La storia si cambia anche con una stretta di mano #Editoriale

di GIANMARCO DI NAPOLI per IL7 MAGAZINE

Il momento che ha determinato l’inizio di una nuova era politica per la città di Brindisi è collocabile alle 23.45 di domenica sera e non perché a quell’ora la vittoria del candidato sindaco Riccardo Rossi appariva certa e incontrovertibile. Ma perché in quell’istante, all’interno del comitato elettorale dello stesso Rossi, ha fatto ingresso il suo avversario, Roberto Cavalera. Nonostante la campagna elettorale fosse stata durissima e fino a qualche ora prima non si fossero risparmiati colpi e accuse reciproche, il candidato del centrodestra ha tagliato la folla esultante che si era già riunita davanti comitato dell’avversario, è entrato e gli ha stretto la mano. Un gesto che ha sorpreso persino Rossi. Cavalera riconosceva la vittoria, tutt’altro che scontata, del suo competitor e gli augurava buon lavoro.
Potrebbe sembrare un gesto banale e apparire esagerato considerarlo l’inizio di una nuova era politica locale, ma non è così.
Al termine del ballottaggio precedente, quando gli elettori brindisini sancirono la vittoria di Angela Carluccio, il suo avversario Fernando Marino non fu altrettanto “sportivo”: non solo non si recò a stringere la mano alla Carluccio, ma neanche le telefonò o le scrisse un bigliettino. In pratica non riconobbe mai la sconfitta.
Il suo comportamento, oltre che restare agli annali come il più clamoroso caso di villania politica mai avvenuto a Brindisi e forse nell’intero Paese (aggravato dal fatto di essere stato compiuto nei confronti di una donna che l’aveva sconfitto), determinò sin dai primissimi istanti di vita di quella amministrazione eletta democraticamente un clima di veleni, rancori, contrapposizioni esasperate che ne segnarono il destino sin dal principio, alimentando odio, creando fazioni contrapposte, impedendo un sereno tentativo di realizzare i progetti messi in cantiere durante la campagna elettorale.

Cavalera ha dato una lezione al suo stesso alleato Marino, chiarendo che ci si candida per il bene della propria città, che si combatte sino all’ultimo ma che nel momento della sconfitta essa deve essere accettata e si deve svolgere quel ruolo altrettanto importante che viene assegnato dagli elettori a chi perde: quello di vigilare, tra i banchi dell’opposizione, e collaborare con responsabilità identiche a quelle di chi amministra, per il bene della città. E non per gli interessi propri, o alimentati da rancori personali.
Un segnale che va colto anche da Rossi. Perché per tentare di governare decentemente non solo si ha bisogno di una squadra valida e onesta, ma si deve avere il tempo di poter gettare le basi di un’amministrazione. E in questo, potendo “contare” su un’opposizione corretta, consapevole del proprio ruolo e delle proprie responsabilità, si è indubbiamente facilitati.
Ma quale potrà essere davvero il ruolo delle opposizioni nel prossimo Consiglio comunale?
Cavalera la sua posizione l’ha chiarita e potrebbe davvero essere uno dei punti di riferimento del lato corto dell’assise. Ma per la leader-ship del centrodestra è tutta in bilico perché Massimo Ciullo, legittimamente supportato dal naufragio elettorale della maxi-coalizione, intende rivendicare quel ruolo determinante che l’essere punto di riferimento della Lega, e dunque del vicepresidente del Consiglio, ritiene debba spettargli. Ma la resa dei conti nel centrodestra appare inevitabile.

I meno informati pensano di attribuire la responsabilità della sconfitta di Cavalera alle scelte operate dal coordinatore regionale Luigi Vitali. Egli forse può averne nella sua Francavilla Fontana, ma a Brindisi la storia è andata diversamente. Vitali aveva dato in un primo tempo il suo assenso all’alleanza con la destra (così come si stava delineando a livello nazionale) e aveva espresso anche il suo gradimento per individuare in Massimo Ciullo il candidato che unisse tutte le espressioni della destra, da quella estrema a quella moderata.
Ma Mauro D’Attis, fresco di nomina al Parlamento, dopo essere stato imposto dal suo pigmalione Antonio Tajani a Berlusconi e inserito in un listino a vittoria sicura, si è ritenuto legittimato ad essere lui a decidere nella sua città. Vitali lo ha lasciato fare.
Erano note le antipatie di D’Attis per Ciullo. “Non sarà mai il nostro candidato sindaco”, aveva fatto sapere sin dal primo momento. E così quella che appariva l’alleanza più naturale è venuta meno per la decisione dell’onorevole di imporre il suo “no” a Ciullo sindaco.
E’ stato probabilmente quello il momento in cui il centrodestra non solo ha perso le elezioni, ma soprattutto ha smarrito quell’identità che invece dall’altra parte un più “umile” segretario cittadino del Pd (Francesco Cannalire) stava certosinamente ricostruendo.
Per compensare l’emorragia provocata dal divorzio con Ciullo, D’Attis è stato costretto ad accogliere in Forza Italia e nella coalizione che l’ha affiancata tutto quello che era rimasto in circolazione. Una sorta di “outlet” della politica brindisina in cui sono finiti fondi di magazzino, alcuni un tempo griffati e ma ormai ampiamente fuori moda, altri difettati e non presentabili in vetrina.

