SALA D’ATTESA

di Ida de Giorgio per IL7 Magazine

“Mentre corri, fermati dal medico. Sono solo due prescrizioni, c’è la signorina Alessandra, ci metti un attimo”. Entro in ambulatorio, scarpette da running, abbigliamento tecnico, contapassi. Un atletico e sportivo quarantenne che non ha mai avuto bisogno del dottore.
In mano un bigliettino con due righe, scritte da mia moglie.
Ci sono quattro donne sedute, mi sembra in ordine di età, dagli oltre settanta ai sessanta circa. La stanza della segretaria è aperta. “Bene”, penso, “un attimo e sono fuori”. Alessandra non c’è, sarà nell’ambulatorio insieme al medico. Aspetto in piedi che torni, rivolto verso le pazienti in attesa, per non dar loro le spalle.
Mi sento come trafitto da invisibili aghi. La donna più vicina mi guarda fisso, con un ricciolo di sorriso all’angolo delle labbra. Mi ricorda la professoressa di matematica al liceo, un attimo prima di dire:” Vi avevo detto ieri che avrei spiegato, invece ho deciso di interrogare”.
Provo lo stesso panico di allora. Reagisco chiedendo: “La signorina è dentro?”. Il sorriso del clone della prof si trasforma in un ghigno:” Oggi non c’è, bisogna fare la fila”.
Sono in dubbio fra l’andarmene e il restare, che poi la scelta è fra sentir brontolare mia moglie e subire il godimento interiore di questa sconosciuta.
Fra i due mali, scelgo il minore. Mi siedo. Non faccio la classica domanda su chi è l’ultimo al quale accodarmi e azzardo un tentativo: “Solo due ricette per mia moglie, aspettiamo un bambino”. Nessuna reazione. Quattro befane acide.
“Anche io sono qui per mio marito”, comincia la numero quattro, quella più lontana da me: “Tiene la prostata.” Laconica. Mi astengo dal commentare che tutti gli uomini hanno questo accessorio.
“Pure mio marito”, aggiunge la due, “e pure il diabete. Che beveva assai acqua e ce l’hanno trovato”.
Anche io bevo molto, così consigliano gli esperti, soprattutto per chi fa sport. Non l’ho mai considerato sintomo di qualcosa.
“Tiene pure quella cosa allo stomaco, che gli brucia l’acido. Gli hanno trovato i batteri eli..qualcosa”.
Un po’ di acidità notturna, dopo qualche cena pesante e annaffiata dal vino, la sento anche io, ma questi batteri? Saranno pericolosi?
“Mio marito, invece, tiene l’artrosi alle ginocchia, che non ci può camminare più”, si inserisce la tre, “prima andava a giocare a calcetto con gli amici e ora manco le scale può fare.”
Mi guardo le rotule, mi sembrano perfettamente simmetriche e proporzionate. A osservare meglio, però, la destra è più sporgente. Fingo di cambiare posizione sulla sedia e me la sfioro. Sento come un bozzo strano.
Il clone della prof interviene: “Mio marito è morto, per la prostata. Io, invece, tengo la pressione alta e l’apparecchio al cuore”. Il ghigno è soddisfatto, nella gara delle disgrazie coniugali ha vinto lei.
A sentir parlare di prostata, avverto come una contrazione in loco e mi domando a quale età è consigliabile una visita preventiva.
“Anche io tengo la pressione alta”, rilancia la due, “mi prendo tre pillole, due la mattina e una la sera”.
Io continuo a guardare il muro davanti a me: c’è un cartello che enuncia la Legge sulla privacy, alla quale bisogna attenersi nello studio medico.
“Quella ci viene a tutti, prima o poi”, minimizza la tre, che evidentemente non accetta di perdere la gara degli acciacchi, “io sto aspettando che mi chiamano: mi devo operare alla schiena, perché rischio di rimanere sopra una sedia. E con mio marito che non si può muovere, chi mi assiste?”.
Raddrizzo le spalle e mi allungo. Mi sembra che sia tutto a posto. Se non ricordo male, a cinque o sei anni, ho fatto dei cicli di ginnastica isometrica per un principio di scoliosi. Devo chiedere meglio a mia madre, avrà conservato le radiografie? L’abitudine di correre determinerà uno schiacciamento vertebrale?
La quattro spiazza le altre con una puntata di tutto rispetto: “Io mi sono operata, al cuore, mi hanno messo due bypass. Ho rischiato di morire: non avevo nessun sintomo. Ho fatto un elettrocardiogramma, perché mi volevo iscrivere in piscina e mi hanno ricoverato subito.”
Il ghigno della prof scompare.
Quando ho fatto l’ultimo elettrocardiogramma? Mi concentro per sentire la regolarità del battito. Un infarto darebbe qualche avvisaglia, prima che sia troppo tardi?
La porta del medico si apre. Ne esce un vecchietto con un fascio di ricette in mano, le sventola in aria come fosse un biglietto vincente della lotteria. Guardo le due misere annotazioni nella mia mano e ne provo vergogna.
La due si alza. Io conto “meno tre”, pensando al mio turno.
Entra una coppia, la prof ripete la scenetta di prima. Perché non l’ho anticipata? Sono complice di quella subdola cattiveria.
I due si siedono; tempo cinque minuti e sono al corrente della periartrite della signora e dell’ernia inguinale del marito.
Ruoto lentamente le articolazioni scapolo-omerali, sento uno scricchiolio. Non potendo tastarmi gli attributi, mi chiedo se l’aver spinto l’auto in panne, due giorni prima, possa aver prodotto qualche danno. I pazienti aumentano e, con loro, la mia conoscenza del manuale di patologia medica.
Sto ruotando un polso alla ricerca di un eventuale sintomo di tunnel carpale, quando finalmente tocca a me.
Il dottore mi guarda stranito, provando a ricordare chi sono, non mi vede dal giorno in cui mi sono iscritto a lui e sono venuto a presentarmi.
“Si accomodi”, mi dice, “Che problemi ci sono?”
Mi siedo disfatto: “Eh, dottore, da dove comincio?”