«Da piccolo giocavo a dire messa, dopo ho scelto il Carmelo»


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Di Marina Poci per il numero 416 de Il7 Magazine
Quando il Padre Provinciale dei Carmelitani, Cosimo Pagliara, gli ha messo al collo la croce che rappresenta il segno dell’appartenenza alla famiglia del Carmelo, per Francesco Maria Facecchia, 23 anni, mesagnese, studente prossimo alla laurea in Scienze Religiose, è stato come tornare alla casa spirituale che aveva abitato sin da bambino, quando la nonna paterna Nunziatina, di ritorno dalle commissioni, sostava insieme a lui davanti al simulacro della Vergine dai capelli ramati che dimora nella basilica del Carmine di Mesagne: e alla veglia di inizio del prenoviziato di questo giovanissimo innamorato di Maria, la signora Nunziatina era lì, in prima fila, emozionata e commossa, a condividere idealmente la “responsabilità” di questa vocazione con il nonno materno di Francesco, il religiosissimo Emilio, mancato nel 2011, necroforo comunale e storico sacrestano della Chiesa Matrice al tempo di don Angelo Argentiero, il cui esempio di dedizione alla parrocchia è stato fondamentale per la crescita del nipotino.
Prima ancora di frequentare la scuola materna, Francesco ha manifestato i segni di quella che chiama “la mia attrazione per la Madonna”: “Sino ai tre anni sono stato moltissimo con la nonna, perché i miei genitori lavoravano. Dopo la spesa, le chiedevo insistentemente di passare dalla chiesa del Carmine. Memorizzavo i particolari della statua della Madonna e poi, una volta a casa, la disegnavo, insieme al crocifisso. Con il passare degli anni, ho iniziato ad accompagnare anche il nonno Emilio e a vivere con grande partecipazione i giorni della festa patronale, a luglio e a febbraio. Crescendo un po’, ho cominciato a “imitare” tutto ciò a cui assistevo: la nonna riprendeva le processioni con una piccola telecamera e poi mi mostrava i filmati, così io le riproducevo in casa, a volte da solo, a volte davanti agli amichetti”.
L’impegno attivo in parrocchia quando è arrivato?
“Intorno ai sette anni, quando ho preso a fare il chierichetto nella mia parrocchia, la Santissima Annunziata di Mesagne. Si è riprodotto lo stesso schema: dopo la celebrazione domenicale, tornavo a casa e ripetevo tutto quello che avevo visto fare al sacerdote. Ai miei amici dicevo che giocavo “alla messa”. Perché all’inizio quello mi sembrava: un gioco”.
Niente soldatini o costruzioni?
“Più che altro mi piacevano i trenini. E gli aerei: ricordo bellissime domeniche all’aeroporto con papà a vederli decollare e atterrare. Come i miei coetanei, guardavo i cartoni animati, soprattutto I Simpson e Dragonball. Però in aggiunta avevo la passione di dire messa”.
I suoi genitori come hanno reagito? Si è mai sentito considerato “strano”?
“Sicuramente all’inizio si sono fatti molte domande, forse hanno anche avuto qualche momento di “sbandamento”. Dopodiché hanno capito che avevano bisogno di confrontarsi con qualcuno che li aiutasse capire bene come approcciarsi a questi miei comportamenti. La persona più vicina alla famiglia, quella di cui più si fidavano, era don Angelo Argentiero: “Ma che significa? Dobbiamo preoccuparci?”, gli hanno chiesto. E lui, dall’alto della sua saggezza, confidando nello Spirito Santo, ha risposto semplicemente: “Fatelo fare. Se son rose, fioriranno”. Così, senza che papà e mamma mi abbiano mai ostacolato, ho continuato a fare il ministrante, a frequentare i gruppi parrocchiali, ad essere presente nella vita della Santissima Annunziata”.
Nel frattempo è cresciuto.
“E mi sono iscritto al liceo classico Benedetto Marzolla di Brindisi, frequentando contemporaneamente il seminario minore, perché inizialmente ho pensato che la mia fosse una vocazione diocesana”.
Invece?
“Anche quando frequentavo il seminario, da buon mesagnese ho sempre coltivato la mia devozione per la Madonna del Carmine e il legame con i Padri Carmelitani. Ho iniziato a leggere le vite dei santi carmelitani e a riflettere sulla loro spiritualità, sentendomi attratto in modo particolare da santa Teresa di Gesù Bambino. Proprio durante gli anni del liceo, non avendolo ricevuto da piccolo, ho chiesto di ricevere lo Scapolare. E questo ha cambiato completamente la prospettiva sulla mia vocazione. Così, dopo un anno di seminario maggiore, ho scelto di uscire e di meditare in modo più privato sul senso del mio amore per la Madonna”.
Cos’ha capito?
“Ho capito che non era in dubbio la mia vocazione, ma la modalità con cui la mettevo in pratica: ho continuato a frequentare la mia parrocchia, ma mi sono molto avvicinato anche ai Padri Carmelitani, che vivono la loro vocazione coltivando l’aspetto della fraternità. Allora ho cominciato a sentirmi molto vicino alla vita religiosa e ho pensato che forse diventare un sacerdote diocesano non era proprio nelle mie corde”.
