“Mio marito Donato, un uomo ucciso la prima e la seconda volta”

di Gianmarco Di Napoli

Il giorno del venticinquesimo anniversario della morte, Anna ha fatto stampare i manifesti funebri che ricordavano il marito. Poche parole e l’orario della messa, in quella stessa parrocchia di Bozzano che il 16 maggio 1992 brulicava di fazzoletti e telecamere, il costernato sindaco con la fascia tricolore, l’affranto picchetto delle Ferrovie dello Stato, gli inconsolabili amici del Circolo tennis, i disperati colleghi dell’agenzia viaggi. Quel giorno era tutto un rincorrersi di abbracci e lacrime, mentre la vedova teneva stretti Corrado e Danilo, i suoi ragazzi di 17 e 13 anni, con gli occhi inchiodati sulla cassa di legno che avrebbe portato via per sempre il loro papà.

Quando è iniziata la messa, 25 anni dopo, Anna Negro si è voltata verso i banchi di dietro e poi ha percorso con lo sguardo le file di sedili color noce disposti a semicerchio intorno all’altare. Non c’era nessuno. Se fosse stato ancora vivo don Francesco De Benedictis, parroco e padre spirituale di quella mamma e dei suoi due ragazzi, avrebbe tuonato dall’altare come aveva fatto il giorno dei funerali quando se la prese con il degrado sociale di una città, priva di senso civico. E invece la messa è scivolata via in silenzio. Il giovane parroco ha ricordato al momento previsto il nome del nostro fratello Donato, ma i riti religiosi commemorativi del resto sono come ‘a livella, pace all’anima sua, che sia un novantenne morto di vecchiaia o un 45enne ucciso da un’auto contrabbandiera dopo aver accompagnato il figlio alla scuola calcio. La telefonata Il telefono aveva squillato all’ora di pranzo: “Papà, ci porti tu all’Acsi?”.

Il pulmino che trasportava i ragazzi al campo di calcio quel giorno era fermo. “Per diversi giorni non ho preso pace: potevamo andarcene a piedi, io e mio cugino, lo avevamo fatto altre volte. E invece papà era lì vicino, glielo domandai e lui mi disse di sì. Purtroppo”: 25 anni dopo Danilo Sancesario è un uomo che si avvia verso la quarantina, con il calcio che è rimasto il filo conduttore della sua vita, quasi che volesse prolungare per sempre l’allenamento di quel tragico giorno, per dare un senso a tutto. Ha giocato a buoni livelli in squadre dilettantistiche e oggi fa l’istruttore di giovanissimi calciatori. “Lungo la strada mi diede qualche consiglio, lo faceva sempre prima degli allenamenti. Nessuno mi avvisò di quello che era successo. Finimmo alle sette di sera e tornai a piedi sino a casa”.

L’ultima rata A Donato Sancesario era rimasta da pagare l’ultima rata della sua Lancia Dedra. Pensionato delle Ferrovie già da qualche anno (aveva fatto il controllore sui treni), per lui era iniziata una nuova vita quando si era messo a lavorare per il Globo, l’agenzia viaggi di corso Garibaldi. Ed era lì che stava andando, dopo aver lasciato Danilo al campetto di calcio di Sant’Elia: imboccata la complanare, era arrivato sino all’impianto della Nuova Idea e da qui avrebbe raggiunto la superstrada e lo svincolo di porta Lecce. Antonio Pinto aveva 19 anni e si stava guadagnando centomila lire trasportando 500 litri di benzina a bordo di una Giulietta sgangherata. Era il pieno di carburante per un motoscafo che la sera successiva avrebbe lasciato gli ormeggi del porto interno per puntare alle coste albanesi e tornare in un baleno, carico di tonnellate di sigarette. Antonio era inseguito, (forse) dai carabinieri. Qualcuno (forse) aveva sparato per fermare la corsa dell’auto centrando (forse) i bidoni pieni di carburante. Donato era fermo allo stop con la radio accesa, Antonio guardava nello specchietto e andava forse a 200 all’ora. Quando la Giulietta è piombata sulla Dedra, disintegrandola, Donato non si è accorto di nulla, passando in un istante dalla vita alla morte. Antonio no, non ha avuto la fortuna di una fine immediata: è uscito bruciando dall’abitacolo incendiato, urlava come un disperato mentre il fuoco lo dilaniava. Una fine orrenda.

