La scelta del luogo da visitare ed esplorare per terra e per mare questa settimana è caduta sulla zona di Acque Chiare, nome tornato prepotentemente agli onori della cronaca con riferimento all’omonimo villaggio e annessa spiaggia che, dopo una tormentata vicenda giudiziaria durata oltre dieci anni – avvelenando il fegato, fra sequestri e carte bollate, a chi aveva posto lì la propria residenza estiva, investendo tutto quanto, o in gran parte, il proprio patrimonio – ha trovato, probabilmente, la sua fine con un salomonico quanto prettamente italico “non liquet” dell’Autorità Giudiziaria, che ha deciso di non poter decidere per essersi maturata la prescrizione degli eventuali reati, ragion per cui, finalmente, le case del Villaggio di Acque Chiare, ridotte in condizioni pietose a causa degli atti di vandalismo e la difficoltà ad accedervi per le manutenzioni a causa del sequestro giudiziario, sono state restituite ai loro proprietari.
In realtà questo Villaggio è sorto in località Case Bianche, qualche centinaio di metri più a nord della vecchia spiaggia di Acque Chiare, un lido rinomato per le sue acque cristalline che conobbe il suo momento di maggiore fulgore fra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta e le cui cabine diroccate ed abbandonate, in gran parte crollate assieme alla falesia che si è letteralmente disgregata nell’arco di pochi anni, fanno ancora brutta mostra e rappresentano un vero e proprio monumento all’incuria, oltre che una vera e propria insidia a cielo aperto per chi si dovesse avventurare da queste parti.
Il tour ha avuto come punto di partenza proprio il vecchio lido di Acque Chiare dove sono giunto nel tardo pomeriggio e, lasciata l’auto un po’ più avanti, nei pressi del Villaggio, sono poi tornato indietro percorrendo l’ormai striminzito litorale, appena un lingua di sabbia, lì dove, quand’ero ragazzo, sulla spiaggia si poteva giocare a pallone con gli amici.
Il mare era parecchio agitato per l’impetuoso vento di maestrale che sferzava la costa ed a poco o nulla servono i grossi blocchi di cemento che furono calati in mare mezzo secolo addietro per cingere come in un abbraccio il vecchio lido: ennesima dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, di come è piccolo ed insignificante l’uomo al cospetto della forza della Natura.
Mi sono calato in acqua, per potermi avvicinare alle costruzioni diroccate, per poter fare qualche scatto dal mare, con l’intenzione di bagnarmi fino alla cintola, ma in un attimo, una serie di tre onde che mi han preso alle spalle, mi sommergono quasi per intero, fortuna e prudenza hanno voluto che portassi con me la macchina fotografica “anfibia”, per cui, dopo aver recuperato l’equilibrio e con la maglietta zuppa di acqua, ho potuto procedere oltre, documentare lo stato in cui si trovano le cabine, e, saliti con difficoltà i dieci vecchi gradini, resi viscidi dalle alghe, sono giunto sul vecchio piano di calpestio della struttura balneare e sono rimasto davvero sbalordito per il degrado e la sporcizia accumulata in questi anni ed il tanto materiale plastico spinto dalla furia dei marosi, nonostante il pelo dell’acqua fosse oltre due metri più giù.
Risalito verso la sede stradale, bagnato fracido come un pulcino, che era già quasi il tramonto, sono sbucato sulla litoranea, fra l’incredulità di un gruppo di bagnanti che stava riponendo in auto ombrelloni e sedie a sdraio, da in mezzo un grosso arbusto di tamarice: il mio disarmante, tranquillo e sorridente “buonasera” li ha lasciati ancora più interdetti.
A quel punto la luce era troppo scarsa, anche perché la zona non è adeguatamente illuminata, per proseguire il tour, attraversando la strada e portandomi al vicino “Parco Sbitri”: un qualcosa, che se non si conosce adeguatamente la storia recente di Brindisi ed il contesto in cui è sorto, appare davvero curioso ed inutile come parco urbano “marino”, stante la distanza dalla città, la mancanza di attrazioni e di parcheggi ed il nulla da cui è circondato.
