Primo tuffo dopo la quarantena: pochi rifiuti ma tante zampe di gallina per polpi

E’ stata davvero dura stare lontano dal mio mare per oltre due mesi. Sfogliando il logbook, cioè quella sorta di “giornale di bordo”, ormai computerizzato, in cui noi subacquei saremmo tenuti ad annotare i dati salienti di ogni singola discesa in mare – come data, luogo, profondità massima, tempo di fondo, specie marine particolari incontrate, ecc, ma che per chi è appassionato di fotografia subacquea è quanto mai utile per archiviare ordinatamente le foto scattate in ogni singola immersione – mi sono reso conto che la mia ultima uscita, prima dello stop da pandemia, risaliva al pomeriggio di domenica 23 febbraio a Taranto, mentre per risalire alla mia ultima effettuata in città ero costretto ad andare indietro fino a gennaio.
La poca chiarezza di chi, a livello nazionale, ha cominciato a sfornare decreti e controdecreti con cui ha letteralmente annichilito le libertà individuali, anche quelle riconosciute dalla costituzione, dei cittadini centellinando, senza una vera logica, ciò che poteva essere fatto e ciò che era espressamente vietato, lasciando ampie zone d’ombra e troppo estesi margini di discrezionalità interpretativa a chi, sul territorio, aveva l’ingrato compito di mettere freno alla pandemia, ha fatto si che, anche quando sembrava che si potesse tornare a immergersi, quanto meno non in gruppo e rispettando, ovviamente ogni prescrizione dettata dal buon senso, prima ancora che dal burocrate ministeriale di turno, restassero dubbi non fugati nemmeno da quanto il governatore della Puglia cercava di consentire con un certo anticipo rispetto ad altre regioni più colpite dal virus.
Ad un certo punto, infatti, si è stabilito che ci si poteva recare a mare per effettuare pesca sia essa sportiva che amatoriale, sicchè secondo l’interpretazione corrente che ne veniva data, sarei potuto andare a mare armato di fucile subacqueo per far saltare il cervello ad un dentice, ma non per fotografare un cavalluccio marino. I troppi dubbi ed il clima di coprifuoco che si respirava dalle parti della litoranea come anche in città, mi hanno suggerito di pazientare ancora qualche giorno ed attendere la successiva ondata di provvedimenti mitigatori.
Finalmente è venuto il via libera all’attività sportiva e motoria, sia pure a livello individuale, anche se si è faticato non poco a capire se ciò poteva essere fatto ovunque o, esclusivamente sottocasa, come anche qualcuno sosteneva.
Non volendo correre rischi di sorta e volendo attenermi al rispetto delle regole, anche perché, stante la mia professione di avvocato, gli amici subacquei con cui solitamente mi immergo chiedevano a me chiarimenti, ho cominciato ad informarmi ed a chiedere a chi ritenevo potesse saperne più di me, se finalmente, dopo due mesi e mezzo, potevo tornare, per usare un termine gergale a me assai caro, a “sumbuzzarmi” o se avrei dovuto attendere ancora per uscire dalla gabbia.
Le risposte giuntemi dai vari preposti variavano dal “non dovrebbero esserci problemi” a “non ne sarei così sicuro”, da un salomonico “dipende” a un sincero “non saprei” fino a quella più dotta e burocratica in assoluto che recitava, più o meno, così: “nel caso in cui per subacquea debba intendersi una attività sportiva la stessa è certamente consentita, nel caso in cui debba intendersi come attività ricreativa, la stessa non è ancora consentita, salvo, poi, alla mia successiva richiesta di chiarimenti in ordine alla circostanza che si trattava sicuramente di attività motoria svolta a livello amatoriale che poteva svolgersi anche individualmente, è calato un tragico silenzio ed un “non so che dire”, seguito da un disperato tentativo di recuperare punti con il suggerimento: “ma perché non vai semplicemente a pesca?”. La risposta più simpatica, indubbiamente, è stata quella fattami via Facebook: “l’importante è che continui a fare quelle splendide foto, altrimenti non ci serve…”
Ed è così che mi sono ritrovato, tanto per cambiare, a dovermi barcamenare fra codici e codicilli per trovare, dopo ampia riflessione, la dritta.