Mentre meditava, cosa ha fatto?
“Ho lavorato in un bar, ho fatto il servizio civile nella mensa della Caritas Diocesana, partecipando alla distribuzione dei pasti, e mi sono iscritto all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Lecce, dove sto per laurearmi. Intanto ho conosciuto Marco, Cristiano e Mattia, che frequentano la parrocchia del Carmine di Mesagne, ed è grazie a loro che la spiritualità carmelitana è entrata in modo sempre maggiore nella mia vita. Mi sono avvicinato ai Padri e alle componenti del Terz’Ordine: una vicinanza che mi ha fatto interrogare sul senso della vita religiosa”.
La svolta che l’ha determinata al prenoviziato quando è arrivata?
“L’anno scorso, in estate: il mio compagno di università Giovanni, di Squinzano, mi ha invitato a partecipare alla Marcia Francescana con la Pastorale Giovanile della diocesi di Lecce, in preparazione al Perdono di Assisi 2024. Stando con i Frati Francescani per dieci giorni, mi sono innamorato della vita religiosa: fraternità, preghiera in comune, condivisione. Aiutato dal mio padre spirituale, don Antonio, mi sono interrogato a lungo e molto seriamente, individuando alla fine nel Carmelo la spiritualità che più è vicina al mio sentire. In questo anno ho iniziato il mio percorso personale di scoperta della vita religiosa e sono arrivato al 23 agosto scorso, quando la comunità carmelitana, nella persona del Padre Provinciale, ha accolto me e il mio amico Martin, proveniente dal Bangladesh, per vivere questo percorso di discernimento all’interno del convento di Mesagne, insieme a padre Bency, il parroco, e padre Jibin”.
Cosa comporta il prenoviziato?
“Io e Martin non siamo ancora sicuri della nostra vocazione, stiamo iniziando un percorso che potrà portare ai voti, oppure no. Non sappiamo quanto potrà durare. È tutto nelle mani di Dio”.
Che significherà vivere in convento?
“La ringrazio per questa domanda, perché mi dà l’occasione di sottolineare che noi restiamo ragazzi come tutti gli altri. Io continuerò a frequentare l’Istituto di Scienze Religiose, a scrivere la mia tesi sulle Nozze di Cana e sulla figura di Maria nel Vangelo di Giovanni e a curare le relazioni non soltanto dentro al convento e nella parrocchia, ma anche fuori. Il legame con le nostre famiglie e con i nostri coetanei è forte e va coltivato”.
Della spiritualità carmelitana cosa la attrae?
“Sono attratto in particolare da tre aspetti. Per prima cosa il riferimento unico a Cristo: l’Ordine Carmelitano non ha un fondatore, la Madonna e Sant’Elia sono due modelli della vita carmelitana, ma tutto ruota intorno a Cristo. Poi naturalmente, anche per quella che è la mia storia personale, amo molto il legame con la Vergine Maria: i carmelitani, indossando lo Scapolare, si rivestono dello stesso abito della Madonna. Infine, c’è l’aspetto della fraternità, che non è meno importante degli altri due, perché ne è il loro banco di prova. Gli apostoli dicono che la fede senza le opere è morta, perciò anche il mio cammino di discernimento non può essere un fatto privato tra me e Cristo. Nella vita in convento, i fratelli mi interpellano quotidianamente, offrendomi l’occasione per capire se veramente sto vivendo come mi impone la Regola Carmelitana, cioè se sono chiamato a seguire il Signore”.
Nel frattempo papà e mamma come stanno vivendo questo ulteriore passaggio della sua vita cristiana?
“Con molta gioia, vogliono soltanto che io sia felice. Se la mia felicità è nel Carmelo, saranno orgogliosi della mia scelta”.
In questo momento storico di forte crisi vocazionale, come è possibile, secondo lei, per la Chiesa diventare attrattiva per i giovani?
“Io sono convinto che la modalità più giusta per attrarre i giovani sia accompagnare, non imporre. Ma è importante anche dire che non è la Chiesa in quanto istituzione che deve occuparsi dei giovani. Tutti siamo Chiesa, anche noi laici. “Io ci sono per te, puoi raggiungermi e posso raggiungerti”, questo è il messaggio che deve arrivare ai miei coetanei”.
La nonna Nunziatina ha partecipato alla veglia di prenoviziato emozionandosi e pregando insieme a lei. Il nonno Emilio, invece, come se lo immagina?
“Felice. E voglio raccontarle una cosa. Nei giorni immediatamente successivi alla mia scelta di entrare in seminario, dieci anni fa, mi bloccò per strada una persona che conosceva il nonno. Mi confidò di averlo visto in Chiesa Madre a pregare e di avergli chiesto per cosa stesse pregando. Il nonno, con la sua grande fede, gli rispose: “perché mio nipote diventi sacerdote”. Quindi sì, lo immagino felice, a ringraziare il Signore per il mio percorso e ad accompagnarmi nelle scelte future”.