Si tratta di un’area, fino a pochi anni fa demaniale, dove insisteva una vecchia polveriera e vari altri manufatti militari risalenti al secolo scorso che, dopo il suo smantellamento, ad inizio anni Settanta, fu occupata abusivamente da una cinquantina di famiglie, per trasformarlo in una sorta di baraccopoli-villaggio vacanze con vista mare dove, per riadattare le costruzioni ad uso “abitativo” si era fatto largo uso anche di materiali, quali l’eternit, contenente amianto che, col passare del tempo aveva cominciato a sbriciolarsi rendendo non solo questo assembramento umano, ma anche i dintorni, una vera e propria bomba ecologica dove la legge aveva difficoltà ad entrare.
Nel 2007 l’intera area fu posta sotto sequestro dalla Procura della Repubblica, che ne dispose lo sgombero coatto e la demolizione che, avvenne, sia pure in maniera parziale, ma tale da rendere impossibile il riutilizzo da parte degli occupanti abusivi, con l’intervento della Polizia Municipale di Brindisi, coadiuvata dalla Forze dell’Ordine. Le macerie polverizzate con almeno una decina di tonnellate di amianto, secondo le stime ufficiali, rimasero lì per alcuni anni contaminando ulteriormente la zona fino a quando, sul finire del 2012, la zona fu consegnata dalla Capitaneria di porto al Comune di Brindisi che, quale nuovo Ente proprietario, procedette in tempi rapidi alla bonifica del sito con il completamento delle opere di demolizione e la rimozione di tutto il materiale di risulta, amianto compreso.
Grazie all’impegno dell’allora assessore alla riqualificazione della costa, Lino Luperti, nel giro di pochi mesi fu possibile non solo bonificare i circa quattro ettari interessati dal’intervento, ma anche provvedere alla realizzazione del parco con la piantumazione di quattrocento piante, tipiche essenze della macchia mediterranea e l’impegno, poi disatteso, da parte della Agenzia Regionale attività Irrigue e Forestali, di provvedere in un momento successivo alla piantumazione di ulteriori 8.600 piante; fu anche siglato un accordo provvisorio con il Consorzio di Torre Guaceto per l’attività informativa e di guardiania relativa al parco.
Invece, da allora, a parte l’inaugurazione ed un paio di eventi, il parco ben presto finì nel dimenticatoio e, come tale, ha cominciato ad andare in malora.
L’accesso è segnalato solo dalla presenza di ben evidenti strisce pedonali sulla litoranea nord, un po’ prima del vecchio lido di Acque Chiare e, di fronte al parco, vi è un dirupo reso impraticabile dalla falesia franata quasi a picco sul mare e nessuna possibilità di parcheggiare l’auto nel raggio di mezzo chilometro.
Attraversato il passaggio pedonale e percorso qualche passo all’interno della recinzione in legno, vi è un cartellone informativo, sbiadito e reso quasi illeggibile dal sole ed una grande spianata quasi priva di piante, se non erbacce selvatiche e, qua e là qualche canna spuntata disordinatamente, proveniente dagli ampi canneti spontanei che crescono ai margini del parco. Alcuni grossi tamerici, sicuramente preesistenti di alcuni decenni alla costruzione del parco e qualche giovane pianta di ginepro e poche altre essenze mediterranea, sono la testimonianza dell’unico intervento di piantumazione effettuato sette anni addietro dall’ARIF Puglia, nessuna traccia di passaggi umani recenti e gli stessi arredi, quali panche erette in pietra e legno su suggestive pedane in listelli di legno e cestini per i rifiuti, cominciano ad essere fagocitati dalla vegetazione spontanea, come anche le recinzioni laterali in legno non riescono a far da barriera al canneto che avanza occupando il vialetto di brecciolina.
Recandomi sul retro, in direzione di alcune grandi costruzioni in disuso appartenenti tuttora al Demanio Militare e meglio visibili dalla vicina strada della I.A.M., una bella ed una cattiva sorpresa, appaiono ai miei occhi.
Quella bella è data dalla presenza, a margine del parco su un terrapieno che copre la muratura di una vecchia batteria militare, di una dozzina di piante spontanee di Giglio di mare (Pancratium maritimum) una bulbacea rara e misteriosa e, come tale, sottoposta a tutela, che ancora riesce a crescere in alcune nostre zone costiere, poco antropizzate, in estrema prossimità del mare.
