𝗦𝗮𝗻𝗶𝘁𝗮̀ 𝗯𝗿𝗶𝗻𝗱𝗶𝘀𝗶𝗻𝗮, 𝘂𝗻 𝗺𝗼𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗯𝘂𝗶𝗼 𝘁𝗿𝗮 𝗔𝘀𝗹, 𝗖𝗼𝗺𝘂𝗻𝗲 𝗲 𝗢𝗿𝗱𝗶𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗶 𝗺𝗲𝗱𝗶𝗰𝗶/ 𝗘𝗗𝗜𝗧𝗢𝗥𝗜𝗔𝗟𝗘


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di Gianmarco Di Napoli per il7 Magazine

Non è possibile in questo momento stabilire se Viviana Delego, l’insegnante 41enne di Pezze di Greco morta qualche giorno dopo aver dato alla luce due gemelli presso l’ospedale Perrino di Brindisi, potesse essere salvata. E’ assai probabile che sarà una perizia medica a stabilirlo, se come appare ormai scontato il marito Giacomo Cofano chiederà alla magistratura di fare luce su quanto accaduto nel reparto di Ostetricia, accertamenti che saranno di certo effettuati (questo è giù ufficiale) anche da ispettori inviati dal ministero della Sanità e dalla Regione Puglia. E dopo che nelle ultime ore un esposto-denuncia è stato presentato alla Procura di Brindisi dal Codacons e dall’associazione «Articolo 32-97»,
A prescindere da quale sarà l’esito delle indagini, penale e amministrativa, sulla morte di Viviana (foto), ci sono una serie di aspetti poco chiari intorno a questa vicenda che tratteggiano scenari inquietanti per la sanità brindisina, già segnata in questi ultimi mesi da una serie di episodi che non solo dipingono un quadro molto fosco, ma soprattutto danneggiano l’immagine della stragrande maggioranza dei medici dotati di professionalità, umanità e dedizione alla loro missione.
Sintetizziamo brevemente ciò che è accaduto: qualche giorno dopo la morte della donna, avvenuta per una emorragia che non è stato possibile compensare neanche con una ventina di sacche di sangue, il primario di Chirurgia, Giuseppe Manca, ha scritto una dettagliata relazione inviata poi in maniera riservata alla direzione sanitaria dell’ospedale Perrino. Il medico, in sostanza, spiegava per quale motivo si trovasse in sala operatoria la mattina del 17 dicembre, per effettuare un intervento d’urgenza di isterectomia (rimozione dell’utero). Che in realtà avrebbe dovuto essere eseguito da un ginecologo.
Manca, nella sua relazione, ha spiegato di essere stato contattato quella mattina del ginecologo di turno nel reparto (era un sabato, quindi prefestivo) il quale gli faceva presente della situazione gravissima della paziente, della necessità di sottoporla urgentemente all’asportazione dell’utero per tentare di contenere l’emorragia e soprattutto chiedeva al primario di Chirurgia la disponibilità a effettuare l’intervento in sua vece perché lui non si sentiva in grado di eseguirlo.
Nella medesima relazione, il capo dei chirurghi ha evidenziato come a gestire quella situazione gravissima (al punto che poi la paziente è deceduta) nel reparto di Ostetricia dell’ospedale Perrino non ci fossero né il dirigente dell’Unità né la sua vice.
Il documento riservato, inviato da Manca alla direzione dell’ospedale, risale al 20 dicembre.
Nei giorni successivi alla morte della donna, contrariamente a quanto avviene spesso in casi simili, il marito – con un gesto nobile e di rara generosità in quel momento così tragico – ha scritto una lettera al personale del reparto di Rianimazione, medici e infermieri, per ringraziarli dell’impegno profuso nel disperato tentativo di salvare la moglie dopo l’intervento chirurgico. In quei giorni per altro nell’Utin, il reparto di rianimazione neonatale, erano ricoverati i due gemellini (una femminuccia e un maschietto) nati con parto cesareo nelle fasi concitate dell’emorragia della madre.
