Dalla guerra alla mafia al Cammino di Santiago: storia del poliziotto escursionista


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Di Marina Poci per il numero 412 de Il7 Magazine
Da San Vito dei Normanni, città in cui risiede, ai luoghi più reconditi della penisola; dalle aule di giustizia alle salite e discese dei percorsi più impervi; dagli interrogatori nelle carceri di tutta Italia per conto della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce alle escursioni nella natura più incontaminata; dai verbali di polizia giudiziaria al più noto pellegrinaggio di fede, quello che termina a Santiago di Compostela, nella cui cattedrale sono custodite le reliquie di San Giacomo il Maggiore, patrono di Spagna: questa, negli ultimi anni, è stata la vita dell’ispettore di Polizia di Stato Vito Ruggiero, in congedo da agosto dello scorso 2024 e, ormai, camminatore quasi a tempo pieno.
Ruggiero ha iniziato a fare escursioni circa dodici anni fa, con l’associazione barese In Itinere. Poi è diventato accompagnatore e guida nazionale della Federazione Italiana Escursionismo, scoprendo in Puglia moltissimi percorsi che non conosceva e organizzando per il CAT (Club Amici del Trekking) di Bari diverse uscite, soprattutto in Salento e sul Pollino, uno dei suoi posti del cuore. I cammini sono arrivati dopo, tre o quattro all’anno, in Italia, per diverso tempo. Poi lo scorso settembre, insieme a sua moglie che è una capo scout, ha fatto il Cammino Portoghese della Costa, che parte da Porto e arriva a Santiago di Compostela. In inverno ha incontrato per caso un ragazzo che aveva intenzione di fare il Cammino Portoghese Centrale, molto più lungo, che arriva a Santiago di Compostela partendo da Lisbona. Così ha deciso di avventurarsi insieme a lui senza programmare troppo tempi, fermate, ostelli in cui dormire. Praticamente 750 chilometri in totale “modalità pellegrino”, partendo in due e arrivando in dieci, perché durante le varie tappe si sono uniti a loro uomini e donne di tutte le età, di tutte le nazionalità, con vite diverse e motivazioni altrettanto differenti, ma tutti accomunati dalla voglia di godere di quella esperienza insieme.
Ha avuto a che fare con un’umanità molto composita: c’è un incontro che più degli altri l’ha emozionata?
“Devo distinguere. L’incontro spirituale più coinvolgente è stato quello con padre Fabio, missionario guanelliano che cura la piccola chiesa di Santa Maria del Cammino a Santiago di Compostela. È un sacerdote molto carismatico e anticonformista, capace di far sentire accolto anche chi viene tradizionalmente considerato lontano dalla Chiesa. Spesso è in giro per l’Italia per diffondere il messaggio del senso autentico del pellegrinaggio e, quando posso, lo raggiungo per trascorrere del tempo insieme a lui. Dal punto di vista umano, proprio nel corso di una delle ultime tappe prima di arrivare a Santiago, sono rimasto profondamente colpito da un giovane con una gamba artificiale. L’ho osservato litigare molto animatamente con il proprietario di un ostello e pretendere il posto inferiore nel letto a castello: soltanto dopo ho capito che aveva difficoltà a salire… eppure, nonostante la protesi, aveva fatto il Cammino Francese: 800 chilometri, dai Pirenei a Santiago”.
La persona a cui si è affezionato di più?
“Roberto, un 79enne torinese che alla fine della quinta tappa si è unito alla nostra spaghettata e la mattina dopo abbiamo trovato all’uscita dell’ostello. Era in procinto di ritirarsi e ci ha chiesto di poter proseguire insieme a noi sino a Porto, da dove avrebbe poi preso un mezzo per rientrare. Allora gli ho detto che, mancando per Santiago di Compostela appena 250 chilometri, avrebbe avuto senso continuare. Ha accettato, noi ci siamo un po’ adattati al suo passo e alla fine siamo arrivati tutti insieme”.
La tappa più emozionante?
“Due deviazioni: Fatima, in cui si siamo ritrovati proprio nei giorni delle celebrazioni di Nostra Signora, e la cosiddetta “variante spirituale”, nel corso della quale abbiamo ripercorso via fiume il cammino dei pellegrini che traslarono le spoglie di San Giacomo. Però l’emozione più forte è stata arrivare a Santiago indossando la maglietta di Giampiero”.
Chi è Giampiero?
“Era un collega, più giovane di me, che avrebbe tanto voluto venire insieme a noi a Santiago. Purtroppo è mancato troppo presto per una brutta malattia. Durante la preparazione del cammino, pochi giorni prima della partenza, suo cognato mi ha regalato una maglietta con il suo nome. Il giorno in cui siamo arrivati all’ultima tappa l’ho indossata sotto la camicia, che poi ho tolto”.
