, errori madornali e (come testimoniano le non rare inchieste giudiziarie) anche una certa tendenza al mancato rispetto della legge.
E’ come se l’area doganale fosse considerata una piccola repubblica a gestione autonoma, avulsa dagli interessi della città cui appartiene in cui tutto è lecito e il cui unico controllo viene effettuato periodicamente solo dalla magistratura.
Resterà per chissà quanto un pugno nello stomaco l’orrenda rete di recinzione che ha devastato il nuovo lungomare e che è stata un vero affronto perpetrato dall’Autorità portuale al Comune di Brindisi senza che quest’ultimo riuscisse ad avere voce in capitolo. Lì si è stato raggiunto l’apice, un segnale preciso che è stato voluto dare alla città: nel porto comandiamo noi. E l’Authority non ha esitato a sfidare il Comune in tutte le sedi di giudizio. Vincendo.
Con la stessa scellerata approssimazione, alle porte di una stagione crocieristica che rappresenta per Brindisi uno dei pochi appigli per alimentare i numeri delle presenze turistiche e dare ossigeno a locali pubblici e negozi, l’Autorità portuale ha deciso di pianificare solo all’ultimo momento il servizio di informazione e accoglienza turistica e animazione, riducendosi a pubblicare il bando sul proprio sito internet a soli quattro giorni dall’arrivo della prima nave. Vi ha partecipato una sola società, per altro non brindisina, perché le altre non ne hanno avuto neanche il tempo. Il bando è rimasto in pubblicazione per soli due giorni.
Se l’è aggiudicato la “Salentodamare”, una società che racchiude 217 aziende del settore turistico, ricettivo ed enogastronomico, tutte tassativamente leccesi. Del resto, l’oggetto sociale prevede, esclusivamente, la promozione della provincia di Lecce.
Tralasciando le singolari e frettolose modalità con cui è stato affidato l’appalto da 29 mila euro, emergono due aspetti oggettivi: primo, l’inesistenza di una programmazione da parte dell’ente presieduto dal barese Ugo Patroni Griffi nei confronti di una stagione crocieristica brindisina che pure era in calendario da mesi ma che evidentemente non viene considerata alla stregua di quella lanciata in pompa magna a Bari. Secondo, il rischio, tutt’altro che remoto, che i pur bravi addetti al servizio di accoglienza e informazioni, non fosse altro che sono tutti leccesi e legati ad aziende leccesi, siano orientati a spostare verso il sud del Salento i crocieristi interessati ad effettuare percorsi turistici ed enogastronomici.
Un totale disinteresse che l’Authority aveva del resto dimostrato nella gestione dell’area di Punta delle Terrare, tanto da far scattare il recente sequestro da parte della Guardia di finanza: il parco dell’Era del Bronzo trasformato in discarica e violato con strutture realizzate fuori legge.
Secondo le stime giurate di un consulente nominato dall’Autorità portuale nel 2008 (di cui IL7 è entrato in possesso) l’ente avrebbe acquistato il rudere di Villa Monticelli e i terreni circostanti per una cifra che sfiora gli 800 mila euro, senza che nei dieci anni successivi (a fronte di un investimento così rilevante) venisse effettuato alcun intervento di tutela.
E nel frattempo venivano realizzati, nella vecchia stazione marittima, due modernissimi ascensori che però non portano da nessuna parte. Pagati, costruiti e lasciati lì, senza che nessuno si sia chiesto perché. Sono il simbolo dello spreco, dell’approssimazione, ma anche del silenzio: nella «free tax area» del porto solo il fiato non viene sprecato.