Cari ragazzi, non ho motivo di chiedervi scusa. La vostra Prof

Su Facebook da qualche giorno circola questa lettera (sotto c’è il link) e, francamente, non comprendo la frenesia con la quale studenti e colleghi si siano affrettati a condividerla ovunque. Intanto nasce, credo, all’interno di un contesto scolastico totalmente diverso dal nostro. Poi contiene un velato, ma neanche troppo, invito all’anarchia (“Mi dispiace che dobbiate chiedermi il permesso di uscire dalla classe per andare a fare pipì anche se avete già la patente, un lavoro part-time e state prendendo decisioni importanti per il vostro futuro dopo la scuola”) che non condivido affatto. Le regole, scritte o non scritte, della convivenza e del buon senso impongono rispetto reciproco.
E poi, scusa di cosa?
Mi dovrei scusare se fossi un’insegnante che non ci mette l’anima,
se mi rivolgessi a loro in modo sgarbato,
se non educassi con l’esempio, prima che con le lezioni.
Dovrei chiedere scusa se non preparassi con cura le mie lezioni affinché lo standard sia e rimanga alto,
se non dessi loro, giorno dopo giorno, un metodo per apprendere e un metodo per diventare migliori apprendendo,
se lasciassi che lo studio fosse solo finalizzato al voto,
se non li educassi all’onestà, civile e intellettuale. 
Quante volte chiudiamo un occhio e anche tutt’e due constatando che si stanno “aiutando” tra loro? Pur facendolo però, li abituiamo al lavoro e alla resa individuale, perché agli esami universitari, come in un colloquio di lavoro “ognuno sta solo sul cuor della terra”…e lì non ci sono i compagni a sussurrare suggerimenti o a passare bigliettini con le soluzioni…
Dovrei chiedere scusa se li soffocassi di compiti da fare, senza poi vedere se e cosa hanno fatto…perché così lancerei il messaggio…”tantoèinutilechelifacciochenonlicontrollanessuno”.
Mi dovrei scusare se, a fronte del lavoro che fanno ogni giorno, non li gratificassi,
se non li rispettassi, 

se non tenessi conto di bisogni speciali e normali,

se non prestassi attenzione alle difficoltà e alle eccellenze,
se entrassi in aula senza un sorriso,

se li derubassi dei sogni,
se non pensassi che è nelle mani di questi giovani che stiamo mettendo il futuro di questo Paese…
Di cosa dovrei chiedere scusa?
Di non sentire questo come un lavoro da compiere?
Di non stare nella pelle perché domani devo “farli incontrare con Foscolo e Dante”?
Di contagiarli con il mio entusiasmo che ancora cresce dopo trent’anni di ruolo nella scuola?

Cari ragazzi, sono un’insegnante e non ho motivo di chiedervi scusa!

Giusy Gatti Perlangeli

http://www.internazionale.it/opinione/lizanne-foster/2015/03/11/scuola-studenti-scuse