
Di Marina Poci per il numero 430 de Il7 Magazine
Ci sono voluti più di sette anni, ma alla fine ce l’ha fatta a veder riconosciuto il diritto ad essere risarcita per il danno non patrimoniale patito a causa dell’abbandono del padre, protrattosi per più di vent’anni anni e mai sfiorato da alcun tentativo di recupero del rapporto: con una decisione probabilmente destinata a fare giurisprudenza e già rimbalzata sui principali mezzi di informazione, il Tribunale di Brindisi, in una sentenza firmata dalla giudice civile Roberta Marra, ha condannato un uomo al pagamento di 78mila euro in favore della figlia, oggi 25enne e da poco anche madre, riconoscendo che la sofferenza di Chiara (nome di fantasia che useremo da qui in poi per tutelarne la riservatezza e garantirne l’anonimato) fosse causalmente e direttamente collegata al disinteresse del genitore. Un disinteresse che, nell’atto di citazione curato dagli avvocati Maurizio Salerno e Felice Grassi e notificato nel 2018, quando la giovane era appena diventata maggiorenne, è stato definito “totale e assoluto” sia sotto il profilo morale, affettivo ed educativo, sia sotto quello economico-finanziario (malgrado lo stesso Tribunale di Brindisi nel 2000 avesse emesso un’ordinanza che imponeva all’uomo il versamento di un assegno di mantenimento mensile).
Aveva appena quattro anni, Chiara, quando i suoi genitori si separarono e lei restò a vivere insieme alla mamma. Nel corso del processo è emerso come l’uomo non abbia mai ottemperato all’obbligo – sancito dal codice civile – di mantenimento, educazione, istruzione e cura morale e psicofisica dei figli, né abbia mai tentato di instaurare il benché minimo rapporto con la figlia: nessun incontro, nessun gesto di affetto, nessun sostegno economico. Un vuoto relazionale, derivante dal mancato esercizio della responsabilità genitoriale da parte del padre, che, secondo la sentenza, ha segnato in modo profondo e irrimediabile la crescita di Chiara.
Le testimonianze raccolte in aula hanno restituito l’immagine limpida e dolorosa di una ragazza che, sin dalla più tenera età e per tutte l’infanzia e l’adolescenza, ha manifestato insicurezze marcate, crisi d’ansia, difficoltà nelle relazioni sociali e un progressivo isolamento. Gli attacchi di panico, inizialmente sporadici, sarebbero divenuti via via più frequenti, condizionandone il rendimento scolastico e, più in generale, la qualità della vita.
A confermare la gravità delle conseguenze è stata la consulenza tecnica d’ufficio, che ha descritto la condizione psicologica di Chiara come pienamente compatibile con un quadro di “deprivazione paterna”. Lo specialista nominato dal Tribunale ha rilevato la presenza di un danno biologico permanente del 20%, ritenendo le ripercussioni psichiche “irreversibili e durature”, malgrado un parziale processo di maturazione e rielaborazione del dolore avvenuto intorno ai 24 anni, età in cui la giovane ha raggiunto una maggiore stabilità affettiva ed è divenuta madre.
“Durante il processo sono stati ascoltati diversi famigliari e anche la più cara amica di Chiara, la ragazza nella cui abitazione si rifugiava per confidarsi e sfogarsi. Si è trattato di una testimonianza decisiva, perché molto spesso i figli che vivono la mancanza di un padre o di una madre evitano di fare pesare all’altro genitore la situazione e tendono a parlare con più facilità con gli amici”, spiega Felice Grassi, uno dei due avvocati che ha sostenuto in giudizio le ragioni di Chiara.
“Il Giudice precedente, il dottor Ivan Natali, aveva già riconosciuto una provvisionale di 60mila euro. La somma è stata poi integrata dalla dottoressa Marra alla luce delle problematiche rilevate dal consulente, sino ad arrivare alla cifra finale di 78mila euro”, aggiunge ancora Grassi.
