“Non fate il mio errore: non denunciate la Scu o sarete abbandonati”

“Capisco gli imprenditori che ieri in aula hanno ritrattato le loro dichiarazioni contro i mafiosi che gli hanno estorto denaro. Hanno fatto bene. Se avessi la possibilità di tornare indietro lo farei anch’io. Ho sbagliato a denunciare il racket. E ancora oggi ne pago le conseguenze”. Cosimo Maggiore è un imprenditore di San Pancrazio Salentino. Meglio, lo era. La sua azienda ha chiuso i battenti due anni fa, lasciando per strada nove operai. Fino al 2007 gli affari veleggiavano in buone acque.

Troppo buone per non attirare i voraci appetiti degli immancabili parassiti, che per loro natura vivono del sangue altrui. Nel 2006 Maggiore subisce le attenzioni di Andrea Bruno, a capo della frangia torrese della Sacra Corona Unita, fratello di Ciro, leader storico della Scu brindisina, ora all’ergastolo. Vuole soldi. Soldi che non gli spettano. Soldi di Maggiore e della sua famiglia. L’imprenditore si oppone, tiene la schiena dritta, non si inginocchia nonostante il peso della paura, delle minacce, delle ritorsioni, gli gravi sulle spalle come un macigno. Denuncia i suoi aguzzini. Riesce a farli arrestare e condannare.

Da allora Maggiore vive sotto protezione. Due carabinieri vegliano su di lui: “Sono i miei angeli custodi – dice – e sono tutto ciò che mi resta, insieme alla mia famiglia”. Con quella denuncia pensò d’essersi scrollato di dosso ogni problema, di poter ricominciare a vivere. Per quel gesto fu per un anno lodato e osannato dalla politica e dalle associazioni antiracket. Divenne l’imprenditore coraggio. L’esempio, l’emblema. Poi i fari si spensero e da allora l’esistenza di Maggiore è lentamente, inesorabilmente sprofondata verso l’abisso.

“Per il primo periodo ricevetti i complimenti e gli apprezzamenti da tutti. Soprattutto dai politici. E dall’Antiracket. Mi dicevano che potevo contare su di loro, che mi sarebbero stati affianco”. Anche Andrea Bruno, il suo carnefice, spiega Maggiore, gli fece una promessa: se denunci avrai finito di vivere. “E’ stato l’unico impegno mantenuto da allora. Da quando ho denunciato ho finito di vivere. Sono diventato un appestato. L’azienda ha cominciato ad andare male, nessuno più ha voluto avere a che fare con me per paura di ricevere ritorsioni, le commissioni sono rapidamente diminuite, e nel 2011 ho dovuto chiudere. Ora sono senza lavoro, vivo grazie agli aiuti dei miei genitori”.

Le rassicurazioni fatte a suo tempo, si sono sciolte, svanite come neve al sole. “Non ce l’ho con i magistrati o con le forze dell’ordine – precisa Maggiore – che anzi mi sono sempre vicini e fanno bene il loro lavoro. Io ce l’ho con la politica, e con l’antiracket. Da questi ultimi ho ricevuto solo promesse, ma mai nulla di concreto. Mi avevano detto che potevo aiutarmi con la legge 44 del ’99 che supporta chi denuncia. Ci sono articoli di questa norma che prevedono la sospensione del pagamento del mutuo per un anno, e dei contributi ai lavoratori per tre anni. Tutto falso. Il mutuo l’ho continuato a pagare con tassi esorbitanti. E con uno dei miei dipendenti sono tutt’ora in causa. Sono pieno di cause adesso. Due contro Andrea Bruno, una contro il mio ex operaio, una contro un avvocato, un’altra contro un secondo avvocato che dopo avermi chiesto 30mila euro me ne ha chiesti altri 40mila. E’ un incubo quotidiano, continuo”.

Un estenuante calvario cominciato allora. “Se quella volta, invece di denunciare avessi pagato, ora avrei tutto. Avrei il mio lavoro, la mia azienda, la mia tranquillità, la mia libertà, la mia vita. Avrei fatto finta di avere un decimo operaio, dando quei soldi al mio estorsore, e sarebbe finita lì. Invece ho denunciato, ho creduto nello Stato, e ora me ne pento. Capisco quegli imprenditori di Mesagne che in aula hanno ritrattato o hanno comunque detto di non ricordare più tanto bene. Dopo quello che ho vissuto in prima persona, fossi in loro, farei lo stesso”.
Maggiore, né chi scrive, sa cosa sia successo veramente ieri durante il processo alla Scu mesagnese. Se davvero gli imprenditori ritenuti vittime di estorsioni abbiano avuto un vuoto di memoria improvviso e contagioso, o se abbia dominato nei loro animi la paura. Starà alla magistratura stabilirlo.

Maggiore, che ebbe come forse loro paura, ma che non volle piegarsi, oggi si pente di aver reagito. E sogna una vita diversa, normale: “Non so per quanto tempo potrò andare avanti così. Mi sveglio la mattina sperando in un miracolo che cancelli tutta, che mi restituisca la mia vita. Ma so già che non succederà. I miracoli non accadono”.

Emilio Mola