
Angelo Rogoli da ragazzino faceva il chierichetto al santuario di Materdomini con don Pietro De Punzio; Angelo Cisternino, diploma di perito termotecnico, lavorava (lavora ancora ndd) alla Fiat Avio di Brindisi; Fabio Clemente avrebbe avuto un futuro da calciatore se un grave infortunio non lo avesse fermato quando era nelle giovanili del Pisa; Paolo Pagano per campare lavorava in fabbrica e distribuiva volantini, ma già a dieci anni scriveva canzoni.
Ecco, la musica è il primo indizio. Perché più di qualcuno si sarà chiesto chi siano i quattro di cui sopra. Sono i “Boomdabash” (nome che ricorda lo slang giamaicano), il gruppo musicale nato a Mesagne (Angelo & Angelo, i due fondatori, sono mesagnesi) e che ha avuto la definitiva consacrazione nel Festival di Sanremo 2019. Ora non staremo a parlare, anche perché non ne abbiamo titolo, delle loro qualità musicali e canore, né siamo in grado di prevedere quali dimensioni potrà raggiungere il loro già considerevole successo nazionale e internazionale. Ci preme invece sottolineare come in un Festival che notoriamente rappresenta nel bene e nel male il nostro Paese, e che mai come quest’anno ha riservato pagine di scarsa umiltà, incapacità di accettare i verdetti e polemiche che hanno quasi cancellato lo spirito di allegria che dovrebbe avere una competizione canora, i Boomdabash hanno vinto.
E’ vero, la canzone non si è classificata tra le prime, ma la loro umiltà, quell’orgoglio di provenire “da un paese di 30 mila abitanti” (e lo hanno detto con la voce emozionata in ogni incontro con i giornalisti), la sincera gioia per aver trovato finalmente la strada di un successo inseguito per anni, quello vero che solo il Festival di Sanremo può attribuire, ne sono stati il simbolo più genuino. Qualcosa che ha riempito d’orgoglio Mesagne e tutti i brindisini perché ha rappresentato anche una sorta di rivincita di una città e di un territorio che troppo a lungo sono stati tristemente etichettati.
I Boomdabash hanno portato il Salento nel loro cuore, a cominciare da quelle giacche in apparenza troppo vistose ed eccentriche ma che nascondevano un messaggio d’amore per la loro terra: un ulivo stampato sul petto. “È un simbolo che ai salentini sta particolarmente a cuore viste le ultime vicende”, hanno spiegato. “Gli ulivi per noi sono casa, tradizione e cultura. Sono il nostro futuro e il nostro passato: c’erano quando noi non c’eravamo, ci sono adesso anche se forse qualcuno vorrebbe che non ci fossero più, e ci saranno sempre anche quando non saremo più su questa terra”. Un altro messaggio di amore e di umiltà lo hanno lanciato dal palcoscenico di Domenica In, parlando di Loredana Bertè, vincitrice morale del festival. La cantante negli ultimi anni era in netto declino ed è tornata all’improvviso in auge grazie all’abbinamento con i Boomdabash insieme ai quali la scorsa estate aveva interpretato “Non ti dico no”, divenuta una hit suonata ovunque. Proprio grazie a quel successo la Bertè è tornata meritatamente in auge, ma i quattro ragazzi non se la sono tirata: “Abbiamo imparato tanto da lei e dalla sua devozione per la musica, ci ha insegnato che la musica ti salva. E’ una grande donna”.
I Boomdabash sono così, sul palcoscenico di Sanremo o su quello di Domenica In, come nel reparto di Pediatria dell’ospedale Perrino di Brindisi dove sostengono le iniziative di Clown Terapy, o con l’Associazione donatori midollo osseo, della quale sono testimonial. Quasi non ci credevano quando, di rientro da Sanremo, si sono ritrovati ad attenderli all’aeroporto di Brindisi centinaia di fans.
In quel momento erano di nuovo Angelo, Angelo, Fabio e Paolo, quelli che animavano le feste di compleanno, quelli che hanno studio di registrazione nel piccolo Lab Creation nel cuore di Mesagne, quelli che fanno ancora la passeggiata in villa, quelli che meno male che ci sono.