di Giancarlo Sacrestano per IL7 Magazine
Serata particolare, quella del 28 agosto scorso a Brindisi, presso il Museo Archeologico Ribezzo, dov’è stato presentato il libro di Helena Janeczek, “La ragazza con la Leica” che ha vinto il premio “Strega” 2018. Dinanzi ad un pubblico attento e che aveva occupato tutti gli spazi del cortile del Museo, la scrittrice è stata accompagnata nel raccontare la storia della prima fotoreporter, Gerda Taro, morta in teatro di guerra. La scrittrice era accompagnata da Camilla Miglio, docente di letteratura tedesca, ma tra gli altri e degni di menzione, Paolo Morawski, vice direttore di Rai Academy, profondo e stimatissimo conoscitore del Paese di Origine della scrittrice e della protagonista del romanzo, la Polonia.
A organizzare la serata, inserita nella programmazione estiva del Comune di Brindisi, è stato Domenico Pinto, responsabile del bookstore Mondadori di Brindisi.
Da cronista, ma ancor più, compulsivo lettore di libri, gli domando quale sia oggi la “mission” di un libraio.
“Caro Giancarlo – mi risponde Domenico Pinto – forse non c’è modo per rispondere alla tua sollecitazione se non chiedersi quale sia, oggi, il lavoro – possiamo dire anche ruolo – del “libraio”.
Non sono cambiate poi molte cose dal momento in cui Baudelaire osservava, cogliendo la natura duplice di questo mestiere, che la fama di un autore riposa nella stima dei pari e nelle casse dei librai. Le immagini dell’ascolto, del dialogo, del silenzio anche, della circolazione delle idee, legate a un ricordo romantico e mai esistito della libreria, sono oggi più che mai in crisi e lontane dalla realtà.
L’industria, in tutte le sue forme, ha definitivamente richiamato a sé le prerogative del sogno e della riflessione. La libreria è diventata in questo processo inarrestabile un bookstore, mentre il libraio è un manager. Sempre più abbiamo capito in questi anni che il “canone”, il tessuto interno della libreria, cioè i propri libri, non lo fa più chi esercita il mestiere del libraio, ma lo fa – nel migliore dei casi – la comunità che intorno alla libreria, anno dopo anno, modella i suoi scaffali e la qualità, ovunque declinante, delle proposte.
Quale sarebbe, quindi, il nostro ruolo? Forse mantenere ancora un punto di contatto terzo, per quanto fragile e incerto, sicuramente interessato, fra il mondo del pensiero – di cui la letteratura è una delle espressioni – con l’industria che la veicola e con la comunità, ovvero con i suoi desideri. Come tutti sanno, sono in atto cambiamenti di paradigma (mediali, culturali, ahinoi politici) che appaiono incommensurabili e ben difficili da governare. Gli incontri come quello di oggi a Brindisi, insieme a Helena Janeczek, possono servire a rafforzare l’apertura verso quella speciale forma di conoscenza, più che mai alternativa e prodigiosa, che il «romanzo», strumento ancora in grado di orientarci nella realtà, o di stabilire con essa un qualche rapporto di tensione e scambio.
All’interno del bookstore Mondadori, incontro la scrittrice Helena Janeczek, con cui ho un appuntamento per una intervista sui temi sollecitati nel romanzo.
Il libro di Helena Janeczek, ha un pregio, che lo rende unico, consente al lettore di perlustrare, come se vivesse tutto in soggettiva o se si vuole, rivivendo quegli anni carichi di illusioni e speranze che prelusero alla Seconda guerra mondiale. La guerra civile spagnola, la partecipazione di gruppi di volontari giunti da diverse parti d’Europa a sostegno dei rivoluzionari; la nascita dell’antifascismo più impegnato; le delusioni di un sogno di libertà che colpirà, per prima la Polonia, nazione di origine di Gerda Taro la fotoreporter, morta il primo agosto 1937 in Spagna, condividendo il sogno di libertà del popolo spagnolo.
La scrittrice, anch’essa con le medesime radici di Gerda Taro, nata da genitori polacchi costretti ad emigrare in Germania, sino a quando successivamente, Helena è stata naturalizzata italiana.
Gerda, è paradigma di donna contemporanea. “Si, attraverso le sue tante sfaccettature – esordisce Helena – Gerda rappresenta una visione femminile sempre più legata ad una condizione via più emancipata; affronta le difficoltà della crisi economica, che attanaglia la Germania degli ultimi anni venti e decide di emigrare, con grande coraggio, in Francia, dove si accontenta dei lavori occasionali, non sa neppure lei che finirà col diventare una fotoreporter”.
La scelta di andare in Spagna a condividere la lotta di un popolo in rivolta e raccontarlo con la macchina fotografica, realizzando reportages è una novità ed una sfida che l’ha vista primeggiare in un confronto, allora tutto realizzato al maschile.
“Sono stati anni brevi, compresi tra una crisi economica da cui è nata in Germania la deriva totalitaria e che nel ’39 hanno portato allo scoppio di un conflitto mondiale.
Fa parte del personaggio, il coraggio, una certa dose di incoscienza ed un desiderio di lanciarsi in un sogno condiviso di libertà”.
Pensi che Gerda sia paragonabile con la donna impegnata del ’68?
“Certo, molti elementi si possono sovrapporre, fatte le debite considerazioni, certamente Gerda sarebbe stata in prima linea a raccontare e condividere il sogno di una società migliore”.
Facendo un ulteriore salto temporale, chi sarebbe oggi Gerda, dove sarebbe?
“Abbiamo visto la guerra impossessarsi di ogni tempo e via più colpire sempre più le popolazioni civili ed inermi. Penso agli spagnoli, negli anni ’30, alle popolazioni inermi durante la seconda guerra mondiale, penso agli attuali conflitti, dove le forze armate sono sempre meno coinvolte ma aumentano a dismisura le perdite umane tra i civili. Gerda sarebbe oggi in uno di quei postacci, la Siria, la Libia”.
Un pensiero alla tua nazione di origine, la Polonia. Brindisi come sai è luogo dov’è sopravvissuta la speranza polacca, proprio durante l’insurrezione del ’44.
“Alle vicende militari polacche in Italia, ho dedicato il libro “Le rondini di Montecassino”. Sono stata di recente ed ho trovato molte contraddizioni, ma non molto diverse di quelle che si sviluppano in altre parti d’Europa, ma sono molto fiduciosa nelle giovani generazioni, molto desiderose di condividere con i loro coetanei europei un progetto di condivisione sociale ed integrazione culturale”.
Grazie Helena. Dzakuje Giancarlo.