Haber, mio padre e l’acustica del Verdi: quella sera di febbraio, tutta la verità.

di Giusy Gatti Perlangeli

La verità è che giovedì 16 febbraio al Nuovo Teatro Verdi io c’ero. La verità è che è stato uno spettacolo struggente dal quale ancora mi devo riprendere. Il tema trattato, la composizione della pièce, il talento degli attori, il modo con cui ciò che avviene sul palcoscenico e che si guarda da spettatore finisce per incidere nelle profondità del nostro essere, non è cosa da “digerire” rapidamente. La verità è che il nostro amore per il teatro ci porta, anno dopo anno, a rinnovare l’abbonamento, nonostante sappiamo già che dovremo sforzarci per comprendere i dialoghi e che, magari, lo spettatore che abbiamo davanti ci farà venire il mal di mare con i suoi continui spostamenti sulla poltrona: sappiamo già che perdoneremo tutto perché chi va a teatro è così, indulgente.
La verità è che mi siedo solo ora, dopo 48 ore, a riflettere su quello che ho visto, perché ho dovuto far decantare l’emozione, metabolizzarla almeno parzialmente. La verità è che non vi racconterò la trama dello spettacolo. Dico solo che un talentuoso Alessandro Haber ha portato in scena il dramma di chi, gradualmente, perde i ricordi, poi i punti di riferimento, poi non riconosce i volti familiari e si mostra vulnerabile, teneramente spaesato, alla mercé della volontà di chi gli sta intorno e subisce il suo inesorabile deterioramento. La verità è che nella vicenda di Florian Zeller, “Il padre”, ci siamo riconosciuti un po’ tutti. Ci siamo riconosciuti come figli, costretti a fare i conti con i genitori che diventano anziani e che, dopo averci amato, accudito e sostenuto per tutta la vita, hanno bisogno di noi. Ci siamo riconosciuti come genitori che sentono scorrere tra le mani il tempo come sabbia e tremano al solo pensiero di diventare, un giorno lontano o vicino, un peso per quei figli a cui hanno spianato la strada della vita. Ci siamo riconosciuti come spettatori del Verdi, commossi, confusi e tragicamente felici per aver assistito, nonostante le difficoltà, ad una vera opera d’arte, una gemma nel bellissimo cartellone di quest’anno.

La verità è che ho perduto mio padre tre mesi fa. Una roccia: il fulcro della famiglia e il punto di riferimento per le migliaia di studenti passati dai suoi banchi in 48 anni di scuola. Un uomo che ha dato il suo fattivo contributo alla cultura di questa città e soprattutto al teatro (la sua casa era la sede del Centro Studi Teatrali “Maschere Nude” dove si allestivano le versioni teatrali delle opere di Luigi Pirandello).

Mio padre (nella foto accanto a quella di Haber), a differenza di quello magistralmente impersonato da Alessandro Haber non aveva l’Alzheimer no. È stato lucido e presente fino all’ultimo, ma io, da figlia, ho colto i segni del suo smarrimento, della sua paura, malgrado una fede autentica e radicata, di compiere un passo nell’ignoto.

“Voglio tornare a casa mia” ha detto con un filo di voce un’ora prima di chiudere gli occhi per sempre. Non abbiamo potuto accontentarlo. Però noi figli eravamo lì, accanto a lui, mentre “Il padre” di Haber viene portato in un’asettica struttura per anziani, perché la figlia (Lucrezia Lante Della Rovere) cede alle pressioni del marito. Io gli ho tenuto la mano fino alla fine: un genitore non potrebbe pensare a nulla di più dolce che tenere sua figlia per mano ancora una volta, nell’illusione di non lasciarla mai. Una figlia non potrà dimenticare mai quel momento: quell’immagine resterà indelebile negli occhi e nel cuore. La verità è che un padre è per sempre, anche quando non c’è più. Ecco perché non volevo scrivere nulla su questo spettacolo che mi ha lasciato inchiodata alla poltrona del Verdi. Poi ne sono state dette tante, per cui ho deciso di dire la mia, come l’ho vista, come l’ho sentita. Alessandro Haber ha portato il suo lavoro, difficile e delicato, fino alla conclusione. Il pubblico ha tributato alla Compagnia applausi scroscianti e prolungati. Lui ha ringraziato con gentilezza diverse volte. Poi è arrivato il fuori-programma: ha chiesto al pubblico se avesse ascoltato tutto. All’unisono, la risposta è stata “No!”. “Non abbiamo recitato! Abbiamo dovuto urlare! – ha detto l’attore – Avete una città bellissima, un porto meraviglioso, ma il teatro è la vostra casa! Dovete fare qualcosa! Magari io non verrò più, ma voi dovete ribellarvi!”.

Pubblico in piedi, totalmente d’accordo con Haber. Nessuno si è sentito offeso, perché lui, sfinito per una performance alterata dalla mancanza di un’acustica che per un teatro non può essere un optional, ha detto quello che tutti quelli che lo amano e lo frequentano, pensano da anni. Il rapporto col teatro ha i tratti del vero amore: è simile a quello che abbiamo con la persona che ci sta accanto, che amiamo a prescindere, anche quando ci fa arrabbiare. La verità è che veniamo e continueremo a venire a teatro sempre e comunque. Perché su quel palcoscenico c’è un po’ di tutti noi. E’ questa la verità su quella sera di febbraio al Verdi.

IL PADRE di Florian Zeller traduzione e adattamento Paola Comencini e Piero Maccarinelli con Alessandro Haber, Lucrezia Lante della Rovere e con David Sebasti e Daniela Scarlatti scene Gianluca Amodio costumi Alessandro Lai disegno luci Umile Vainieri regia Piero Maccarinelli PRODUZIONE: GOLDENART PRODUCTION S.R.L