Il clan dei Casalesi e il mistero dei rifiuti tossici interrati a Ceglie Messapica

Non è la prima volta che si parla di rifiuti tossici – e perfino radioattivi – interrati nelle viscere delle campagne brindisine. Le parole dell’ex boss pentito Carmine Schiavone, su presunti accordi tra il clan dei Casalesi e la Sacra Corona Unita per celare nelle campagne salentine scorie velenose, destano scalpore e preoccupazione. Ma non tutti sobbalzano sulla sedia sbigottiti e colti di sorpresa. Anzi. A Ceglie Messapica, di rifiuti tossici e radioattivi nascosti tra arbusti e uliveti da camion scorti nelle campagne nottetempo, di discetta da ormai decenni. Non una semplice vox populi, una storiella raccontata e gonfiata per il puro piacere di alimentare il terrore. Ma qualcosa di più concreto. Tanto che perfino le istituzioni, quasi due anni fa, se ne sono occupate ufficialmente. Prima l’Arpa, poi lo stesso Comune.

Fu l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, il 22 dicembre del 2011, ad accendere l’ennesimo faro sulla vicenda, con una lettera inviata a Palazzo di Città con cui chiedeva ragguagli al Comune in merito alla presenza di rifiuti tossici e radioattivi interrati nelle campagne cegliesi fin dagli anni ’80. Il sindaco Luigi Caroli, conoscendo della vicenda – come tutti del resto – solo quel che da anni passava di bocca in bocca e nulla più, girò l’appello ai cittadini, chiedendo a tutti coloro che avessero qualche informazione in merito di metterla nero su bianco. Ovviamente, garantendo l’assoluto anonimato. Non giunse nulla di nuovo e concreto.

La faccenda fu quindi chiusa e cassata nel ripostiglio delle “leggende metropolitane”. Ma le dichiarazioni rese nel 1997 dal boss dei casalesi Carmine Schiavone davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, tenute segrete per 15 anni e rese note solo la scorsa settimana, non possono che far riflettere. “Anche sulla Puglia parlavamo – ha riferito Schiavone rispondendo alle domande del presidente della Commissione – c’erano discariche nelle quali si scaricavano sostanze che venivano da fuori, in base ai discorsi che facevamo negli anni fino al 1990-1991”. Dove? “A mia conoscenza personale, nel Salento, ma sentivo parlare anche delle province di Bari e di Foggia”. Chi se ne occupava? “Nel brindisino operavano un certo Bicicletta, un certo D’Onofrio che stava con Pietro Vernengo, il suo capo zona”.

Dichiarazioni agghiaccianti, fornite non da un criminale qualsiasi, ma da un ex boss, che forse aiutano a capire, rafforzano l’idea che per anni non si è veramente corso dietro a un fantasma, a una “leggenda metropolitana”. Ma a qualcosa di più concreto.
Tre indizi, si dice, fanno una prova. E gli indizi, in questa vicenda permeata di mistero, non mancano. Ci sono innanzitutto quelle voci, quei racconti, sopravvissuti all’incedere del tempo, partoriti forse dalla mente malata di un qualche mitomane. Ma a che scopo?
Di rifiuti tossici interrati a Ceglie si parlava quando solo i clan, nel segreto delle loro stanze, avevano intravisto in quella pratica l’opportunità di poderosi affari. Decenni dopo, ecco spuntare uno tra i più potenti boss del clan dei Casalesi rivelare che sì, in Puglia, e in Salento, la mafia interrava rifiuti tossici. Una gran bella coincidenza.
C’è poi l’interessamento dell’Arpa, quello della politica cegliese, del Comune, e perfino del Nucleo operativo ecologico. Ma non solo. C’è un ultimo, importantissimo tassello, in questo inquietante puzzle. Emilio Gianicolo, ricercatore dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Lecce, pubblicò nel 2010 uno studio che rivelò la maggiore prevalenza di tumore al polmone tra le donne residenti nel Comune di Ceglie Messapica. Un eccesso che superava del doppio il dato atteso e che il ricercatore etichettò come “misterioso”. Perché proprio Ceglie, nota per la gastronomia e non di certo per la presenza di attività inquinanti? L’interrogativo non ha ancora avuto risposte chiare e definitive. Almeno fino a oggi.