
La casa era invasa dal profumo delle mele, quando l’uomo entrò chiudendosi dietro la porta d’ingresso. Si tolse il cappotto e gli scarponi ed infilò le pantofole. Un brivido lo avvolse, dandogli un tremore improvviso. Poggiò le mani gelate sul termosifone, trattenendole finché il calore non gli scottò le dita. In cucina sua moglie era intenta a mescolare qualcosa con un cucchiaio di legno. “Strudel stasera?” chiese l’uomo, col tono stupito di chi non si aspetta il dolce in una sera feriale. “Non ci sperare”, rispose la moglie, “faccio la marmellata con lo zenzero e la cannella che piace tanto ad Antonio”. L’uomo scosse la testa: “Figurati se non ti davi da fare per il ritorno del figliol prodigo. Ma è sicuro che riesce a rientrare per Natale, con questa crisi dello spread e della brexit? Non si poteva trovare un lavoro più vicino?” La donna continuò a rimestare, dopo aver assaggiato la confettura con la punta del mestolo: “Peggio per te, che l’hai incoraggiato, con la storia di inseguire le passioni, di fare qualcosa che gli piacesse veramente. E poi certo che torna per Natale, chi vuoi che resti lì per le feste? Figurati se lascia la ragazza da sola. Non brontolare sempre, pensa se avesse deciso di fare il cronista di guerra. Altro che comodo comodo a due passi da casa.” L’uomo non rispose, la moglie aveva ragione, anche se tutti i servizi sui gilet gialli non lo facevano stare tranquillo. Sapeva che la donna condivideva i suoi stessi timori, ma non lo dava a vedere: una madre non è mai serena se un figlio è lontano, neanche quando è soltanto fuori a cena con gli amici.
Si avvicinò alla credenza. Infilate ai bordi delle ante c’erano delle foto. Antonio piccolo, con la tuta da sci e un cappello di lana col pompon. Adolescente, con la cuffia e la consolle da dj, alla festa di compleanno dei diciott’anni. Il giorno della laurea, con il tocco e un mazzo di girasoli. Esultante, con la pagina di un giornale con il suo primo articolo. Compunto, con un microfono fra le mani, mentre intervistava un deputato. Suo figlio aveva sempre voluto fare il giornalista, anche se lo sapeva che era una vita dura e spesso priva di soddisfazioni. Si sentiva un padre orgoglioso, aveva cresciuto un bravo ragazzo. Avvertì un altro brivido. “Fa freddo, stasera”, disse, prima di sedersi sul divano e accendere il televisore. “Guarda le previsioni. Che tempo c’è a Strasburgo? Non si copre mai abbastanza, ci manca solo che si prenda l’influenza”, gli chiese la moglie, mentre disponeva i vasetti di vetro sul tavolo della cucina. Stava per cambiare canale, quando apparve il logo dell’edizione straordinaria del Tg. Il tremito tornò, scuotendolo, appena il cronista cominciò a parlare. Un barattolo di vetro rimase sospeso a mezz’aria. Lo squillo del telefono irruppe nella stanza.
Antonio teneva le mani strette sotto le ascelle. Non si ricordava mai di prendere i guanti, uscendo di corsa dall’albergo. O forse li aveva lasciati da qualche parte, mentre caracollava dietro seriosi parlamentari che si negavano puntualmente alle sue domande. Non è che fosse distratto, era solo molto concentrato. Occhi ben aperti, per cogliere sfumature di sguardi e orecchie come radar, per intercettare mezze frasi da interpretare per lo scoop della vita. Anche quella giornata era finita senza una vera notizia. Forse la gente si era talmente abituata alle beghe delle due dame d’Europa o alle proteste di piazza, che avere qualcosa di veramente esplosivo da pubblicare era diventato impossibile. Aveva il naso chiuso e ogni espirazione si trasformava in una nuvoletta di vapore. Si strinse meglio la sciarpa intorno al collo e affrettò il passo, sua madre si sarebbe arrabbiata, se si fosse ammalato. Sentì un grido e poi un colpetto alla nuca, come lo scappellotto che gli dava il padre quando lo scopriva a leggere fumetti nascosti fra le pagine del libro di matematica.
Si ritrovò seduto nella sua stanza, a fissare i ritratti sbiaditi di alcuni premi Pulitzer, su un foglio di giornale appuntato con le puntine sulla porta. E la sua foto aggiunta in fondo, con una corona disegnata sulla testa con un pennarello giallo. Il freddo formava ghirigori di ghiaccio intorno al vetro della finestra. Riprovò l’emozione del suo primo intervento in radio, la paura di balbettare o dimenticare la scaletta. Vide le lacrime trattenute e l’orgoglio negli occhi di suo padre, mentre stringeva la mano del suo relatore. Lo sguardo indagatore di sua madre, mentre le presentava la sua ragazza. Il gusto del sale, la prima volta che aveva visto il mare. Le battaglie a palle di neve, nel cortile della scuola. Il gusto amaro della prima sigaretta e il sapore del primo bacio. Le liti furibonde con sua sorella, immediatamente dimenticate. E poi il vestito da sposa di sua moglie e la bocca sdentata di suo figlio. Il primo giorno di scuola del suo bambino e la conquista del diploma. Il primo paio di occhiali e la pancetta. I nipoti e la poltrona. E profumo di mele e zenzero e cannella. Sempre più lieve. Sempre più lontano.
Per Antonio Megalizzi, per i sogni persi nel vento un freddo lunedì di dicembre.