La Asl di Brindisi ha condiviso sui social immediatamente la lettera di Giacomo Cofano, ringraziandolo e testimoniandogli la propria vicinanza in quel momento terribile. Qualche giorno dopo, a Natale, è stato addirittura papa Francesco in persona a telefonargli con semplici ed emozionanti parole di conforto. Insomma la vicenda sembrava chiusa: il corpo di Viviana fu restituito alla famiglia per i funerali. La procura, in assenza di qualsiasi denuncia o segnalazione, non aprì alcun fascicolo.
E la relazione del dottor Manca? Boh. Nessuno, al di fuori di chi l’ha scritta e di chi l’ha ricevuta sembrava esserne a conoscenza. Era stata presa in considerazione o ora finita in un cassetto, visto che non c’era alcuna denuncia? Non possiamo saperlo.
Ma qualcuno evidentemente ha perso la pazienza. Una «manina misteriosa» ha intercettato la relazione riservata e ha scelto quella che forse era l’unica strada possibile perché diventasse pubblica: l’ha passata a un giornalista. E l’ottimo collega del Corriere della Sera ha fatto esattamente ciò che doveva: l’ha pubblicata.
A questo punto va analizzata la reazione della Asl di Brindisi: sono trascorse ben 24 ore tra la pubblicazione, sul più importante quotidiano nazionale, di stralci di quella relazione che tratteggiava retroscena inquietanti sul caso Delego. Evidentemente la risposta è stata meditata a lungo.
Ci saremmo aspettati qualcosa del tipo: “La relazione del dottor Giuseppe Manca è stata acquisita e sono in corso tutti gli accertamenti previsti per verificare l’accaduto a garanzia della tutela del diritto alla salute e della trasparenza”.
Sarebbe stata una risposta sensata e prudente, non banale, che avrebbe in qualche modo anche spiegato per quale motivo fosse rimasta apparentemente nel cassetto.
Invece nella nota diffusa il giorno successivo, con cui la Asl risponde a un articolo che era basato su una relazione di un suo stesso medico dipendente, uno dei migliori e più importanti della struttura, è una specie di arrampicata sugli specchi: “La richiesta è avvenuta da parte del ginecologo di turno considerata la complessità del caso clinico. La necessità di intervenire con una gestione chirurgica multidisciplinare si è già verificata in altre circostanze di pari gravità. Il ginecologo cui si fa riferimento, peraltro, è un professionista con trent’anni di esperienza, che ha ritenuto di agire nell’esclusivo interesse della paziente e per garantire una maggiore sicurezza”.
Insomma sembra una difesa d’ufficio del reparto di Ginecologia, come se a ipotizzare presunte irregolarità fosse stato un paziente, o un familiare e non un medico che evidentemente conosce perfettamente la “gestione chirurgica multidisciplinare” e che dunque ha sollevato il caso perché forse il suo intervento non era stato di collaborazione ma di sostituzione di un ginecologo che, lasciato a governare l’intero reparto, non era (per sua stessa ammissione) nelle condizioni di effettuare un intervento, quello dell’asportazione dell’utero, per sua definizione di competenza di uno specialista.
Nella stessa nota la Asl fa presente comunque che la “Gestione del Rischio clinico aziendale, ha acquisito sin da subito gli atti relativi al caso e sono in corso, da parte dei medici legali dell’ufficio, tutte le valutazioni di competenza”.
Evidentemente però la scricchiolante risposta dall’Azienda sanitaria, entrata nel merito della questione prendendo le difese del ginecologo e del reparto nei confronti del primario di un altro reparto, prima ancora degli esiti degli accertamenti interni, non ha convinto gli organi superiori. In primis l’assessore alla Sanità Rocco Palese che, dopo aver sottolineato l’oggettività della relazione di Manca, ha deciso di inviare i propri ispettori “non considerando sufficiente l’inchiesta interna disposta dalla Asl”. Subito dopo è stato il sottosegretario alla Sanità, Marcello Gemmato, ad annunciare «l’invio di ispettori ministeriali che faranno emergere la verità».
