Pozzo Traiano, l’antico serbatoio della città

di Giovanni Membola per IL7 Magazine

A circa due metri sotto il lastricato stradale, al centro dell’irregolare piazzetta che segna l’angolo di incidenza tra via Annunziata, via S.Dionisio, vico D’Orimini e via pozzo Traiano, è posta una antica e grande cisterna di raccolta, purificazione e smistamento di acque potabili, denominata dalla tradizione locale come “Pozzo Traiano”.
Il serbatoio era probabilmente alimentato da alcune falde sorgive e, forse, in parte, dall’acquedotto, ma di questa preziosa struttura si hanno solo poche e sommarie notizie tramandate da alcuni studiosi locali del passato, descrizioni e testimonianze fondamentali per la conoscenza dell’edificio, non più visibile dalla fine dell’ottocento, quando fu obliterato da una nuova pavimentazione stradale al termine dell’intervento di pulizia di fango e pietre effettuato al suo interno. Andrea Della Monica (1674) lo ricorda caratterizzato da “molti archi magnifici e volte spaziose, d’altezza d’una statura d’huomo” mentre il canonico Pasquale Camassa, nel 1910, racconta che la struttura era “formata da due camere separate da un diaframma, con archivolte, voltine e muri d’ambito”. Ulteriori descrizioni sono riportante in alcuni documenti del 1898 redatti dall’Ispettore degli Scavi e Monumenti di Brindisi Giuseppe Nervegna, dove in un preciso rilievo – una planimetria e due sezioni – inviato al Ministro della Pubblica Istruzione, sono riportati con precisione le caratteristiche strutturali e tecnico-costruttive dell’antica cisterna.

Il serbatoio ha forma rettangolare, lungo 12,20 metri e largo 6,40 ed è suddiviso a metà da un muro caratterizzato da quattro aperture di differenti ampiezze ed altezze. All’interno di una delle due vasche, un vero e proprio serbatoio di prima raccolta, venivano convogliate le acque provenienti da tre condotti a sezione rettangolare della larghezza di 70 cm, denominati rispettivamente “Sorgente Annunziata”, “Sorgente Romana” e “Sorgente S. Dionisio” (questo rappresentato con una copertura “alla cappuccina”) che permettono di ipotizzare l’orientamento del complesso. Sul lato corto della vasca vi era una scala utile alle ispezioni e alla rimozione delle impurità depositare. Nella seconda vasca dovevano esserci invece i condotti di uscita dell’acqua, anche se nel disegno del Nervegna non sono rappresentati.
Il muro divisorio tra i due ambienti aveva il compito di far defluire, in maniera molto graduale e controllata, moderate quantità di acqua dalla prima alla seconda vasca attraverso la stretta apertura (130 cm di larghezza a 60 cm di altezza) posizionata a circa 120 cm dal piano. In questo modo si riduceva la quantità di acqua che attraversava i due ambienti, attenuando l’impeto del flusso così da permettere il deposito delle impurità per decantazione. Le altre aperture presenti sulla parete divisoria sono disposte ad un’altezza maggiore e servivano invece solo in caso di condizioni di “troppo pieno”.

Sui muri interni di entrambi gli ambienti vi sono alcuni pilastri larghi 60 cm ed alti sei metri, equidistanti 70-80 cm, “realizzati in opera quadrata lavorata a bugnato”. Da questi si innalzano le volte citate dal Della Monica e dal Camassa, caratterizzate da “nervature realizzate da file di blocchi lapidei”.
A differenza di quanto sostenuto nel 1885 da alcuni esperti in condotte, che attribuirono la realizzazione ad epoca medievale (XIII o XIV sec.), “lu puzzu ti la citati” – così definito dai brindisini dell’epoca – è stato sempre ritenuto di età imperiale romana, lo confermerebbero le caratteristiche costruttive di cisterne simili ritrovate ad Ostia Antica. E’ infatti riconosciuta la cultura del trasporto e del trattamento delle acque in epoca romana, l’abbondanza e la purezza erano condizioni indispensabili per la vita urbana, pertanto i sistemi di ingegneria idraulica erano tecnologicamente sofisticati ed unici in tutto il mondo antico.

Mancano però elementi validi che motiverebbero l’attribuzione del toponimo all’imperatore romano Traiano (52-112 d. C.), promotore di grandiose opere pubbliche come l’importante strada che porta in suo nome e che univa Benevento a Brindisi in maniera più agevole rispetto alla via Appia. A Brindisi Traiano ha sostato in attesa di imbarcarsi con il suo esercito per le sue campagne orientali contro gli armeni e i parti, e quindi avrebbe potuto ordinare la costruzione dell’opera idraulica per il fabbisogno dei soldati e dei cavalli, o magari l’abbia fatta realizzare prima, contestualmente al completamento della via Traiana, come atto di magnificenza alla città. Altre ipotesi attribuiscono il nome ad un arcaico brindisino omonimo del grande imperatore romano.
La denominazione è riportata su alcuni documenti medievali, come la pergamena del 1260 dove è scritto di una “alia domus terranea (…) in vicino putei Trajani”, e in documenti notarili e tributari dal ‘500 all’800.
Nel 1898, durante lo svuotamento della vasca, furono rinvenuti “tubi e lastre di piombo, vasi grezzi alcuni dei quali con segni e punti di colore bruno e, soprattutto numerose anfore, molte delle quali caratterizzate da graffiti”, ritenuti risalenti al X secolo. Contestualmente furono eseguite le analisi delle acque che evidenziarono un forte inquinamento causato dai pozzi neri posti lungo il percorso delle condotte sotterranee di adduzione delle acque, scavati nei “sabbioni tufacei”.

Lo stesso risultato fu confermato durante la campagna svolta nel 1928, quando il livello dell’acqua misurava l’altezza di circa cinque metri: queste risultarono “dolci e limpide benché inquinate”, ovvero ricche di sostanze organiche e di anidride nitrica, con tracce di anidrite nitrosa, fosforica e ammoniaca. Pertanto il pozzo fu chiuso ed interdetto all’uso.
Oggi esiste al centro della piazzetta solo un’apertura, coperta da un tombino, che permetterebbe l’ispezione dell’antico serbatoio ipogeo, sarebbe auspicabile una nuova campagna di studio da realizzarsi anche con l’ausilio di mezzi messi a disposizione della moderna tecnologia.