di Marina Poci per il7 Magazine
“Era la parte forte, inutile, invisibile del mio corpo. Fino a quel giorno. Quando il buio mi costrinse a liberare lo sguardo e a vedere. Esperienze che avevo dimenticato o, forse, mai conosciuto. La mano sinistra me le aveva custodite per tutto quel tempo. Per poi restituirle, schiudendo finalmente le dita. Accostamenti inconsueti e sorprendenti sproporzioni svelano, nella dimensione irreale, la verità”: così scriveva Dino Clavica, artista e organizzatore di eventi francavillese naturalizzato barese, morto quasi due anni fa, a proposito della sua mano sinistra, quella che teneva saldamente l’iPhone mentre la destra disegnava, fotografava, scriveva. Adesso che la leggerezza eterea ma consistente delle sue opere fluttua sinuosa nello spazio espositivo Murat di Piazza del Ferrarese a Bari, quale sia – e quale sia stata – la verità di Dino Clavica non sanno dirlo nemmeno alcune delle persone che durante la sua brevissima vita gli sono state più vicine: il fratello Arturo, che ne ricorda la riservatezza e le grandi doti di risolutore di problemi altrui; le socie dell’associazione “Veluvre”, di cui è stato presidente sino alla morte, che attraverso una raccolta fondi molto partecipata hanno organizzato la mostra intitolata per l’appunto “Left hand”; gli amici più cari, a cui dedicava interminabili telefonate notturne, dispensando consigli e sorrisi tra una sigaretta e un brano degli U2, il suo gruppo preferito. Forse l’unica verità possibile è in quel filo rosa, sottile ma deciso, che nella mostra unisce le stampe delle sue creazioni, quasi a riproporre idealmente il movimento raffinato del suo indice destro fecondo di bellezza. O, forse, la verità del Clavica artista e uomo sta nell’elogio involontario della mano sinistra come metafora di tutto ciò che è considerato inutile e che, invece, tenacemente si ostina a rendersi indispensabile.
Sabato 24 sarà l’ultimo giorno utile per poter visitare “Left hand”: la città di Bari, per il cui sviluppo culturale Clavica tanto si è speso a partire dai suoi primi anni di università, quando frequentava la facoltà di Scienze Politiche, con questa mostra gli ha tributato il più emozionato omaggio, suscitando, nella cerimonia di apertura, la commossa gratitudine della famiglia. Fulgenzio Clavica, padre di Dino, nell’occasione ha dichiarato: “Sapevamo cosa Bari significava per Dino, oggi abbiamo scoperto cosa Dino rappresentava per Bari”.
L’esposizione di “Left hand” è parte di un progetto più ampio che intende celebrare a tutto tondo la figura artistica di Clavica, stampando un catalogo che sarà edito dalle Edizioni della Libreria Laterza, con i testi, tra gli altri, del critico d’arte Pietro Marino e del giornalista e saggista Oscar Iarussi.
Per Anna Pellegrino di “Veluvre – Visioni Culturali”, associazione che si occupa di realizzare, organizzare e promuovere progetti culturali, l’artista francavillese era non soltanto un collega ma anche un fraterno amico: “Io e le nostre altre due socie, Sonia Del Prete e Maria Grazia Rongo, abbiamo sin da subito creduto nell’arte di Dino e nel valore delle sue opere, spingendo sempre perché le sue creazioni fossero diffuse. La pandemia ha rallentato le cose, ma alla fine siamo riuscite nel nostro intento. In accordo con la famiglia, abbiamo scelto lo Spazio Murat perché per noi ha un doppio significato. Innanzi tutto, ci tenevamo che l’arte di Dino trovasse collocazione in un posto centrale della città, per poter essere ammirata da quanta più gente possibile, non soltanto cittadini, ma anche turisti. Inoltre, Dino aveva esposto e venduto le sue opere, soprattutto quelle del ciclo “Left hand” (che è l’ultima serie a cui aveva lavorato), nel Puglia Design Store, situato proprio in una parte dello Spazio Murat. In un certo senso, essere lì per lui avrebbe significato tornare a casa”.
L’allestimento della mostra, che vanta il patrocinio dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari e la collaborazione della Libreria Laterza, è stato curato da “Mosae Milano open studio – architecture engineering” su opere selezionate dalle socie di Veluvre e dal fotografo e art director Mario Brambilla, con cui Clavica aveva esposto qualche anno fa nel progetto “Più – La regola e il caso”, in cui l’artista francavillese aveva sovrapposto alle foto di Brambilla, raffiguranti la variegata casualità delle nuvole, i suoi tanto amati soldatini, portatori sani di ordine e disciplina.