Il risultato è stato che mentre la Sinistra si rendeva conto che per vincere bisognava non far altro che unirsi, tornando alle origini, quasi fosse un Pci 3.0, mentre Destra si ricompattava in nome dei vecchi princìpi che Ciullo incarna alla perfezione, mentre il M5S e persino Impegno sociale mantenevano una loro linea coerente ai loro princìpi, l’Outlet di D’Attis esondava di capi fuori stagione: dagli ex assessori della giunta Consales (centrosinistra), allo stesso Marino (candidato sindaco per Emiliano), all’ex sindaco, ex presidente della Provincia, ex comunista Michele Errico, agli ex consiglieri di Marcello Rollo. La ciliegina (e qua forse D’Attis si è giocato definitivamente la partita) è stata l’alleanza con Giovanni Antonino.

Al primo turno i voti sono arrivati, ma non perché qualcuno credesse davvero in quella coalizione. Semplicemente in quanto molti di quei candidati (e per questo erano stati scelti nell’Outlet) erano ottimi portatori di voti. Per se stessi. Al ballottaggio invece i saldi sono finiti e le saracinesche si sono chiuse.
Ora D’Attis (che alle scorse amministrative non era stato eletto ma che era rientrato dopo la rinuncia di Massari e che mantiene da anni Forza Italia ai minimi storici) cerca di venirne fuori annunciando: “da parlamentare brindisino non potrò che fare l’interesse del mio territorio e della mia città insieme al nuovo sindaco e alla nuova amministrazione comunale”. Ma in realtà si trova in quella che nel tennis viene chiamata “nobody’s land”, la terra di nessuno, a metà strada tra il fondocampo e la rete, dove ogni punto è matematicamente perso. E’ all’opposizione sia al Comune che in Parlamento, a Palazzo di Città può contare come unico consigliere su Gianluca Quarta, uno che proviene da altre aree politiche e che non sembra per altro addomesticabile. A Roma può valere quanto una delle seconde linee di un Berlusconi. Il quale in questo momento non conta nulla. E soprattutto D’Attis dovrà necessariamente subire un “processo” interno nel partito in cui qualcuno dovrà assumersi la responsabilità del tracollo.
Ci sono altri due grandi sconfitti in queste elezioni, che non siederanno tra i banchi del Comune e che probabilmente salutano la politica.
Il primo è il notaio Michele Errico. E’ stato uno dei grandi protagonisti della vita politica brindisina. Persona integerrima e di grande cultura, ha ispirato importanti battaglie ambientaliste ma anche e soprattutto sociali. Tra queste, 15 anni fa, ci fu la sfida frontale al cosiddetto “sistema Antonino”, ossia la gestione della cosa pubblica dell’allora sindaco che poi, come si sospettava, si dimostrò essere stata segnata da gravi episodi di illegalità. Errico fu tra quelli che si batterono sino alla caduta di quel sistema, avvenuta nella maniera più clamorosa e dolorosa: l’arresto del sindaco.

In tutti questi anni il notaio è stato visto come massimo garante della legalità, anche quando non ha ricoperto ruoli istituzionali che glielo riconoscessero formalmente. Perciò non si comprende come, alla fine della sua carriera, abbia deciso in poche settimane di ribaltare tutto, passando dalla Sinistra (collocazione politica che si è vantato di aver mantenuto sin dal primo momento) all’Outlet di centrodestra, trasformandosi di fatto in garante della coalizione che proprio in Giovanni Antonino aveva il suo leader principale. Per altro uscendo sconfitto in maniera devastante nella sua corsa al Consiglio, raccogliendo un centinaio di miseri voti.
La domanda viene dal cuore: come ha potuto, Notaio?
Molto meno gloriosa l’uscita di scena, perché di fatto un’entrata vera non c’è stata mai, da parte del già nominato Fernando Marino. Dopo la clamorosa sconfitta personale di due anni fa, e aver recentemente sostenuto la candidatura al Parlamento Vittorio Zizza (sconfitto pure lui), non avendo trovato ospitalità a Sinistra, si è rifugiato nel centrodestra. Era forse convinto di spuntare una nuova candidatura a sindaco, non l’ha ottenuta e allora piuttosto che mettersi in gioco coraggiosamente alla guida del suo movimento “Brindisi in Alto”, si è appostato nelle retrovie inventandosi un ruolo da allenatore. Si è speso per la vittoria di Cavalera, contava almeno di ottenere il vicesindaco (si parlava di Paolo Chiantera). Ma ha perso ancora una volta. Il suo rappresentante in Consiglio si chiama Umberto Ribezzi, ma è solo un omonimo di quello che insieme a lui determinò la caduta dell’Amministrazione Carluccio.
Chissà, se due anni fa avesse fatto quella telefonata per congratularsi con la sindaca, forse la storia – anche la sua – sarebbe andata diversamente. Per volare in alto, come pretendeva il suo movimento, non servono i jet del potere, ma le ali dell’umiltà.