Leopardi: diario di un naufragio

Sono nella scuola da quasi trent’anni come docente…più gli anni da studente…Beh! I conti? Non so farli, nè voglio farli…Non avrei preso Lettere e Filosofia se avessi voluto perdermi tra i numeri. Domani mattina farò la mia ennesima lezione di letteratura: Giacomo Leopardi, L’infinito. “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude” Faccio parte della generazione che “mandava a mente” le poesie, perciò la so a memoria, come tanti miei colleghi.

Non ho bisogno di leggerla: la so! E’ mia, mi appartiene, fa parte del mio modo di essere. Non la leggo. La dico.

I ragazzi mi guardano come una bestia rara…”La sa a memoria” bisbigliano. Ma io leggo il labiale. Questo accadrà domani, come sempre, come gli anni passati. Niente di nuovo. La solita vecchia solfa del “gobbo di Recanati” che non avendo una ragazza da amare, non trovando a casa l’abbraccio della madre, né uno straccio di diversivo nel “natìo borgo selvaggio”, se ne va, solo soletto, a straparlare di siepi, orizzonti, morte stagioni e naufragi virtuali. Ma perché, fin da stasera, sento l’emozione che precede quell’incontro?

Aprire le pagine dell’antologia come si schiude uno scrigno prezioso, trasformare quelle parole in una profonda avventura dell’anima…Sentire la vastità di quegli “interminati spazi”, la “profondissima quïete” e temere che “per poco il cor non si spaura”. Trasmettere agli studenti lo stormire delle piante appena sfiorate dal vento e ripensare all’eternità, al tempo passato e a quello presente… Leopardi è sempre lui, una certezza incrollabile in secoli di vita scolastica. Ogni anno lo si riprende, si approfondisce un po’ di più il suo mondo interiore…ma non è mai lo stesso: è come quando non si vede da tempo una persona cara e poi la si ritrova.

E’ sempre lei, ma è un po’ cambiata…E poi, il solo fatto di dover presentare un autore a studenti per i quali è quasi un illustre sconosciuto, studenti che non sono mai gli stessi, che vivono in una realtà di connessioni effimere, in cui si è amici di tutti e di nessuno, lo rende nuovo e sempre vivo. I suoi palpiti sono i loro e così i suoi sospiri. La sua voglia di amare è la loro, le sue paure sono le stesse dei giovani di tutti i tempi… Perciò mi prende l’emozione fin dalla sera prima. Avere il privilegio, “sul posto di lavoro” di non trovare scartoffie, pratiche, distinte o bollettini di pagamento, ma trovare un grande poeta, il più grande del suo tempo e “persone”, gli studenti, che con maggiore o minore coinvolgimento si faranno prendere dalle sue metafore, dall’intensità del suo mondo interiore, mi convince sempre più che questo, che chiamiamo lavoro, è l’esperienza più esaltante che possa capitare. “Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”.

Giusy Gatti Perlangeli