Alberi e pinete cancellati a colpi di sega elettrica: l’ultimo episodio al nuovo Majorana

di Alessandro Caiulo per il7 Magazine

Un argomento che mi sta particolarmente a cuore porre all’attenzione dei lettori e che fino ad ora avevo solamente sfiorato ed accennato, ma non ancora trattato approfonditamente, è quello dell’importanza del verde all’interno della nostra come di ogni altra città e luogo di aggregazione umana.
Dal momento che la città di Brindisi, specialmente negli ultimi anni, sembra aver imboccato una strada senza uscita che la sta portando alla distruzione sistematica di quasi tutto il suo patrimonio arboreo non solo appartenente a privati ma anche – e forse specialmente – quello pubblico, credo che la misura sia colma ed è un vero peccato che la nostra generazione stia distruggendo quel poco che era sopravvissuto alla cementificazione selvaggia della seconda metà del secolo scorso.
La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, a cui già feci riferimento qualche settimana addietro, a margine di un reportage sugli incendi dolosi che hanno flagellato il litorale nord, è stato il taglio sconsiderato della pineta dell’ex IPAI, un edificio di proprietà dell’Amministrazione Provinciale da poco concesso in uso all’Istituto Majorana, dove alcuni lavori di “recupero del piano interrato e sistemazione esterna” si sono trasformati, all’improvviso e come d’incanto nella più ampia opera di deforestazione urbana cui si sia mai assistito e nell’arco di pochi giorni, in piena estate, oltre trenta alberi di Pino d’Aleppo (Pinus halepensis) che erano lì da sessanta anni e altrettante piante di Cipresso, sono stati spazzati via e le loro radici triturate selvaggiamente con un macchinario infernale sostituiti da una mattonata stesa in un paio di giorni appena, che aveva risparmiato solamente due alti alberi di Cedro del Libano. Le proteste del sottoscritto lanciate attraverso questa testata, la presa di posizione di alcuni abitanti e frequentatori della zona, le prime domande che si sono cominciate a porre ai dipendenti della Provincia che avevano consentito questo scempio, hanno fatto si che una piccola parte della mattonata e del massetto di cemento già stesi fossero tolti per creare una decina di piccole aiuole (occupanti nel complesso forse nemmeno una ventesima parte dell’area che prima era a verde) dove sono stati messi a dimora degli alberelli ornamentali a parziale compensazione del disastro compiuto o, forse, più semplicemente per mettere a tacere chi protestava e, magari, anche la propria coscienza.
Ho avuto la pazienza di passare e ripassare con cadenza bisettimanale per osservare e documentare anche fotograficamente ciò che stava accadendo nel cantiere, nel caso dovesse essere utile a chi di dovere per risalire alle responsabilità, anche se mi rendo conto che scovare il reale responsabile, in questo come in altri casi, è praticamente impossibile: la macchina burocratica si chiude ermeticamente a difesa di se stessa ed all’esterno trapela pochissimo. A mezza voce viene detto che è stato il preside a paventare, attraverso una relazione di un non meglio identificato esperto, ovviamente di fuori Brindisi, che alcune piante erano pericolose (!?) ed un qualche solerte dirigente o funzionario, eroicamente al lavoro nonostante il periodo feriale e la canicola estiva, ha autorizzato il taglio immediato di tutta quanta la pineta dove, fra l’altro, viveva da anni e felicemente una bella colonia felina andata, ovviamente, dispersa; essa era luogo prediletto per la nidificazione di una gran varietà di uccelli, anche appartenenti a specie protette, per la gioia di chi oltre gli alberi odia anche gli animali e, più in generale, la natura di cui anche l’uomo farebbe parte.
Soprattutto nel periodo primaverile ed estivo, vi erano diverse specie di uccelli selvatici indaffarati a vivere la preziosa fase riproduttiva dal corteggiamento, alla difesa del territorio, alla costruzione del nido e cosi via con la nascita dei piccoli e le cure parentali. oltre alle comuni Tortore dal collare orientale ed alle Gazze, era possibile osservare tra le fronde dei pini, le vivacissime cince, come la Cinciallegra e la Cinciarella, passeriformi tondetti con il becco corto che si nutrono sia di semi che di insetti e dai colori vivaci, dal giallo al verde muschio, al blu-grigio, fino ai passeriformi di struttura più robusta e granivori come il Verdone, il Cardellino e il Verzellino. A questi si aggiungono i più noti Passera d’Italia e Passera mattugia, indicati da tutti come “passerotti”, oltre che il Gufo comune e l’Assiolo, noti frequentatori delle pinete.
