Brindisi ha una estensione di circa 332 kmq, grande il triplo del territorio di Napoli o Bari; seconda, in Puglia a Foggia che ne detiene il primato con i suoi 500 kmq. Il territorio comunale della città messapica è anche di molto superiore della somma dei territori comunali di Lecce e Taranto messi insieme.
Tanto per mettere in evidenza quali e quante varietà esso conserva e quale patrimonio si celi nel suo che può, a ragione, definirsi, vero giacimento culturale.
Se la linea di costa è il suo tratto più immediatamente percepibile, non di meno è la piana, fertile e rigogliosa punteggiata dai residui di una foresta che ne scandiva la vocazione, di cui alcune piccole oasi di sugherete, hanno la forza della tradizione.
Nel territorio comunale di Brindisi si apprezzano pure le ultime propaggini della catena collinare delle Murge le cui terre, cariche di sesquiossido di ferro, regalano il magnifico colore rosso, che chiamarla “Terra Rubra” è riconoscerne il portato antico e nobile, come nobile è il patrimonio degli olivi secolari, veri “Patriarchi” a cui stiamo mancando di rispetto!
Il cammino di questa settimana ha inizio sull’isola che a nord saluta il navigante che avvista il porto della città. È l’isola di Sant’Andrea, da non molti decenni, collegata alla terra ferma attraverso un’opera di contenimento delle mareggiate che per i brindisini è meta privilegiata per passeggiate e silenziose visioni. Negli anni ’80 del secolo scorso, un ulteriore opera di oltre 2000 metri è divenuta propaggine verso est, della precedente, è divenuto come il dito indice della mano della città che si proietta nel mare divenendone manifesto d’ospitalità di un approdo sicuro, negato mai a nessuno.
Circa 1000 anni fa, sull’isola fu fondata l’abazia benedettina di Sant’Andrea e ad essa fu legato notevole patrimonio terriero determinandone la ricchezza e la potenza.
Dell’abazia resta qualche traccia essendo andata distrutta per la costruzione del Castello Aragonese, il castello rosso che da 5 secoli è il baluardo collocato sull’isola a tutela della città.
Oggi la diga resta meta di un viaggio abbozzato, di un’idea che si smorza in gola, di un cammino che cerca il passo che s’arresta per tornare indietro, proprio dove il mare prende il posto della lunghissima lingua di calcestruzzo.
Parte da qui il cammino che dal sito dell’antica abazia, luogo privilegiato di preghiera e lavoro, in adesione perfetta al motto benedettino “Ora et Labora” comportò per Brindisi la nascita del movimento monastico in dialogo col movimento monastico orientale, che vedeva san Basilio il suo fondatore.
Seguendo il passo antico, prima di raggiungere la meta, due sono le stazioni necessarie e degne di nota, per comprendere, come e quanto il movimento culturale e quello religioso che lo sottende, è generato in forma evidente e protagonista, in questa terra che è cerniera tra oriente ed occidente.
Volgendo le spalle al mare da oriente verso occidente, a piedi è facile traguardare il Santuario francescano di Santa Maria del Casale, luogo dalla intensissima significazione culturale, essendo il punto dove origina, in occidente, il culto di Maria e della sua casa natale. Il santuario è dedicato a Maria Nascente e risale ai primi anni del XIV secolo, ma sue tracce anticiperebbero al secolo precedente la presenza di una cappella dove sarebbero state accolte le Sacre Pietre della Casa di Maria, prima di essere trasferite a Loreto.
La sua possente presenza ai bordi dell’attuale area aeroportuale e l’inconfondibile protiro a getto, unito alla stupenda posa artistica dei blocchi che ne costituiscono l’austero prospetto, fanno da scrigno al complesso di affreschi tra i quali sottopongo al visitatore quello dell’albero della vita, posto sulla parete sinistra di chi entra, perché lì è riprodotto, per la prima volta lo stemma cittadino.
Qui i frati di obbedienza francescana ebbero il compito di far evolvere oltre la fede, anche la cultura della ospitalità. Degno di nota è il ricordo storico che il complesso monastico divenne cancelleria per il processo ai Templari di Terra di Puglia, l’ordine cavalleresco che proprio a Brindisi comportò il migliore sviluppo della sua presenza che ancora oggi risalta nei pressi del Museo Provinciale e nella palazzina detta “Casa del Turista”.
Il cammino lento, invoglia a percorrere il tratto di strada per giungere alla seconda meta, il percorso della via comunale che si disegna parallela e stretta a lato del recinto aeroportuale fiancheggiando la lunga pista aerea per giungere sulla strada litoranea e godere di un rilassante, ma non per questo non mortificante, di una costa lasciata al degrado, segnata dalle frastagliature di irregolarità urbanistiche che fanno pariglio al mortificante abbandono della falesia che, nonostante accennati e precari tentativi è destinata ad essere erosa dal moto ondoso, se non si provvede ad una sua radicale difesa. Muto e mutilato è il manufatto della Torre Testa del Gallico, posta sul promontorio che si protende in mare alla foce del canale “Giancola”. Il rischio che la torre costiera, così come altre, fatte edificare al tempo dagli Aragonesi, possa definitivamente crollare è altissimo, come altissimo è il sostanziale livello di indifferenza che si registra sul versante della cura e della sua programmata sistemazione.