Sul piano del diritto, la giudice Marra ha richiamato i principi consolidati della Corte di Cassazione, ribadendo che la violazione sistematica e prolungata dei doveri genitoriali – quelli di mantenere, educare, istruire e assistere moralmente i figli, sanciti dagli articoli 147 e 148 e 315-bis del codice civile e dall’articolo 30 della Costituzione – non può essere ridotta a un semplice inadempimento confinato nell’alveo dei rapporti familiari. Al contrario, essa integra un vero e proprio illecito civile, riconducibile all’art. 2043 del codice, poiché incide su un diritto fondamentale, quello del figlio a crescere in un contesto affettivo equilibrato e rispettoso della sua dignità di essere umano, e, come tale, può dar luogo ad un’azione autonoma di risarcimento per i danni non patrimoniali subiti.
Chiara ha potuto adire l’autorità giudiziaria in virtù di un approdo giurisprudenziale, assestatosi in tempi relativamente recenti, che ritiene l’abbandono parentale un illecito omissivo permanente: il che implica che il danno non patrimoniale (relazionale, affettivo, psicologico) derivante dall’assenza della figura genitoriale non si prescrive in senso classico ma, al contrario, comporta un termine di prescrizione che inizia a decorrere dal momento in cui l’abbandono cessa, ossia da quando il genitore eventualmente riprende – o avrebbe potuto riprendere – contatti, o comunque smette di porre in atto la condotta omissiva. Da questa impostazione deriva che anche il figlio adulto — persino dopo molti anni — può ancora agire per ottenere un risarcimento, se dimostra che l’abbandono è protratto e ha causato un danno durevole.
Quanto alla quantificazione del danno, nel dettaglio, 30mila euro sono stati riconosciuti per il danno biologico risultante dalla compromissione permanente dell’equilibrio psichico della giovane; altri 48mila euro sono stati attribuiti a titolo di danno morale ed esistenziale, valutato in via equitativa in considerazione dell’impatto che l’abbandono ha avuto sul percorso di vita della giovane Chiara. Alla condanna principale si aggiungono le spese legali e quelle relative alla consulenza tecnica, anch’esse poste a carico del padre.
L’esito del procedimento brindisino rappresenta un tassello fondamentale nella linea interpretativa che afferma che l’abbandono genitoriale non è soltanto una mancanza affettiva, ma un comportamento giuridicamente rilevante, capace di generare danni profondi e duraturi: negli ultimi anni si sta riconoscendo il valore irrinunciabile della responsabilità genitoriale, non solo come obbligo materiale, ma come compito relazionale, educativo ed emotivo. Un vincolo che, quando disatteso, può lasciare ferite destinate ad accompagnare chi le subisce per tutta la vita.
“Non sono molte, in Italia, le sentenze di questo tipo, per due motivi. Il primo riguarda la ritrosia a portare in giudizio questioni così delicate, ma anche la mancata conoscenza, da parte della gente, dei propri diritti: non è così noto che l’assenza di un genitore possa causare un danno che, se adeguatamente dimostrato, è indennizzabile. Il secondo ha a che fare con le sensibilità dei singoli giudici, che sono diverse e non sempre rispettose dei diritti sanciti dal codice e dei principi stabiliti dalla Cassazione. Chiara ha avuto la fortuna di incontrare due magistrati molto sensibili, il dottor Natali prima e la dottoressa Marra dopo. Pendenti presso lo stesso Tribunale io e il mio collega abbiamo altri tre procedimenti nei quali si discuterà dell’abbandono genitoriale: da avvocato, posso soltanto augurarmi che si concludano nello stesso modo e sicuramente non mancherò di fare presente la decisione della dottoressa Marra. Chiara ha sofferto molto nella sua vita, ma adesso è una giovane donna diventata madre che ha tutta l’intenzione di essere un genitore migliore di suo padre”, conclude l’avvocato Grassi.