L’attività subacquea, al pari della pesca sportiva ha una propria federazione la F.I.P.S.A.S., nata nel 1942 con il solo settore della pesca sportiva per poi estendersi alla apnea, al nuoto pinnato ed alle attività subacquee e se non tutte possono considerarsi agonistiche, tutte quante possono essere svolte semplicemente a livello amatoriale, come accade anche per le altre discipline sportive.
Per cui, fermo restando che i diving, come le palestre e i luoghi in cui si svolgono sport di squadra rimangono ancora chiusi e che non è ancora possibile organizzarsi per andare ad immergersi dalla barca o dal gommone, nulla osta, per usare un termine assai caro a Camilleri e Montalbano, ad andare a “catafottersi” a mare.
Raccolti questi dati e posto un espresso quesito al settore “Salute e Sport” della Regione Puglia, si è avuto finalmente il via libera con un, sufficientemente chiaro, “sono attività consentite se svolte individualmente all’aperto (e che in piscina?) per cui le immersioni sono autorizzate solo da terra, nel rispetto di tutte le prescrizioni”: alleluia, finalmente habemus papam!!!
Occorreva, in ogni caso, rispettare il divieto di assembramento oltre che tenere conto della interpretazione incredibilmente restrittiva che veniva data alla possibilità di andare a mare (secondo cui si poteva passeggiare in riva al mare e ci si poteva fare il bagno oppure si poteva andare a pesca, ma non sostare sul bagnasciuga), sicchè secondo alcuni rimaneva ancora vietato lo stare per qualche minuto fermo in riva la mare anche solo per assemblare l’attrezzatura ed indossare la muta, specie se in due o più persone, fosse anche a debita distanza.
A questo punto, per tagliare la testa al toro, ci siamo dati appuntamento alle otto del mattino di domenica alla Conca di Cala Materdomini, senza il consueto caffè al bar in qaunto non consentito, con l’attrezzatura già assemblata – anche per non equivocare fra assemblamento ed assembramento! – e con la muta già indossata a metà, per poterci calare in mare alla spicciolata nel giro di pochi momenti l’uno d’altro.
Intanto, sull’ampia scogliera, ci sono decine di pescatori con canna o semplice lenza, in luogo dei tre o quattro che eravamo abituati ad incontrare pochi mesi fa, oltre alla signora Vita che dal finire della scorsa estate, quotidianamente, porta del cibo ad un simpatico cagnetto che fu abbandonato sul posto da un qualche scellerato, ed a cui noi frequentatori della Conca si siamo un po’ tutti affezionati.
Nel frattempo passano un paio di pattuglie di forze dell’ordine, in moto ed in auto: una rapida occhiata a distanza e nulla da dire o eccepire; anche i miei più dubbiosi compagni di immersione tirano un sospiro di sollievo, quasi increduli a dovermi dare ragione.
L’effetto quarantena si vede: siamo un po’ tutti ingrassati: devo ammettere di aver incontrato qualche difficoltà a far scorrere la cerniera per poter chiudere la muta che mi stringeva e mi tirava da ogni parte quando, appena tre mesi fa, mi calzava a pennello.
Al primo contatto con l’acqua e, ancor più, al primo respiro attraverso l’erogatore, provo un piacere incommensurabile per la ritrovata libertà e non appena, pianeggiando a mezz’acqua, attraverso la prima nuvoletta di rondinelle di mare, quel piacere si trasforma in ritrovata felicità.
Come da previsioni ci sono pochi rifiuti in mare, sicuramente a causa dell’annullamento delle scampagnate di Pasqua e Pasquetta e di quelle dei ponti del 25 aprile e del primo maggio, ma, cosa che non avevo assolutamente previsto, abbiamo rinvenuto una quantità enorme di lenze abbandonate, spezzate, contorte o tese fra gli scogli ed una, proprio a ridosso della più alta delle pareti a picco sul mare, da cui pendeva, macabro, una testa e mezza lisca di un grosso pesce che aveva abboccato e giaceva penzoloni in balia della debole corrente e di cui, evidentemente, altri pesci ed organismi marini si erano nutriti.
Certo, può capitare anche al pescatore più esperto, di perdere la lenza a mare, di strapparla nel tentativo di recuperare un pesce perché incastrata sugli scogli, ma una tale quantità si spiega solo pensando ad una moltitudine di “sedicenti” pescatori, nemmeno della domenica, ma “una tantum”, cioè la schiera di coloro i quali pur di uscire da casa e poter stare qualche ora all’aria aperta, si sono riversati sulla diga e sulla costa armati di ogni strumento atto, in via teorica a pescare.
