“Chiedo scusa a tutta la famiglia. Non volevo ucciderlo”. Ha chiesto perdono Dora Buongiorno. Un’indulgenza, se non giudiziaria, almeno morale, che l’aiutasse ad alleviare il rimorso per un omicidio che ancora una volta ha ribadito di non aver voluto commettere. Questa mattina era presente in aula per l’atto conclusivo del processo con rito abbreviato che l’ha vista alla sbarra per aver ucciso, ardendolo vivo nelle campagne di Mesagne, l’imprenditore brindisino di 51 anni Cosimo Damiano De Fazio, di cui fu l’amante per oltre 15 anni.
A separarla dai famigliari della vittima, solo il basso divisorio che demarca il confine tra la zona dell’aula riservata alla celebrazione dell’udienza e quella destinata al pubblico. Dora Buongiorno ha assistito per tutto il tempo in silenzio, stretta nelle spalle: giubbotto chiuso fino al mento, i lunghi e folti capelli neri raccolti in parte da due pinzette, jeans e scarpe da tennis. Non ha mai pronunciato una sillaba. Solo impercettibili singhiozzi, ogni volta che la tensione è sfociata in pianto. E anche le scuse rivolte ai famigliari, che le hanno ascoltato senza commenti, sono state affidate alle parole del suo avvocato che ne ha dato lettura al termine della sua lunga arringa.
Un intervento durante il quale il difensore ha ripercorso, in una lenta, inesorabile discesa verso l’inferno, i quindici anni di persecuzioni, di soprusi, di violenze, subite dalla sua assistita per mano di De Fazio. Le botte erano all’ordine del giorno. Il sesso, violento e umiliante. Dora Buongiorno, nella ricostruzione del legale, non era altro che un oggetto, uno strumento nelle mani di De Fazio, che ne doveva essere il solo, unico, incontestato proprietario. Era sufficiente che la donna uscisse di casa senza il suo nullaosta perché l’imprenditore perdesse il lume della ragione. E le conseguenze erano agghiaccianti. In un caso De Fazio portò la donna in un angolo di campagna, la trascinò fuori dall’auto, le si scaraventò addosso prima tempestandola di calci e pugni, poi frustandola con un ramo d’ulivo. Promettendole che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno la legò a un albero e la cosparse di benzina. Nel raccontarlo l’avvocato ha simulato l’atto stringendo in una mano una bottiglia di plastica trasparente, con all’interno del liquido verde che ha tenuto esposta davanti a se per tutta l’arringa: con accanto un accendino. E un accendino lo mostrò De Fazio a Dora Buongiorno anche quella volta. Lei lo supplicò di non farlo, almeno per i suoi bambini. Quando tornò a casa l’uomo le impedì di lavarsi o medicarsi. Le impose di rimanere sul divano, di fronte a lui, che per nulla scosso, quasi si fosse trattato di normale routine, si appisolò.
I figli della Buongiorno, ha osservato il legale, erano al pari della loro madre vittime e prigionieri di De Fazio: il quale doveva essere il padrone indiscusso della casa. E quando il più piccolo, ad appena 5 anni, osò contraddirlo, asserendo che l’unico a comandare era suo nonno, De Fazio – ha raccontato l’avvocato – prima lo prese a ceffoni e poi, trascinando il piccolo per un orecchio in bagno, gli ficcò la testa nel water tirando più volte lo scarico fino a che il piccolo non disse quel che lui voleva sentirsi dire: “Comandi tu”.
Ma le violenze non sarebbero state solo fisiche. Per giorni De Fazio torturò psicologicamente la donna con quella che l’avvocato difensore ha definito “una vera e propria pantomima”. L’uomo, ha ricordato il legale, arrivò a perseguitare la 43enne per via di alcuni messaggi ricevuti da un numero di telefono sconosciuto. La martoriò per giorni, minacciandola più volte di morte: “Con chi te la stai facendo? Stavolta ti sparo in bocca”. Alla fine si scoprì che lo sconosciuto in questione altri non era che lo stesso De Fazio, che per un gioco sadico e atroce, s’inventò un presunto amante solo per angosciare e terrorizzare, inutilmente, la donna.
Stanca delle sevizie, delle umiliazioni, delle sfuriate, Dora Buongiorno decise di reagire come meglio poteva. Il terrore le impedì sempre di chiedere aiuto alle forze dell’ordine. Così fece da sé, iniziando di nascosto a versare nelle bevande di De Fazio gocce di tranquillanti. Lo stratagemma funzionò per un po’, fino al tragico epilogo. Il 26 dicembre Dora Buongiorno si lasciò sfuggire una dose eccessiva di “Minias”: secondo la difesa per sbaglio, secondo l’accusa per calcolo. Così stordito, una volta in campagna, la donna ebbe modo di consumare la sua vendetta. Cosparse i genitali di De Fazio con della benzina e appiccò il fuoco. Agli inquirenti ha sempre detto di non aver avuto l’intenzione di ucciderlo, ma solo punirlo. Non voleva che il rogo divampasse, fino ad avvolgere il 51enne, uccidendolo. Ma le cose andarono esattamente così.
Per l’accaduto il pubblico ministero Luca Buccheri ha chiesto una condanna esemplare: 30 anni di galera. Ma il giudice Valerio Fracassi, ascoltate le parole dell’avvocato, ha dimezzato quel conto: 15 anni. Dora Buongiorno ha ascoltato la lettura del dispositivo tra le lacrime. E in lacrime sono scoppiati i famigliari di De Fazio, che abbandonata l’aula hanno dato in escandescenze. Le grida hanno reso necessario l’intervento di tre pattuglie dei carabinieri e perfino la chiusura dei cancelli del tribunale. I militari hanno avuto non poche difficoltà a trattenere i più figli della vittima, che sconvolti urlavano: “Lo ha ridotto a un pezzo di carbone. Voi non lo avete visto, nostro padre era un pezzo di carbone”.