Anche il marito della donna, legittimamente, ha cambiato atteggiamento, nonostante le ultime righe della nota della Asl fossero indirizzate proprio a lui: “È facile presumere che tutto questo, a distanza di oltre un mese, possa aver riacceso un dolore immenso nella famiglia, a cui l’Azienda tutta esprime nuovamente la propria vicinanza”.
La vicinanza a questo punto conta davvero poco: ci sono tre bambini rimasti orfani e un vedovo. Giacomo Cofano ora non vuole solidarietà, ma desidera solo che venga ristabilita la verità.
E noi ci chiediamo intanto: se quella manina misteriosa non avesse reso pubblica la relazione, della “denuncia” del primario di Chirurgia, cosa ne sarebbe stato? Immaginiamo che l’ispezione ministeriale e regionale verificherà anche se e in che modo e con quali tempistiche la Asl avesse avviato un’inchiesta interna e se gli atti fossero stati inviati per conoscenza anche alla Procura.
Per la Sanità brindisina si tratta di un momento buio come pochi: recentissimo il caso della dottoressa che ha lasciato il pronto soccorso dopo aver chiesto aiuto al magistrato perché non era in grado di smaltire i pazienti. E poi le ultime, scioccanti, inchieste giudiziarie: il cardiologo del Perrino arrestato per corruzione e la sfilza di medici, in parte dipendenti della Asl in servizio allo stesso ospedale e in parte dell’Inail, coinvolti nello scandalo delle truffe alle assicurazioni. Medici in affari con alcuni tra i più noti criminali della città.
La Asl di Brindisi non è la sola apparentemente inconsapevole di questo precipizio.
E’ di qualche giorno fa l’onirica approvazione all’unanimità da parte del Consiglio comunale di Brindisi di una altrettanto fantasmagorica idea del sindaco Riccardo Rossi di far costruire un nuovo ospedale ché quello che abbiamo, il Perrino, non è strutturalmente all’altezza. Come se il problema principale fossero le strutture e non il sistema che non funziona. O funziona male, malissimo.
Sarebbe come voler costruire uno stadio da 30mila posti che sostituisca quello di via Brin che è un relitto e la gente non va a vedere le partite. Cosa se ne farebbe la città di uno stadio da serie B se ha una squadra di calcio che milita tra i dilettanti?
L’aspetto inquietante è che tutto il Consiglio comunale ha approvato, all’unanimità, l’idea di proporre alla Regione la costruzione di un nuovo ospedale, progetto che eventualmente richiederebbe anni per essere realizzato. Mentre i problemi sono di ieri e di oggi. Tutti gravissimi.
A completare il quadretto c’è l’Ordine dei Medici della provincia di Brindisi. Da mesi sembra aver avviato una battaglia frontale contro l’Azienda sanitaria con un’asprezza di toni e una ridondanza che neanche il 1969 alla Fiat di Torino. Ora naturalmente è tra i compiti dell’Ordine quello di tutelare la categoria dei medici e di battersi perché possano lavorare nelle migliori condizioni possibili. Ma l’Ordine non è un sindacato e non può assumere sistematicamente il ruolo di controparte della Sanità pubblica, dalla quale dipendono buona parte dei suoi iscritti.
Tra le sue competenze istituzionali principali, ricordiamo, ci sono invece quella di “vigilare alla conservazione del decoro e della indipendenza dell’Ordine” e di “esercitare il potere disciplinare nei confronti dei sanitari iscritti negli albi, salvo in ogni caso, le altre disposizioni di ordine disciplinare e punitivo contenute nelle leggi e nei regolamenti in vigore”.
Ora, non ci risulta che in tutti questi mesi l’Ordine dei Medici della Provincia di Brindisi abbia espresso una pubblica posizione di condanna, o abbia informato di aver assunto qualsiasi forma di provvedimento disciplinare a tutela della propria immagine, nei confronti dei suoi iscritti che – sulla base di indagini penali – risultano coinvolti in vicende giudiziarie.
Eppure alcuni di questi casi (con medici tuttora agli arresti e con altri che rischiano di finirci presto) non solo sono in antitesi con il rispetto della Legge ma anche con quello della missione alla quale i «dottori» sono chiamati, violando in maniera spudorata il giuramento di Ippocrate.