In questa stessa ottica ho interpretato le numerose zampe di gallina che giacevano sul fondale a 7-8 metri di profondità, segno che gli improvvisati pescatori di polpi che, evidentemente ricordavano per sentito dire questo antico metodo di pesca del gustoso cefalopode, non erano particolarmente addentro ai meccanismi.
Unico essere marino attratto da una di queste zampe mi è sembrata una bella stella marina rossa che gli giaceva vicino quasi a voler flirtare
Rimossa qualche lenza, che poteva costituire pericolo sia per i subacquei che per eventuali tartarughe od altri grossi animali marini che avrebbero potuto ferirsi od impigliarsi e recuperato qualche piombo da pescatore, proseguiamo la passeggiata sottomarina allontanandoci dalla costa, prendendo leggermente il largo in direzione nord-est.
Pesci di grossa taglia, probabilmente perchè infastiditi dalla eccessiva presenza di pescatori, non ne abbiamo incontrati, numerosissimi invece i pescetti che ci gironzolavano attorno; in un anfratto un paio di piccole corvine che, probabilmente, con l’avvicinarsi dell’estate si trasferiranno più al largo e dove le acque sono un po’ più profonde, una bellissima donzella pavonina, dai colori fantastici, sembra mettersi in posa per uno scatto ma, in realtà il suo è solamente un tentativo di non essere vista, mentre i banchi di salpe che brucano le alghe che incrostano la scogliera si mostrano indifferenti al nostro passaggio e si spostano solo di qualche metro per continuare a fare quello che già stavano facendo.
Dove il mare cominciava ad essere più profondo, 10-12 metri al massimo in questa zona, qualche Apogon, di uno sgargiante colore rosso per cui è conosciuto anche come pesce cardinale, si è mostrato per qualche secondo, prima di mettersi al rifugio nelle fessure della roccia.
Sono già passati quaranta minuti da quando abbiamo iniziato l’immersione per cui basta un cenno per fare dietrofront e tornare verso la costa.
Sulla via del ritorno uno scattante Polpo appena incrocia il mio sguardo e, a cautela, spruzza un po’ di nero inchiostro prima di accendere le turbine ed allontanarsi come un razzo, ma non abbastanza velocemente per sfuggire allo scatto della mia fotocamera scafandrata.
Dal momento che con i compagni di immersione l’accordo era di uscire separatamente per evitare i famosi assembramenti, mi sacrifico volentieri per uscire per ultimo, rovistando nel basso fondale alla ricerca di qualche animaletto ancora da fotografare.
Un paio di bavose che non ne volevano sapere di mettersi in posa e poi, finalmente un peperoncino rosso che non ha nulla ma che vedere con il piccante ortaggio messicano ma è un simpatico pesciolino (Trypterigion tripteronotum) di appena 5-6 centimetri di lunghezza, in cui il maschio, specialmente nel periodo dell’accoppiamento, assume una livrea di un vivacissimo rosso mentre solo la testa resta di colore nero, poco distante la femmina con i colori smunti mentre lo osserva, ed insieme a lei anche io, nella sua danza nuziale: per attirare la femmina, infatti, il maschio si muove a zig zag, con le pinne distese, muovendo la testa a scatti. Tolgo il disturbo prima possibile per non far andare a vuoto il corteggiamento e rimetto la testa fuori dall’acqua dopo poco più di un’ora di immersione.
Tre dei quattro miei compagni di immersione sono già usciti dal mare prima di me ed ognuno si è avviato velocemente, con l’attrezzatura ancora addosso, in auto mentre il quarto, apparentemente il più esperto di tutta la compagnia, è riuscito a perdersi fra la conca ed il picnic non imbroccando la caletta giusta: vediamo il suo pedagno – il palloncino di segnalazione che, gonfiato con l’aria delle bombole attraverso l’erogatore di riserva, viene lanciato in superficie per segnalare la propria presenza – che pian piano si avvicina a riva dove giunge con la bombola quasi scarica.
Purtroppo non possiamo concederci il cosiddetto terzo tempo, cioè un gelato, un panino o una bibita da prendere in compagnia come sarebbe consuetudine dopo ogni immersione, e dandoci già appuntamento per la prossima domenica, rompiamo le righe senza né un abbraccio né una stretta di mano se non virtual.