L’incanto della musica di Piovani: due ore fuori dal tempo

La musica è pericolosa” diceva Federico Fellini.

La musica è davvero pericolosa perché incanta.

La musica depura l’anima da tutte le scorie che si affollano su di essa durante la vita quotidiana, e questa (l’anima), finalmente liberata, può sollevarsi leggera verso una dimensione altra, dove il confine tra ciò che esiste e ciò che non esiste è più sottile del rigo di un pentagramma.

Il Premio Oscar per la colonna sonora de “La vita è bella” Nicola Piovani, il suo ensemble e tutto il pubblico del Nuovo Teatro Verdi si sono ritagliati lunedì sera, 13 marzo, per due ore, uno spazio fuori dal tempo. Si sono lasciati trasportare in un altrove dove gioia e malinconia si sono fusi in una sintesi dalle mille tonalità.

Un Piovani narrativo e intimo, ha intrecciato la propria storia a quella dei grandi miti e del grande cinema.

Il racconto, tra musica e parole, parte da dove tutto ebbe inizio, dalla narrazione mitica ed epica dell’Odissea: le Sirene omeriche e il canto che incanta e porta alla morte, finché Orfeo, al seguito degli Argonauti, non le sconfigge con un canto ancor più melodioso. Poi il Minotauro, l’incolpevole mostro emarginato ed escluso, fino a Salomè e la sua seducente “Danza dei Sette Veli” che le valse la testa di Giovanni Battista.

Sullo sfondo della scena, il racconto per immagini di Milo Manara.

Nicola Piovani ci ha portato dentro al suo mondo, quello della musica che fa da contrappunto alle parole del cinema e ne sottolinea le immagini rendendole indimenticabili.

Attraverso di lui abbiamo dialogato con Fellini, che ha insistito, convincendolo, che la musica scritta per la pièce teatrale “L’amore delle tre melarance” era perfetta per il suo film “L’intervista”. Racconta delle giornate intere trascorse nella casa romana del regista in Corso Italia, “per discutere delle scene del film e di come inserire i momenti musicali”.

Con Mario Monicelli (“Speriamo che sia femmina” e “Il Marchese del Grillo”) il rapporto fu immediato, empatico. “Monicelli è stato un genio del cinema – dice Piovani – e intuiva subito il leit motiv, o il brano musicale adatto per quella specifica sequenza filmica”.

Poi il ricordo del grande Marcello Mastroianni: “Con Marcello ho avuto una grande amicizia. Entrambi preferivamo il silenzio al chiasso. La riflessione alle chiacchiere. Quando ci trovammo a Buenos Aires per girare un film, Marcello canticchiava una melodia argentina, che mi è sempre rimasta nel cuore e che ho inserito nella colonna sonora di un film di Bigas Luna”. La canzone era la celeberrima “Caminito”, un noto tango argentino registrato “in un grigio pomeriggio romano” che ascoltiamo rapiti dalla voce inconfondibile e affascinante di Marcello Mastroianni.

Sono più di 70 i film che Piovani ha raccontato attraverso la musica.

L’incontro di con Roberto Benigni è foriero di effetti esplosivi. “La banda del pinzimonio” la deliziosa marcetta che ne annuncia ogni ingresso in scena e che identifica oramai il suo personaggio fu un vero colpo di genio. E poi, l’aneddoto: Benigni e Cerami gli chiesero di comporre con loro una canzone d’amore, capace di concludere, stemperandolo, uno spettacolo che era tutto un fuoco d’artificio! Nacque la struggente “Quanto t’ho amato” di cui proprio Piovani scrisse il verso finale: lui, musicista tra due maestri della parola, concluse così la canzone “in amor le parole non contano conta la musica”. Quasi un contrappasso.

Racconta la sua infanzia Piovani, quando, da bambino, sentiva i rintocchi delle tre campane (la combinazione mi-fa-sol) del convento delle Suore d’Ivrea vicino a casa sua a Roma e che diverrà il motivo de “Il bombarolo” di Fabrizio de André con il quale ha collaborato in due album “Non al denaro non all’amore né al cielo” e“Storia di un impiegato”.

È evidente l’affiatamento con i suoi musicisti che, con le note, dialogano tra loro e con il pianoforte del Maestro, e lo fanno con una naturalezza che è una prerogativa dei grandi, capaci di far apparire semplice e priva di sforzi un’arte che si nutre di passione e sacrificio. Li presenta uno ad uno:

Marina Cesari al sax/clarinetto, Pasquale Filastò al violoncello/chitarra; Ivan Gambini alla batteria/percussioni, Marco Loddo al contrabbasso; Rossano Baldini alle tastiere.

Salutano il pubblico tra gli applausi che sembrano non finire mai.

Ci guardiamo…” ma…La vita è bella non la fa?

Si rimette al pianoforte Piovani: la riconosciamo fin dalle prime note. Musica da Oscar, non c’è che dire! Sullo sfondo i fotogrammi del film ci ricordano scene mai dimenticate e quella “musica pericolosa” ci riporta alle scene dolci e drammatiche in cui un padre maschera la barbarie con un costume da clown perché il figlio non diventi mai consapevole della malvagità umana. Solo Benigni, solo Piovani potevano rendere possibile l’impossibile! Fondere pianto e riso in una “allegra malinconia” che trasfigurasse l’orrore per farlo apparire meno tragico.

Non “se la tira” Piovani! Umile come solo i grandi sanno essere, cita Ernesto Galli Della Loggia “In Italia tutto ciò che non passa sullo schermo non esiste”.

Felici di non essere esistiti con te per due ore, Maestro Piovani!

Giusy Gatti Perlangeli