Parco della Rimembranza, 90 anni fa l’inaugurazione

di Giovanni Membola per IL7 Magazine

A novant’anni dalla sua inaugurazione, di quell’amato ed esteso polmone verde della città oggi resta solo una miserevole, desolata ed insignificante porzione. Il Parco della Rimembranza si estendeva su una ampia superficie a scarpata compresa tra via Circonvallazione (poi divenuta via Bastioni San Giacomo) a sud e viale Bastione S. Giacomo (oggi via Federico II) a nord, quindi da via Indipendenza – includendo al suo interno anche il Bastione conosciuto come “Lu Turrighioni” – giungeva nei pressi di via Gallipoli proprio a ridosso della palestra Galiano.
Fu inaugurato con una cerimonia semplice ed austera programmata per le ore 9.30 del 9 novembre 1927, una domenica “destinata alla celebrazione della vittoria delle valorose armi italiane nella grande guerra europea”, come riportato sul biglietto di invito alle autorità religiose, civili e militari a firma del sindaco Serafino Giannelli. Brindisi, anche in questa occasione, fu una delle ultime città italiane a realizzare questo luogo del ricordo dei caduti della prima guerra mondiale, infatti la creazione dei Viali e dei Parchi della Rimembranza in ogni città d’Italia venne resa obbligatoria da una legge del 1923, dove veniva stabilita la piantumazione di un albero – simbolo della rinascita – per ogni milite del luogo deceduto durante il conflitto, una iniziativa fortemente voluta dal regime fascista per mantenere viva la memoria di chi aveva sacrificato la propria vita per la Patria. Fu una sorta di innovazione rispetto ai consueti monumenti ai caduti fatti in marmo o metallo, divennero così luoghi di pregevole valenza paesaggistica, dove si distinguevano grandi varietà di piante, principalmente pini, cipressi, tigli e lecci, oltre ad essenze arboree tipiche di ogni zona.
Su ogni albero del parco era affissa una targhetta metallica, compito assegnato ai giovani balilla, sulla quale veniva inciso il nome del soldato morto in guerra, rispettando le norme precise dettate dal Ministero dell’Istruzione secondo le quali la dicitura doveva riportare: “In Memoria del (grado, nome, cognome) Caduto nella Grande Guerra il (data) a (nome della battaglia)”. Gli alberi dovevano essere sorretti da tre regoli in legno dipinti ognuno con i colori della bandiera italiana.
A Brindisi il “Comitato pro Parco della Rimembranza” attivo dal 1922 e presieduto da Giuseppe Antonelli, individuò la zona ritenuta più idonea, per l’ampiezza e la posizione, a poter accogliere gli oltre trecento alberi commemorativi degli altrettanti soldati brindisini morti durante il conflitto. Il Comune quindi acquistò il suolo dai coniugi Giudice D’Amelio per il prezzo pattuito di 20.000 lire ed avviò la sistemazione dei luoghi; i lavori furono affidati in economia alla ditta locale Protino Giuseppe fu Pietro sotto la direzione dell’ingegnere capo dell’ufficio tecnico del Comune Antonio Cafiero. Degli oltre trecento alberi piantumati nel parco, circa 500 furono donati dal conte Balsamo e altri da privati cittadini, mentre la Marina Militare mise a disposizione i mezzi per il trasporto delle piante. All’interno del parco furono realizzati alcuni viali intitolati al re, a Thaon de Revel, a Cadorna e a Diaz. Il costo finale degli interventi, comprendenti il movimento terra, le opere murarie ed idrauliche, l’acquisto degli alberi, lo scavo delle buche e la piantumazione superò di gran lunga quanto inizialmente preventivato.
Al centro del parco fu innalzato un Monumento ai Caduti brindisini della grande guerra che “recava in cima a una rupe un milite che incede risoluto impugnando con la sinistra l’asta della bandiera” (M. Guastella), un’opera dal valore patriottico che sostituiva la Vittoria Alata realizzata da Vito De Bellis da collocare in piazza della Vittoria, che però fu rifiutata dal Comune di Brindisi e prontamente venduta a Erchie, dove tutt’oggi è installata. La statua del milite non ebbe i consensi attesi e fu a sua volta sostituita, in via definitiva, dal monumento realizzato da Edgardo Simone posto in piazza Santa Teresa.
Per oltre trent’anni nell’ampio giardino non era raro trovare ai piedi delle piante, o sulle targhette onomastiche, fasci o singoli fiori deposti da parenti ed amici dei caduti, era un modo per ricordare il sacrificio di quelle giovani vite, in particolare per chi tra le tante vittime dell’immane tragedia non aveva trovato una degna sepoltura.
Era il luogo preferito dai brindisini per le passeggiate, per i giochi dei bambini, un ritrovo di svago e di serenità tanto amato soprattutto dai fidanzati, “quel parco era stato l’unico sito ove ci si incontrava con le nostre ragazze, per tenerci le mani e scambiarci bacetti lontano dagli occhi estranei” scrisse il dott. Antonio Di Giulio in una lunga lettera al direttore del Lion Club di Brindisi dove raccontava la decisione presa dall’amministrazione comunale, di cui faceva parte, riguardante la distruzione del parco voluta negli anni ‘50.
Nella stessa missiva scritta nel 1991 l’ex sindaco di Brindisi ricorda che nel parco “rimaneva il verde… anche esso, ricordiamolo bene, non proprio meraviglioso, folto ed esteso come si vuol far credere adesso”. Infatti dapprima scomparvero le targhette dagli alberi e quindi, un po’ alla volta, l’area del parco veniva ridotta per lasciare spazio a nuovi edifici, a partire dal palazzo per i dipendenti dell’Acquedotto Pugliese costruito nel 1950 tra il Liceo Ginnasio ed il torrione (a lato del cavalcavia De Gasperi), che alienò ben 1570 metri quadrati del giardino, quindi una medesima superficie fu concessa ai nuovi palazzi dell’INCIS.
Poi nel 1954, dopo anni di forti pressioni politiche, fu autorizzata la costruzione del Palazzo degli Uffici Finanziari, che insieme alla concessione gratuita dell’area per l’edificazione della sede provinciale della Croce Rossa, decretarono inesorabilmente la fine del parco. Fu realizzata anche l’odierna via Nazario Sauro che limitava ancor più lo spazio del verde e, a completare l’opera, ci si mise anche la natura: parte di ciò che restava venne diradata dal tremendo uragano che investì la città il 13 novembre del 1956. Ovviamente anziché rinfoltire il giardino fu deciso di utilizzare quello spazio per nuove costruzioni.
Di ciò che doveva essere il “simbolo della gratitudine perenne ai nostri fratelli immolati all’altare della Patria” rimase ben poco, solo alcune immagini del tempo conservano la memoria e raccontano di quell’oasi di verde tanto cara ai brindisini.