Il cammino diventa impervio, dovendosi inoltrare lungo il sentiero che costeggia a ritroso il canale di Giancola, sino ad intercettare la statale 379 per Bari, sostanzialmente sovrapposta alla Via Consolare Romana “Appia-Traiana”.
Come oasi, sorge il Santuario della Madonna di Jaddico, che riecheggia nella storpiatura proprio l’aggettivo “gallico” che potrebbe far risalire il primo insediamento, certamente attribuibile al XIII secolo ai Cavalieri Templari che operavano tra Brindisi e la Terra Santa e più propriamente ad Eligio detto il Gallico essendo proveniente dalla Francia.
Attualmente è sede di una cittadella della fede retta dai padri Carmelitani, ma è utile ricordare, osservando l’affresco posto su una parete deruta, evidenza di una chiesa preesistente, all’interno del Santuario, che già nel XVIII secolo la chiesa era parte della mensa vescovile e che i prelati che dovevano fare ingresso in città, sostavano proprio qui per rifocillarsi.
Attualmente gli arcivescovi di Brindisi-Ostuni, riusiscono il clero proprio nel santuario.
Annotazione storica vuole che l’8 dicembre 1965, Mons. Armando Franco, vicario diocesano, premurosamente avvertito dall’Arcivescovo Nicola Margiotta impegnato nel rito di chiusura del Concilio Vaticano II, consacrava il Santuario di Jaddico a “Maria Madre della Chiesa”, appellativo con cui i padri conciliari avevano cominciato a onorare la Madre di Dio. Quello di Jaddico, quindi è il primo Santuario ad aver ricevuto questa titolazione.
Seguendo la complanare in direzione nord, a circa due chilometri lo svincolo stradale per la località di Apani, dove il nostro cammino segue la strada (via Apani) che collega la statale 379 alla SS 16. A poche centinaia di metri prima dello svincolo, il percorso segue la direzione a destra della strada provinciale 38 introducendosi tra le campagne ed i primissimi ondulamenti murgiani.
A circa 2000 metri il repentino avvallamento del terreno fa da proscenio ad una visione cristallizzata a non meno di 500 anni fa. I contrafforti e le alte pareti della Masseria Jannuzzo si stagliano possenti e poderose lì dove l’ondulamento del terreno trova un picco e si rialza dopo l’attraversamento a minor quota dell’alveo del Canale Reale. Sulla parete di roccia calcarea è scavata una serie di salette attorno ad una grotta ampia che s’affaccia, alta, sul canale. È il complesso basiliano di San Biagio a Jannuzzo, unico e penetrante alla sensibilità del “Caminante” che si confronta con una composita visione che ricolma di riflessioni e rimanda a culture e riti antichi.
Qui i monaci di rito orientale, vivevano nelle proprie singole celle, ma nel “Cenobio” la grande grotta, condividevano i momenti della convivenza che si nutriva di confronto e di preghiera.
La ininterrotta visione del panorama per 360 gradi ed il silenzio interrotto solo dal volo degli uccelli e dal ronzio di qualche insetto, amplifica il senso di piena libertà ed il respiro si appropria di tutto il volume dei polmoni.
È un pomeriggio settembrino, le luci della natura, stanno per lasciare il posto ai fari dell’illuminazione artificiale predisposta per l’illuminazione del sito. Il rumore sordo e inoffensivo dei condizionatori, posti al di sotto del livello del sentiero e percepibile per l’enorme grata orizzontale, sono testimoni della cura e l’attenzione che si riserva alla cripta principale, dove le pareti affrescate superbamente sono sottratte all’offesa delle variazioni di temperatura e pressione atmosferica, il cui controllo, rende possibile la conservazione dei pigmenti che rendono vivi e intensi i colori delle pareti.
Alle spalle della collina e a poche decine di metri, scorrono i binari ultramoderni della ferrovia e nei pressi del passaggio a livello che interrompe alla bisogna la provinciale 38 è in costruzione un enorme viadotto che fra qualche mese renderà inutile l’antico piccolo casello e le sbarre bianco e rosse che uno stanco casellante muoveva all’arrivo del treno, lasciando in attesa e in fila, modeste code di trattori e qualche autovettura che frequentava lenta quella porzione di territorio.
La modernità sottrarrà anche questo piccolo tratto di terre e patrimonio alla lentezza. Al sud abbiamo bisogno di più treni veloci, per rallentare l’emorragia di cervelli e competenze che qui non trovano realizzazione.
Una annotazione finale, necessaria e non polemica. Mentre sono appoggiato ad un cippo di pietra ed ho terminato il video di questo cammino, dal sentiero arrivano due belle ragazze in compagnia del loro cane. A pochi passi dall’ingresso restano, come me, esterrefatte, la porta è chiusa e non c’è nessun segnale che indichi chi come e quando possa far visitare questo complesso monumentale, che ad onore, forse della magnanimità degli amministratori brindisini o forse alla loro precaria conoscenza di come si promuove un bene, qualche decennio fa, lo affidarono alle cure del Comune confinante di San Vito dei Normanni che sulla cripta di San Biagio (brindisina) hanno saputo costruire un tratto identitario che rende alla città degli “Schiavoni” (Slavi) la titolarità di un progetto di promozione finanziato dai fondi europei.
Bravi loro, ennesimo flop da denunciare a carico degli amministratori brindisini.