Uccio, cavalluccio brindisino, e i suoi amici: a pochi metri dalla “Conca”

di Alessandro Caiulo per IL7 Magazine

Il mare di Brindisi non finirà mai di stupirmi e, se lo affermo dopo aver effettuato oltre cinquecento immersioni sottocosta in vent’anni, vuol dire che è proprio vero e che il buon Dio e madre natura sono stati davvero generosi con noi altri.
L’idea è stata quella di fare un paio di immersioncine fra amici in pieno periodo ferragostano per cui, per evitare la calca ed il vero e proprio delirio di barbecue, angurie e paste al forno che caratterizzano il periodo centrale dell’estate dei brindisini, abbiamo optato per una zona di costa leggermente più defilata rispetto alla solita cala Materdomini, in orari davvero inconsueti, vale a dire la notte dell’antivigilia e l’alba di Ferragosto.
Non che il litorale fosse proprio deserto come auspicavamo, però siamo riusciti a ritagliarci il nostro spazio per scaricare le attrezzature e poterle assemblare a pochi passi dalla scogliera scelta per calarci in acqua, in una caletta posta fra la mitica conca e la spiaggia della Polizia.
Non appena messa la testa sotto il pelo dell’acqua, i fasci di luce delle torce subacquee hanno illuminato, svelandone la incontaminata bellezza, la parete rocciosa posta sulla nostra destra, svelando, in anfratti nascosti, la vita ed il colore che di giorno non si possono nemmeno immaginare: gamberi di un bel rosso vivo o dalla strana colorazione a pois, pesci di piccola, come anche di grossa taglia addormentati sul fondo, polpi e gronchi a caccia delle loro prede, seppioline attratte dalla nostra luce e scorfani mimetizzati fra le rocce ed il coralligeno e stupende cipree con la conchiglia che par porcellana.
Non avevamo ancora finito di stupirci di tutto questo spettacolo quando sono cominciati gli avvistamenti di animaletti a me particolarmente cari che credevo fossero spariti dal mare di Brindisi per sempre, dal momento che erano parecchi anni che non ne incontravo uno alle nostre latitudini: un primo cavalluccio marino di colore marmorato per rendersi quasi invisibile ai piedi della scogliera posta a circa otto metri di profondità e poi, poco lontano, un secondo cavalluccio questa volta di un bel giallo acceso che, a differenza del primo che giocava a rendersi invisibile, sembrava, invece, voler posare statuario, per essere immortalato in una foto scattata con la mia fedele macchinetta compatta digitale scafandrata.
Si trattava, in entrambi i casi, di cavallucci marini della specie Hippocampus Guttulatus, tipica del mediterraneo e inserita fra le specie protette in quanto in via di estinzione per ragioni strettamente collegate alla eccessiva antropizzazione della costa: è proprio la presenza invasiva dell’uomo, la distruzione del suo habitat naturale, l’inquinamento e il depauperamento delle risorse ittiche ad aver portato ad un passo dalla estinzione questo simpatico animaletto marino un tempo molto comune nelle nostre coste; la circostanza che vive a profondità modeste, dalla superficie fino al massimo pochi metri di profondità, ha fatto si che negli anni fosse depredato indiscriminatamente dall’uomo per farne, una volta essiccati, macabri souvenir ed il mio pensiero è corso ai tanti cavallucci marini dal musetto simpatico, che sulle spiagge, finivano nei secchielli di noi bambini di 40 o 50 anni addietro, insieme ai loro cugini meno nobili, ma ugualmente simpatici e facili a catturarsi, i pesci ago.
Le sorprese non sono finite con i cavallucci marini dal momento che, al ritorno, siamo incappati in un raro pesce pietra che, invece che sotterrato nella sabbia come è suo costume fare, era, ben visibile, poggiato su una roccia colorata che contrastava con il suo color candido.
Rimessa la testa fuori dall’acqua in piena notte, siamo stati inondati dal profumo intenso della carne che cuoceva alla brace, dalla musica a tutto volume sparata a palla da improvvisati D.J. e dalle chiacchiere di mille voci: un bell’impatto con la vita reale dopo un’ora e mezza trascorsa nella pace del più assoluto silenzio rotto solo di tanto in tanto dalle bollicine di aria che uscivano dagli erogatori!
Tornati sul posto all’alba di ferragosto, per ripetere la stessa immersione con la luce naturale, sperando di poter ritrovare la colonia di cavallucci marini scoperta due giorni prima, la quantità e varietà di pesci che ci ha accolti una volta scesi di qualche metro, è stata davvero impressionante, mentre eravamo intenti ad ammirare un banco di eleganti ricciole a caccia delle alicette assediate nella caletta, sulle nostre teste è passato un grosso banco di barracuda a caccia, evidentemente delle stesse prede.
Giunti ai piedi della parete, il primo attore non si è fatto attendere: seminascosto, fra le alghe verdi un altro, grosso ed elegante cavalluccio marino giallo, pronto a posare per la stampa!
Il nome che abbiamo affibbiato a questo bell’esemplare di Ippocampo è stato Uccio, il cavalluccio brindisino e mi ripropongo di venire spesso a trovare lui ed i suoi simili, non solo per monitorarne la presenza ed il loro stato, ma anche e soprattutto per il semplice piacere di vedere questi splendidi animaletti, nel loro ambiente, a due passi da casa mia.
Il fatto che la popolazione dei cavallucci marini brindisini, in controtendenza con ciò che accadeva negli ultimi venti anni e con ciò che succede nella maggior parte del Mar Adriatico, si stia riprendendo, al punto da averne trovato una colonia stanziale, è segno certo che la situazione del nostro mare e meno peggio di quello che pensavamo, dal momento che la loro estrema sensibilità ai valori dell’acqua li rende ottimi indicatori delle condizioni dei mari e, se si trovano delle colonie di cavallucci, vuol dire che il mare è particolarmente pulito in quei tratti di costa dove maggiore è la loro presenza