Mentre tutti, a Brindisi e provincia conoscono il Parco Urbano del Cillarese che, con i suoi 45 ettari fatti di laghetti, prati e piantumazioni di essenze arboree, è quello più grande di Puglia, così come anche il canale Cillarese, che rappresenta la parte terminale, orami da decenni canalizzata, di quello che un tempo era un vero e proprio fiume che sfociava nel Seno di Ponente e che per i primi abitanti di Brindisi, alcuni millenni fa, rappresentava, la vita, meno conosciuta è l’Oasi Naturalistica dell’Invaso del Cillarese, vale a dire quello che c’è oltre la diga che da quasi quarant’anni sbarra la strada al vecchio fiume che, in qualche modo, continua a dare la vita a Brindisi ed ai brindisini, fornendo di preziosa acqua l’intera zona industriale della città ed alimentando anche i laghetti del Parco Urbano.
E sicuramente sono pochi anche quelli che conoscono l’origine molto nobile del nome “Cillarese” che deriva niente meno che dai signori spagnoli che tre secoli addietro dominavano nell’area salentina e che erano anche i proprietari della antica masseria fortificata, anche essa conosciuta da secoli a Brindisi come Masseria Cillarese, di cui faceva parte anche il fiume, le sue sponde e tutta l’area circostante; in particolare il riferimento è al giureconsulto, ma poi, secondo un costume in voga all’epoca, anche Vescovo, Francesco Antonio de Los Reyes, nato il 29 maggio 1694 e morto il 13 febbraio del 1769, per i brindisini, che anche all’epoca preferivano semplificare anche i più altosonanti e nobili nomi, semplicemente “Cillo” Reyes.
E, in effetti, scartabellando vecchi giornali fino all’inizio del secolo scorso, allorquando si cominciò a bonificare quell’aerea paludosa ed corso del fiumiciattolo fu costretto in un alveo artificiale, il nome che fu dato gli fu di canale “Cillo Reyes” era ancora troppo difficile per i nostri nonni che preferirono di gran lunga il più semplice e pronunciabile toponimo “Cillarese”
Iniziamo la passeggiata naturalistica in compagnia della biologa Paola Pino d’Astore che, munita di biro, binocolo e blocchetto, ne approfitta per censire gli animali presenti, partendo da dove tutto finisce, cioè lì dove l’acqua dolce del canale Cillarese si mischia a quella salata del porto interno di Brindisi e risaliamo fin dove è possibile l’alveo del vecchio fiume alla scoperta dei tesori nascosti.
Lasciata l’auto nei pressi dei Cantieri Balsamo, dal ponticello pedonale guardando verso il mare si può osservare il gruppo, ormai stanziale, dei grandi e neri cormorani che si asciugano pigramente le penne ai raggi del sole autunnale, sbirciando verso il canale, quasi nascosti sotto il ponte carrabile percorso quotidianamente da migliaia e migliaia di autoveicoli in entrata ed uscita da Brindisi, un elegante Airone Cenerino che appena si rende conto di essere osservato dispiega le sue grandi ali e vola in direzione dell’invaso, ed una bianca Garzetta intenta a dar la caccia a dei piccoli cefali che, numerosi, cercano a loro volta nutrimento nelle acque salmastre della foce.
Ed è proprio la ricchezza di nutrimento sia di origine vegetale che animale propria delle acque salmastre ad attirare una gran specie di uccelli selvatici stanziali, svernanti e migratori.
Spostata l’auto nell’ampio parcheggio del Parco Urbano del Cillarese ci affacciamo sul bordo del canale e, da ogni direzione, si avvicinano, starnazzando, centinaia di anatre germanate, varietà domestica derivante dalla specie selvatica Germano reale, i cui maschi hanno una caratteristica testa col verde smeraldo (da cui il nome dialettale di capuverdi), che, da una decina di anni a questa parte, introdotte, a quanto si dice, da un cacciatore che ne aveva un paio di coppie da liberare, hanno colonizzato il canale e, persa ogni diffidenza nei confronti dell’uomo, si comportano come ogni animale di cortile e considerano gli umani alla stregua di generosi dispensatori di cibo; anzichè pane duro ed avanzi di cibo, come usano fare più, essendoci documentati sulla loro corretta alimentazione, lanciamo il mix di mais, granaglie, pellettati vegetali e pescetti essiccati, che hanno un gran successo, tant’è che, sparsasi velocemente la voce, giungono sul posto anche una cinquantina di gabbiani attratti da quello starnazzare e da quella confusione che, nel linguaggio aviario, significa, evidentemente: accorrete, qui c’è cibo!
Più in disparte, in quanto evidentemente con l’animo più selvatico o, semplicemente, perché più timide, una dozzina di Gallinelle d’acqua preferisce allontanarsi risalendo la sponda opposta del canale, per nascondersi tra il fitto della vegetazione.
Osservando le anatre più da vicino si vede anche qualche papera bianca decisamente del tipo domestico, evidentemente acquistata da piccolina in qualche fiera e poi, secondo un cattivo costume purtroppo assai in voga, abbandonata quando ci si è resi conto di non voler avere a che fare con un animale adulto.
Brindisi ha così familiarizzato con la presenza urbana di questi splendidi uccelli mostrando attenzione per il loro benessere, ad esempio nel fornire cibo o segnalando alla Polizia locale tentativi di cattura di qualche esemplare o in caso di animali in difficoltà, chiedendo l’intervento del Centro di recupero Fauna Selvatica della Provincia di Brindisi.
In effetti questi interventi ci sono stati e non solo per le anatre, ma anche per altri uccelli acquatici presenti nel Canale del Cillarese, come i Cormorani e gli aironi. Per motivi di sicurezza, dovendo agire nell’alveo del canale, gli operatori del Centro Faunistico, in questi casi hanno sempre coinvolto il Comando Provinciale e Nucleo Sommozzatori dei Vigili del Fuoco di Brindisi raggiungendo risultati di immediato recupero, come ad esempio nel caso di un Airone cenerino con un’infezione alla zampa e frattura dell’ala o di un Cormorano con una lussazione dell’ala, entrambi rilasciati in ottima salute, a fine degenza, nell’Oasi di Protezione “Invaso del Cillarese”.
Risalendo il canale per qualche centinaio di metri, l’aspetto diventa decisamente più naturale dal momento che la natura ha battuto il cemento e si è rimpossessata del greto del fiume con una vegetazione, man mano che si risale, sempre più fitta, che costituisce l’habitat naturale per gli animali più schivi e selvatici ed è qui, infatti, che rivediamo sia l’airone cenerino che le garzette che si erano allontanate dalla foce al nostro arrivo e che, di nuovo infastidite dalla nostra presenza, riprendono il volo e puntano diritti alla diga dell’invaso.
A questo punto deviamo verso i laghetti artificiali del parco urbano inaugurato, dopo una decina di anni di lavori, nel 2012, ed anche qui riusciamo a beccare qualche uccello un po’ più inconsueto mescolato alle tante anatre germanate: una grande Oca indiana (Anser Indicus) sicuramente fuggita da qualche allevatore amatoriale, essendo assolutamente al di fuori del suo areale e non figurando nemmeno fra gli animali da cortile che possano essere stati accidentalmente o volontariamente introdotti nel parco ed un’altra Garzetta che questa volta, non si allontana più di tanto e mi permette di immortalarla, da distanza di sicurezza, in uno scatto mentre posa sulla staccionata di legno opposta al lato di nostra osservazione.
L’acqua dei laghetti di estate è brulicante di grosse tartarughe americane (genere Trachemys), ora in letargo, per cui se ne vedono solamente un paio che fanno capolino con la testa fuori dall’acqua: si tratta, chiaramente, delle testuggini acquatiche vendute da neonate nei mercatini delle fiere e delle feste patronali ed anche nei negozi specializzati e, poi, abbandonate a decine da quanti dopo averle acquistate della misura di pochi centimetri si sono resi conto che questi voraci carnivori diventano in breve animali con un carapace che può arrivare fino a mezzo metro di circonferenza e, allora, sono state abbandonate irresponsabilmente nel primo corso d’acqua disponibile.
Certo è meglio che siano in laghetti artificiali circoscritti, come quelli del Parco del Cillarese che abbandonati nelle zone umide e ambienti naturali del nostro territorio, dove invece la nicchia ecologica è o dovrebbe essere occupata dalla più piccola e vulnerabile Emys Orbicularis la testuggine palustre europea, protetta da convenzioni internazionali e dalla Direttiva Habitat, le cui popolazioni sono in declino a causa dell’inquinamento delle acque, della bonifica delle aree palustri con frammentazione degli ambienti residui e dalle catture illegali compiute dall’uomo.
Le testuggini americane adulte, infatti, sono in grado di predare oltre che pesci ed anfibi anche altre tartarughe di dimensioni minori e pulli di anatre e di altri uccelli acquatici ed essendo altamente invasive e pericolose per la fauna autocona, per esse ora vige il divieto di importazione, vendita, donazione, riproduzione e rilascio in natura.
La passeggiata continua risalendo ancora verso la Diga e, immersi tra la vegetazione, vi sono altri due laghetti, più ricchi di vegetazione e naturalizzati da dove, a sorpresa, abbiamo osservato un rapido passaggio di un azzurrissimo Martin Pescatore che, con il suo classico cinguettio, attira la nostra attenzione.
Fatto ancora qualche passo, termina il parco urbano ed una recinzione con due cancellate rende impossibile proseguire oltre, anche se a distanza di un centinaio di metri, possiamo osservare che nello specchio acqueo ai piedi della Diga vi sono aironi, cormorani, folaghe e, con l’aiuto del binocolo, riusciamo anche a scorgere un altro gruppetto di simpatiche gallinelle d’acqua.
Al termine della passeggiata la nostra amica Paola ha contato 224 anatre germanate, 132 gabbiani comuni, 35 gallinelle d’acqua, 19 taccole, 13 cormorani, 5 folaghe, 2 garzette, un airone cenerino, un’oca indiana, un martin pescatore e passeriformi come Codirosso spazzacamino e Pettirosso. Niente male in appena due ore.
Per quanto riguarda il grande invaso, di oltre cento ettari, che si trova al di là dello sbarramento creato dalla Diga, esso, fa parte, insieme all’area circostante, di quella che è l’Oasi di Protezione della fauna istituita nel 1992 con un provvedimento della Giunta Regionale Pugliese,
L’invaso del Cillarese, nonostante la sua origine “artificiale” quale prodotto di tipo ingegneristico , ha un ruolo ecologico importante nel sistema delle zone umide della provincia di Brindisi per la sosta, lo svernamento e la riproduzione degli uccelli acquatici. Negli ultimi 15 anni sono state censite circa 45 specie, di cui 15 particolarmente protette
La sua grande estensione e la profondità dell’ambiente acquatico permettono la presenza di anatre tuffatrici quali il Moriglione, la Moretta e la Moretta tabaccata. Alcuni alberi lungo il versante dell’invaso fungono da dormitori di aironi (Airone cinerino, Garzetta, Airone bianco maggiore, Airone guardabuoi) e di Cormorani. Durante il passo migratorio si possono osservare rapaci come il Falco pescatore, l’Albanella minore ed un bel numero di Falco di palude.
Ricordiamo che l’invaso, a differenza del parco urbano non dipende dal Comune di Brindisi, ma è sotto la competenza del Consorzio ASI di Brindisi che ne è l’ente proprietario e che da qualche anno a questa parte sta puntando alla valorizzazione dell’area naturalistica del Cillarese con un progetto mirato alla migliore utilizzazione del bacino di accumulo della Diga del Cillarese e delle aree limitrofe all’invaso. Il progetto prevede la realizzazione di un percorso naturalistico, con accesso dall’area immediatamente limitrofa all’impianto di trattamento acqua e possibilità di visitare, percorrendo diversi percorsi, l’intera area dell’oasi fino al capanno di osservazione degli uccelli acquatici posto ai margini del lago.
Insomma, a breve, i brindisini e non solo i brindisini, potrebbero godere a pieno anche di questo altro spettacolo che la natura è in grado di offrirci.