Una volta messe a posto le carte in questo modo, invero un po’ maldestro, è difficile che qualcuno decida di andare fino in fondo per capire come siano andate effettivamente le cose in quanto chi governa l’ente è portato, giocoforza, a difenderne l’operato ed ha vita facile a scaricare le responsabilità sui tecnici – che effettivamente hanno le loro gran belle responsabilità, e che, a loro volta le scaricano, su chi ha redatto la perizia di parte (cioè a favore dell’espianto) che attestava la pericolosità degli alberi, il quale, a sua volta e come punto terminale dello scaricabarile, non essendo neanche del luogo, se ne impippa della distruzione di un polmone verde che dava ombra, benessere, refrigerio ed ossigeno non solo alla scuola, ma a gran parte di quello che una volta era definita la città giardino e che ora, dopo questo ennesimo scempio a cui abbiamo assistito impotenti, si è avviato ad essere un semplice quartiere periferico dormitorio.
Purtroppo, come accennato, questo si somma ad altri recenti scempi compiuti recentemente sul verde pubblico: ricordo come lo scorso anno, in pieno lockdown, tutti quanti i maestosi alberi di Pino domestico (Pinus pinea), quasi secolari che abbellivano, rinfrescavano, ossigenavano e purificavano l’aria di Tuturano dal suo ingresso fino ad oltre il campo sportivo, circa ottanta, sono stati tagliati in un lampo, come se improvvisamente fossero diventati tutti quanti pericolosi, in questo caso non si sono nemmeno tolti i ceppi che fanno ancora bella mostra come fossero basi di erigendi monumenti alla sciatteria umana, anche se il monumento più insigne, un bel tapiro d’oro, andrebbe eretto sull’enorme ceppo rimasto su via Benedetto Brin, proprio di fronte all’ingresso del parcheggio del Collegio Navale da quando, circa tre anni fa, fu tagliato il più bel pino monumentale della città il quale godeva sicuramente di ottima salute e non costituiva alcun pericolo. Il grido di allarme che lanciammo allora servì, quanto meno, a salvaguardare gli altri due pini secolari di via Brin e, specialmente, i dieci di via Nicola Brandi, che qualcuno già pensava di abbattere dopo averli già imbrattati con una grande X di vernice rossa.
Anche all’interno del Tommaseo, in occasione dei recenti lavori che ne hanno reso fruibile il bosco, più di qualche pianta secolare è stata sacrificata non perché malata o pericolosa e non si sa a quale scopo; almeno, in questo caso, si è avuto il gusto di non snaturare il luogo. Non così, a mio avviso, è avvenuto al parco Cesare Braico dove, dopo gli ultimi tagli di alberi secolari, il verde e l’ombra cominciano davvero a latitare.
Fatta questa necessariamente lunga premessa e lasciati da parte gli scempi compiuti dai privati sulle loro proprietà, cerchiamo di capire in che brutta strada ci siamo andati ad infilare, continuando ad ignorare, per ignoranza od in malafede, quanto sia importante il verde per la nostra sopravvivenza.
Il prof. Stefano Mancuso – noto ed affermato neurobiologo vegetale, accademico e saggista italiano che insegna arboricoltura generale ed etologia vegetale all’Università di Firenze ed autore, tra gli altri libri da lui pubblicati, de “La nazione delle piante” – ha lanciato l’allarme affermando a gran voce “Ci stiamo giocando il futuro: la deforestazione è un crimine contro l’umanità. Senza le piante non ci sarebbe la vita, chi taglia gli alberi sta paralizzando la possibilità delle future generazioni di sopravvivere.” E, poi, spiega che è il verde che ci rende unici rispetto a tutti gli altri pianeti che conosciamo. Senza le piante non ci sarebbe l’acqua perché la temperatura della Terra sarebbe così elevata da farla evaporare. E poi è grazie alla traspirazione delle piante che si formano le nuvole, le perturbazioni e tutti i componenti del ciclo dell’acqua che a sua volta garantisce in tutto il mondo la pioggia, e quindi la vita, ciò che beviamo e mangiamo. Senza la vegetazione la Terra sarebbe come Marte.
Si può dire che ogni albero tagliato, senza che sia adeguatamente sostituito, è un piccolo ulteriore passo verso quel baratro in cui l’umanità sta per precipitare e se facciamo nostro questo concetto e non poniamo freno alla deriva, ci sarà ben poco da consegnare alle future generazioni e prima lo capiamo, tutti quanti, specialmente i nostri amministratori ed i tecnici che li coadiuvano, meglio è.
Abbiamo sentito al riguardo un vero esperto, una di quelle poche persone che dovrebbe avere voce in capitolo su questo argomento, il prof. Piero Medagli, botanico, per anni ricercatore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali dell’Università del Salento e responsabile dell’Herbarium Lupiense ed autore di numerosi saggi sia scientifici che divulgativi.