La brutta sorpresa è rappresentata dallo presenza a far quasi da sfondo ai gigli di mare, di cumuli di macerie di costruzioni, posti in un’area ancora demaniale, esterna al parco, che sembrano riportare indietro di dieci anni l’orologio della storia, al tempo in cui l’area di Sbitri ancora non era stata bonificata.
Dall’alto di quel terrapieno lo spettacolo offerto dalle Tamerici che si frappongono al mare ormai calmo, mi fanno nuovamente riappacificare con il pianeta, anche perché le condizioni meteo-marine volgono al meglio e sembrano ottimali per poter programmare per il giorno successivo una capatina nei fondali antistanti a Sbitri in quello che noi subacquei chiamiamo il taglio di Acque Chiare proprio perchè situato poco al largo della vecchia spiaggia.
Partendo dalla costa, il fondale si fa già interessante verso gli otto metri di profondità, essendo già possibile ammirare oltre ai bei scenari ricchi di fauna marina già nei primi accenni di prateria di Posidonia – pianta marina davvero preziosissima per la funzione ossigenatrice che esercita e la cui presenza significa che il mare gode di buona salute – anche segni dell’antico passato, come frammenti di anfore ed altre antiche terrecotte divenute un tutt’uno col fondale marino.
Quando si giunge al taglio nella roccia, ricoperto di coralligeno e su cui spuntano delle bellissime e colorate spugne a candelabro, gialle o arancioni, del genere Axinella Cannabina, siamo già introno ai 15 metri di profondità ed è, sicuramente, la parte più bella, popolata e variopinta, di questo tratto di mare, le cui acque sono particolarmente cristalline, tanto da essersi meritato l’appellativo di Acque Chiare, in quanto la trasparenza è assicurata da un particolare gioco di correnti al centro della baia posta fra i due promontori di Punta Penne a sud e Giancola a nord.
Pinneggiando tenendo sulla destra il costone roccioso che corre parallelo alla costa è possibile in una decina di minuti, percorrere tutto il taglio e godersi lo spettacolo delle varie specie di pesci che hanno scelto questa zona per riprodursi o cibarsi ma, avendo un po’ più di aria nelle bombole e maggior tempo a disposizione, ci si può divertire, con l’ausilio di una torcia subacquea, ad ispezionare qualche anfratto nascosto fra le rocce e divenuto tana per specie marine più stanziali, come Gronchi e Murene, ma anche gamberetti e, se si è fortunati, qualche piccola aragosta e, rintanate in alcune fessure fra le rocce saraghi di dimensioni davvero extra large.
Ispezionando, invece, centimetro per centimetro le pareti rocciose si scoprono e si notano tantissime forme di vita microscopiche, in genere molluschi nudibranchi e vermi, dai variopinti colori.
Anni fa viveva qui una popolosa colonia di pesci Balestra, una specie più da mari tropicali che nostrana, che fu letteralmente annientata, nell’ottobre del 2012, da una scellerata battuta di pesca col tritolo, ad opera di pescatori di frodo.
Ricordo, da testimone oculare, essendomi all’epoca immerso poche ore dopo lo scempio, proprio su quel taglio, lo sconforto nel vedere giacere sul fondale, insieme ad una gran varietà di altri pesci e, perfino un minuscolo cavalluccio marino, anche un bellissimo esemplare di Balestra adulto.
Per anni, in quel luogo, non si è più vista traccia di tali rari pesci, per cui grandissima è stata la mia gioia quando, in occasione di questa immersione, mi si è materializzato davanti per un istante un giovane Balestra che mi ha concesso appena il tempo di uno scatto, prima di eclissarsi dietro un panettone di roccia.
Tanta e tale è stata la mia gioia per questo incontro insperato, che l’aver scoperto e fotografato una piccola Murena che faceva capolino da dentro la sua tana, come anche le centinaia di pesci che mi si paravano incontro, quasi non mi hanno fatto alcun effetto!
Riguadagnata la superficie ecco che mi riappare alla vista la tormentata terraferma, quanto mai degradata, ma comunque sempre bellissima e da inguaribile ottimista, anche un filino romantico, quale sono, continuo a sperare che la costa brindisina possa un giorno non troppo lontano, essere realmente riqualificata e, senza essere per questo snaturata e cementificata, possa costituire il più bel biglietto da visita della Brindisi futura.