Alla fine in qualche modo Giampiero a Santiago se l’è portato con lei…
“Sì… e quando mi sono sfilato la camicia per scattarmi una foto davanti alla cattedrale, posso assicurarle che ho sentito fortemente la sua presenza”.
La sua prima volta a Santiago è stata con sua moglie: ha avuto un significato particolare condividere questa esperienza così impattante con la sua compagna di vita?
“Assolutamente sì. Vede, in ogni esperienza si incontrano persone diverse e difficilmente si cammina tutti allo stesso passo. Ecco, quando sono con mia moglie, io ho la certezza di condividere il cammino con la persona che da tanti anni ha il mio stesso passo”.
Meravigliosa considerazione, fuori e dentro alla metafora.
“Penso di sì. Soprattutto perché, senza di lei ad occuparsi delle nostre figlie, anche la mia professione di poliziotto a tempo pieno sarebbe stata molto più complicata”.
Com’è stato conciliare una professione così impegnativa con la passione per i cammini?
“Il primo periodo è stato molto complicato: anche di domenica, durante le escursioni di una sola giornata, sentivo forte la responsabilità di avere lasciato i colleghi alle prese con operazioni aperte particolarmente difficili da gestire. Sono stato fortunato, perché la mia squadra è stata eccezionale anche quando, in seguito ad un importante ricambio generazionale, i ragazzi erano appena arrivati in ufficio. Ma io, pure da lontano, sono sempre rimasto raggiungibile. E ho partecipato telefonicamente anche quando ero a Santiago, sotto la pioggia e sotto al sole. Piano a piano, in maniera molto naturale, ho imparato a godermi escursioni e cammini senza il chiodo fisso del lavoro”.
Cosa non manca mai nel suo zaino?
“Il poncho non può mai mancare perché, soprattutto nei cammini molto lunghi, è possibile attraversare stagioni molto diverse, inclusi periodi molto piovosi. Per il Portoghese Centrale ci abbiamo impiegato 25 giorni, partendo il 5 maggio, e durante la prima settimana abbiamo avuto freddo e qualche spruzzata di pioggia, per cui il poncho è stato necessario. E poi non rinuncio mai alla cassetta del pronto intervento, che mi è stata utile in più di un caso, anche per soccorrere completi sconosciuti incontrati sul cammino”.
Un oggetto a cui attribuisce un particolare potere scaramantico e che si porta dietro ogni volta che si allontana da casa?
“Gliene dico due, entrambi legati al mio zaino: la Compostela, cioè la conchiglia che rappresenta il Cammino di Santiago, e una sciarpa gialla e nera, che portavo per proteggermi dal sudore quando ho cominciato ad avvicinarmi al modo delle escursioni. Ora uso un abbigliamento più tecnico, ma le sono affezionato, quindi non rinuncio a portarla”.
Fede, spirito di avventura, ricerca della quiete: cosa la motiva?
“Un po’ tutte e tre le cose. Sicuramente a Santiago la motivazione della fede è importante, ma non è l’unica”.
L’occhio vigile da poliziotto le è stato utile in qualche occasione?
“Eccome! Una volta, in un’area di sosta in cui ci eravamo fermati per rifocillarci, abbiamo trovato la credenziale (cioè il documento di viaggio, che attesta le tappe del pellegrinaggio) di un ragazzo lituano. L’abbiamo presa e portata con noi, pensando che difficilmente lui sarebbe tornato a recuperarla, e abbiamo cominciato a fare “indagini” chiedendo in giro, tappa dopo tappa: abbiamo “interrogato” gli altri pellegrini, i tassisti, i gestori degli ostelli… sino a quando non l’abbiamo trovato! Sa’, “qualche anno” di polizia giudiziaria torna sempre utile, anche a Santiago di Compostela…”.
Ad una persona che voglia avvicinarsi ad un’esperienza di cammino, cosa sente di consigliare?
“Io penso che il significato di un’esperienza del genere sia stato compreso pienamente soltanto dopo la pandemia. In questi ultimi quattro anni si sono moltiplicate le associazioni che propongono percorsi, anche ciclistici, nella natura. Quindi sento di consigliarlo prima di tutto a chiunque, nel periodo dell’emergenza sanitaria, ha sentito la mancanza degli spazi aperti e di ristabilire un rapporto con la natura. Per il resto, credo sia un ottimo modo per provare a superare i limiti, fisici e non, che troppe volte ci autoimponiamo”.
Il messaggio più potente che i cammini le hanno insegnato in questi anni?
“Proprio questo, mai porsi limiti. Ho visto tanta gente pensare che un determinato percorso non fosse alla sua portata e poi, invece, riuscire a portarlo a termine, non importa come e non importa in quanto tempo”.
Prossimo cammino?
“A fine agosto andremo al santuario della Madonna del Pollino e proseguiremo per una delle cime più alte, Serra di Crispo, dove si trovano i pini loricati, una specie antichissima, sopravvissuta all’era glaciale. Vuol venire?”.