Prof. Medagli, da uomo di scienza e botanico esperto quale è, ci può illustrare quei pregi e quelle capacità delle piante che possono spingere i comuni cittadini e gli amministratori locali a considerare in modo corretto, il loro valore per la nostra stessa vita e, in sostanza, ad aprire i nostri occhi sullo straordinario mondo vegetale?
“E’ opinione comune e condivisa che il verde in città abbia un indubbio valore estetico ed ornamentale, ma al di là di questa affermazione abbastanza scontata non è difficile comprendere il ruolo importante che il mondo vegetale ha nei riguardi del benessere umano per gli equilibri ecologici che determina. Nell’ultima torrida estate abbiamo assistito alla corsa per parcheggiare l’auto alla presenza dell’ombra. Può sembrare banale, ma gli alberi creano ombra e frescura e mitigano gli eccessi del clima. Le piante hanno la ben nota capacità di fotosintetizzare assorbendo CO2 e emettendo ossigeno, quindi contribuiscono a limitare l’effetto serra sottraendo l’anidride carbonica dall’aria e producendo ossigeno, quindi opponendosi per quanto possibile al riscaldamento globale. Attraverso le foglie avviene il fenomeno dell’evapotraspirazione con emissione di vapore acqueo che mitiga gli eccessi termici nell’aria. Gli alberi rappresentano un habitat di rifugio per la fauna, principalmente ornitica che talvolta nidifica sui tronchi e si nutre di insetti parassiti”.
Che importanza rivestono i parchi e i boschi urbani e, più in generale, quelli che vengono definiti polmoni verdi all’interno delle nostre città e cosa comporta la loro scomparsa?
“Per quanto appena detto si evince che la presenza di nuclei di alberi, quindi filari o, meglio, boschetti moltiplicano l’azione già di per sé utilissima dei singoli alberi, apportando benefici alla collettività. Inoltre la vegetazione arborea può costituire un importante riferimento per permettere di fruire di spazi verdi attrezzati con panchine e parco-giochi per i più giovani per qualche momento di relax”.
Cosa pensa della tendenza, sempre più forte, di sostituire le nostre essenze mediterranee con piante alloctone, magari a crescita veloce e di maggiore utilizzo commerciale, come ad esempio si è sentito di recente, il Bambù, ma anche altre piante esotiche? ”Ogni luogo, compresa la città, ha un peculiare contesto climatico ed il rapporto tra vegetazione e clima è fondamentale per determinare il cosiddetto fitoclima, cioè l’ambiente vegetale che si determina in un dato luogo. Il Salento ha un peculiare fitoclima che segna il dominio delle specie sempreverdi rispetto alle caducifoglie, cioè ha un fitoclima prettamente mediterraneo ed un tempo era caratterizzato dalla presenza di boschi di leccio e di sughera nell’area brindisina. Le specie autoctone sono specie perfettamente adattate al fitoclima locale, sopportando bene estati calde e secche e richiedono un bassissimo se non nullo fabbisogno idrico. Inoltre le specie locali sono da tempo adattate a resistere alle principali patologie presenti in ambito locale. Quindi il ricorso alle specie autoctone è dettato dall’antico adattamento che queste piante hanno per l’ambiente locale dove trovano un equilibrio ottimale. Invece l’introduzione di specie alloctone può causare la spontaneizzazione di specie che diventano invasive e competono con le nostre specie native, spesso occupando i loro spazi naturali e rendendo problematica la loro eliminazione una volta divenute invasive. E’ questo il caso di specie come l’ailanto che invade le aree lungo i margini stradali o le comuni acacie che, introdotte come specie da rimboschimento, stanno invadendo le nostre aree costiere a danno delle specie native”.
Vuole lanciare un messaggio a tutti quegli amministratori pubblici e cittadini che considerano gli alberi come semplici pezzi di legno e la natura come un supermarket dalle risorse infinite?
“Vorrei che fosse chiaro che le aree verdi urbane e le aree naturali suburbane svolgono un ruolo ecologico importante e non possono essere governate con superficialità ignorando la loro funzione. La scelta delle specie da utilizzare non può essere casuale ed approssimativa ma è il risultato di studio e progettazione e il verde richiede una gestione corretta negli spazi urbani.
Oggi si parla tanto di riforestare e di piantare alberi. E’un pensiero lodevole, ma che si deve tradurre in realtà attraverso la comprensione di che alberi dobbiamo usare e che formazioni vegetali vogliamo ottenere. Questa scelta non si può affidare al caso o al buonsenso. Lo studio della flora e della vegetazione appartengono ad un particolare ambito scientifico spesso mortificato e sottovalutato, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti”