Sarebbe un errore grossolano considerare gli incidenti avvenuti ieri sera come un caso di “napolismo”, e ancor di più attribuirli esclusivamente alla regia dell’estremismo politico di destra o della criminalità organizzata. È probabile che Forza Nuova abbia avuto un ruolo determinante nell’innesco degli scontri e sembra sia stato già provato il ruolo dei clan dei quartieri spagnoli che avrebbero fomentato e armato i manifestanti. Ma i fascisti e la camorra esistevano anche nell’inverno scorso e mai si erano verificati episodi di violenza così esasperata, nonostante probabili tentativi di infiltrazione.
Quello di Napoli non può essere liquidato come un caso clinico, ma deve essere guardato invece come l’avamposto di una povertà e di una disperazione che la pandemia ha esasperato al punto che il rischio di una nuova chiusura totale trasforma le città del sud in una polveriera. Oggi tocca a Napoli, domani potrebbe riguardare altre realtà a noi ancora più vicine.
La necessità di circoscrivere la diffusione del coronavirus, con restrizioni sempre più severe, ulteriormente aggravate con il nuovo Dpcm che entrerà in vigore da domani, non può essere amministrata con la guasconeria con cui il governatore De Luca ha annunciato la chiusura totale della Regione, scatenando una violenza assolutamente non giustificabile ma che viene alimentata dalla disperazione di un’intera classe sociale per la quale il coprifuoco e il lockdown significano un nuovo azzeramento dei guadagni proprio nel momento in cui tentavano di riprendersi dai danni e dalle sofferenze economiche subite nella scorsa primavera.
Il ruolo della politica in questa fase sarà fondamentale, tanto quanto quello dei comitati scientifici e degli staff medici, perché parallelamente al contenimento del virus stavolta sarà determinante saper fronteggiare la disperazione e trovare le contromisure per rendere meno tangibile il gap esistente tra chi durante il lockdown percepisce ugualmente lo stipendio, e magari guadagna di più, e chi invece azzera gli introiti e rischia la fame. Perché laddove le istituzioni non saranno in grado di farlo con adeguate politiche di sostegno, sarà gioco facile per la criminalità organizzata farne le veci facendo leva sulla disperazione.
I moti di Napoli non rappresentano solo un campanello d’allarme, sono la prova che le istituzioni non sono chiamate a fronteggiare solo l’emergenza sanitaria, ma anche quella sociale. E quest’ultima rischia di dividere in due il Paese e di provocare danni che nessun vaccino potrà mai contenere.