di Giovanni Membola
La mattina del 13 febbraio 1956 le campane della Torre dell’Orologio, dopo quasi due secoli di vita, smisero di suonare per sempre. Oltre alle vecchie casupole insistenti nel quadrilatero tra piazza Vittoria, via Rubini e piazza Sedile, anche l’elegante struttura settecentesca cadde sotto i colpi dei picconi per far posto al palazzo dell’Inps, una decisione scellerata scaturita da quelle menti malate, ostinate nella loro mania distruttiva, che in quegli anni decisero di cancellare importanti opere del patrimonio architettonico del passato per fare spazio a costruzioni anonime.
Furono inascoltate le vivaci proteste dei brindisini, non molti per la verità, sdegnati dalla decisione di abbattere uno dei simboli della vita cittadina di quegli anni, qualcuno propose di risparmiare il monumento e di includerlo nel nuovo progetto costruttivo in maniera da poter coniugare l’antico con il moderno, ma fu risposto – in maniera insensibile e fastidiosa – che il progetto era ormai pronto e non poteva essere modificato.
Quella mattina, alle prime ore dell’alba, le poche maestranze venute da fuori città (sembra che nessun muratore brindisino fosse disponibile ad abbattere “lu tirloci ti la chiazza”) muniti di scale ed attrezzi, si arrampicarono sulla parte alta della torre ed iniziarono l’opera demolitrice, che si completò in soli tre giorni. Testimonianze di quei giorni raccontano del sentimento di dolore provato ad ogni tonfo prodotto dai pezzi di torre che venivano giù.
L’edificio in carparo di stile barocco si elevava all’angolo tra piazza Sedile e via Rubini, era stato realizzato tra il settembre del 1763 e aprile del 1764, in sostituzione della precedente torre danneggiata con il terremoto del 20 febbraio 1743. Nel periodo risorgimentale, i locali ai lati della torre vennero destinati a carceri distrettuali, la parte femminile su via Rubini e quella maschile su piazza Sedile.
La superficie ridotta del campanile, quattro metri per quattro, ne accentuava l’altezza. La struttura si sviluppava su quattro livelli: al piano terra era esposta l’arme araldica della città e nel piccolo stanzino vi era la bottega dell’orologiaio, il signor Madonna, che ne curava la manutenzione; al primo piano la massoneria locale nel 1889 fece apporre un’epigrafe in onore di Giuseppe Mazzini, al secondo piano era allocato il quadrante dell’orologio a due lunghe sfere che guardava la piazza, mentre sul livello più alto vi era la cella campanaria – sormontata dalla tipica cupoletta a fastigio sovrastata da una piccola banderuola – che ospitava le due campane in bronzo ed i relativi battagli collegati al sistema di orologeria, i cui rintocchi giungevano puntualmente ogni quarto dell’ora e venivano uditi in buona parte della città.
I tocchi dell’orologio scandivano la giornata dei cittadini, regolavano la vita merceologica, civile ed amministrativa di quegli anni, accompagnando le famiglie nelle loro attività, un segnatempo collettivo che disciplinava le consuetudini quotidiane. Non solo, gli anziani riuscivano anche ad intuire le condizioni meteo o la direzione e l’intensità del vento dal tipo di suono che gli giungeva.
Unico relitto rimasto dell’intera costruzione è il mascherone di Crono che sormontava il quadrante dell’orologio, un reperto dimenticato per anni nel deposito esterno di San Giovanni al Sepolcro, ma grazie all’interessamento del Gruppo Archeologico Brindisino che lo ha fatto restaurare, è oggi esposto nelle sale di Palazzo Granafei Nervegna.
Cinque anni dopo, in sostituzione della torre abbattuta, gli amministratori locali deliberarono la realizzazione di una moderna torre dell’orologio inglobata nella struttura del Palazzo di Città, che però non ha mai suscitato particolare interesse.
Nel 2006, nel luogo dove sorgeva l’antico campanile, è stato collocato un bassorilievo in bronzo rappresentante la torre dell’orologio e il popolo brindisino che si agita ai suoi piedi, realizzato e donato dal maestro Giuseppe Marzano al fine di conservare la memoria storica del monumento e dello scempio operato. La fusione del bronzo per la realizzazione del pannello è stata ottenuta con i soldi donati dai brindisini (un euro a testa), un modo per rimpossessarsi simbolicamente dell’antica Torre.