La notizia “Era venerdì sera, la settimana delle comunioni. Lavoravo come ogni giorno serenamente”. Anna Negro aveva il suo salone di parrucchiera in viale Belgio: “Vidi nello specchio un collaboratore dell’agenzia viaggi. Mi disse solo che c’era stato un piccolo incidente e che sarebbe stato meglio se fossi andata con lui in ospedale. Non presi coscienza subito di quello che era accaduto. Ma poi quando arrivai lì trovai gente che piangeva, che mi toccava. Io ancora non volevo crederci. Poi si avvicinò un infermiere, amico di mio marito, che mi disse che Donato era morto”. Le promesse Furono giorni e settimane di grandi promesse. Il giorno dei funerali il sindaco si presentò con la fascia tricolore, ma il Comune si guardò bene dal pagare i funerali per quella vittima innocente. I cinque milioni di lire li dovette sborsare Anna, nonostante il mutuo da pagare per il salone e la famiglia da portare avanti senza il marito.

Il mese successivo lo stesso sindaco Marchionna, rinnovato il mandato, ebbe la bella idea di scegliere come testimoni del suo giuramento la neovedova e il proprietario di un panificio che in quegli stessi giorni il racket aveva semidistrutto con una bomba. Spenti i riflettori e consumati i flash, la famiglia Sancesario fu parcheggiata al Bozzano. Le istituzioni non ne avevano più bisogno, molti amici man mano si diradarono: “Smisi di piangere e decisi di lavorare ancora di più, per me e per i miei figli”, racconta mimando il gesto di chi si arrotola le maniche sino a sopra i gomiti. Fiori sulla tomba Corrado ha seguito le orme della madre e oggi fa il parrucchiere a Como. Danilo è rimasto qui: “Siamo cresciuti senza la guida di papà. Non è stato facile, abbiamo anche corso il rischio di amicizie sbagliate, ma ci siamo ispirati ai suoi princìpi. Lui era un uomo di poche parole, ma si faceva comprendere bene. Il ragazzo che lo ha ucciso? All’inizio l’ho maledetto, ma noi abbiamo un profondo spirito cristiano”. E’ stata mamma Anna, sin dal primo momento a perdonare Antonio e a chiedere ai figli di non odiare quel ragazzo.

“La sua tomba era in un prato a pochi metri dalla nostra cappella di famiglia. E ogni volta che andavamo a trovare papà, lasciavamo un fiore anche davanti alla sua lapide”, ricorda Danilo. La chiesa vuota Il 25 aprile scorso la famiglia Sancesario era in piazza Sottile-De Falco, i due finanzieri uccisi anche loro da un’auto contrabbandiera. Sarebbe stato il 42esimo anniversario di matrimonio. Ma il conto si è interrotto 25 anni fa: da allora la vedova si batte perché il sacrificio del marito venga ricordato, anche perché a differenza dei militari che erano morti in servizio, Donato vendeva viaggi e giocava a tennis, non inseguiva contrabbandieri. E aveva accompagnato il figlio. Nel 2010 Anna si era rivolta anche all’arcivescovo Rocco Talucci che però aveva spento qualsiasi speranza: “Mi rendo conto che a distanza di tempo è difficile recuperare ciò che non è stato fatto. Ma – aveva aggiunto – la comunità brindisina certamente ricorda il sacrificio di suo marito”. Così almeno in chiesa, la sera del 15 maggio, Anna l’ha cercato l’affetto di quella comunità, pensando che sì, magari la navata della chiesa di Bozzano non sarebbe stata piena come nel 1992 ma che avrebbe rivisto tra i banchi facce amiche, visi sorridenti, nell’illusione che per un giorno avrebbero potuto confortarla. E invece la chiesa era vuota, come la targa che nessuno in città ha mai scolpito per Donato. Ma le resta Danilo, con quella partita di pallone che in fondo ha deciso di non terminare mai.

(Articolo tratto da “Il7” n.2)