“I costi della mostra, così come intendevamo realizzarla, erano per noi – che siamo un’associazione culturale – insostenibili. Per cui abbiamo organizzato una vera e propria chiamata alle armi, chiedendo ad aziende, imprese, enti, persone che lo stimavano come artista e lo rispettavano come uomo di darci una mano. C’è gente che ha messo a disposizione la propria professionalità gratuitamente e gente che ha messo mano al portafogli, permettendoci un allestimento di altissimo livello che celebra l’arte di Dino per quella che è, senza manomissioni. A fronte di queste importanti donazioni, abbiamo scelto di regalare delle sue opere. Non è una vendita, ma semplicemente un modo per ringraziare: Dino avrebbe fatto così”, prosegue Anna Pellegrino.
Accanto alle trenta immagini del ciclo “Left hand”, stampate su pannelli forex delle dimensioni di 50X67 cm, l’allestimento comprende anche una sezione dedicata ad alcuni dei tanti video realizzati da Clavica, di volta in volta accompagnati dalle particolari scelte musicali che lui stesso, molto appropriatamente, aveva compiuto per valorizzare le sue opere. E, a proposito di musica, a restituire l’esatta misura della complessità creativa e della stratificazione emotiva di Dino Clavica, contribuisce forse anche la playlist creata su Spotify per iniziativa degli amici, in cui il nazionalpopolare di Massimo Ranieri si fonde con il pop rock delle più famose band inglesi e americane, passando per i grandi cantautori italiani e le più giovani promesse dell’indie, senza risparmiare incursioni nella musica sinfonica e nel jazz. “Le sue scelte musicali sono il frutto della nostra educazione famigliare, per quello che riguarda i grandi cantautori, e della sua instancabile curiosità, per tutti gli altri generi. La stessa curiosità che lo incuriosiva musicalmente, portandolo ad ascoltare generi molto diversi tra loro, è stata la molla principale della sua esperienza artistica e forse di tutta la sua vita”, commenta il fratello Arturo, che di Dino ricorda gli esordi artistici con la tenerezza struggente che si riserva alla memoria dei volati via troppo in fretta.
“L’immagine più ricorrente che ho di lui è Dino con la penna o la matita in mano, che lascia il segno della sua presenza su tutte le superfici, sin da piccolo. Nel cassetto della sua vecchia scrivania abbiamo ritrovato fogli e fogli di schizzi e disegni, fosse anche il suo nome scritto in migliaia di maniere diverse. Poi ha iniziato ad usare l’applicazione di disegno dell’iPhone e ha creato l’omino nero, cui ha dedicato la prima mostra. Mano a mano ha perfezionato l’utilizzo delle applicazioni più elaborate e da quel momento la sua arte, tra disegno e fotografia, è maturata moltissimo, sino ad arrivare al ciclo di “Left hand. C’è anche una serie composta da tele, con sfondo totalmente bianco o totalmente nero, su cui Dino dipingeva, o applicava, soldatini giocattolo, una delle sue più grandi passioni. Quando siamo entrati in casa dopo la sua morte, abbiamo ritirato quella serie e la custodiamo gelosamente, insieme alle opere autografe esposte nel Puglia Design Store: delle opere digitali potremo stampare milioni di copie, le tele sono pezzi unici, rarissimi proprio perché non riproducibili. Chissà, magari in futuro riusciremo ad esporre anche il ciclo dei soldatini”, aggiunge ancora Arturo, che ammette senza pudori di non essere mai riuscito a distinguere il Dino che al cellulare si divertiva, perdendosi in frivolezze, dal Dino che lavorava, riuscendo a ricavare bellezza dai più banali oggetti della vita quotidiana (mollette per indumenti, forbici, lampadine, matite).
Dino (“Mina”, per le amiche di Veluvre, di cui amava dire di rappresentare la quota azzurra) Clavica è stato un artista geniale e generoso: il suo ultimo progetto, per un soffio non portato a termine, era la creazione all’interno dell’aeroporto di Bari di uno spazio espositivo per artisti che si approcciavano ad esporre per la prima volta (“quando gli fu chiesto di inaugurare lo spazio presentando le sue opere, si risentì moltissimo: non sopportava l’idea di avere lavorato per se stesso e, conoscendo le difficoltà di allestimento di una mostra, voleva mettere la sua professionalità di progettatore culturale al servizio di chi si stava appena affacciando al suo mondo”, precisa il fratello Arturo).
Aveva appena 43 anni, il 5 dicembre del 2019, Dino Clavica, quando il suo corpo privo di vita fu rinvenuto dai vigili del fuoco nella sua abitazione barese. 43 anni e chissà ancora quante suggestioni da cogliere, quante visioni da tradurre in immagini, quanti palpiti da assecondare: “Non lo sapremo mai, quanta bellezza ha portato con sé. Però una cosa sento di dirla con certezza: ci avrebbe sorpreso ancora, perché la banalità non rientrava nel suo modo di vivere l’arte. E, probabilmente, non rientrava nemmeno nel suo modo di vivere la vita”, conclude il fratello Arturo.