Ninetta e Mimina si incontrarono a Mesagne

L’incontro tra Ninetta Bagarella, moglie della “Belva” Totò Riina, e Mimina Biondi, moglie del boss Pino Rogoli sarebbe avvenuto alcuni mesi fa a Mesagne in occasione di uno dei viaggi in Puglia che la donna siciliana compie periodicamente per raggiungere San Pancrazio Salentino, dove dal 2011 vivono la figlia Maria Concetta, primogenita di “Totò ‘u curtu”.

Eccola, la seconda parte delle rivelazioni preannuciate dal settimanale “L’Espresso” che ieri hanno provocato profonda inquietudine perché da un lato hanno confermato la fondatezza di tutti gli interrogativi che la comunità brindisina si era posta alla notizia del trasferimento in zona di una appendice così importante della famiglia Riina. Dall’altra hanno accreditato l’ipotesi di un estremo tentativo di rinascita della Sacra corona unita, come appendice di Cosa Nostra.

Ninetta Bagarella si sarebbe recata a Mesagne, a casa della Biondi, come se fosse una visita di cortesia, come si va a trovare una vecchia amica. In realtà le due donne non si erano mai conosciute prima. Hanno in comune solo il fatto di essere le mogli di due boss che hanno scritto con il sangue la storia della criminalità italiana: Riina le pagine più cruente di Cosa Nostra e Rogoli fondatore e capo supremo della Sacra corona unita.

Ma c’è un altro particolare che rende più inquietante l’incontro. La rifondazione della “Scu”, avvenuta a metà degli anni Ottanta dopo la prima guerra di mafia, vide protagonisti nell’ambito di una alleanza che si sviluppò nell’area centro occidentale della Puglia, il mesagnese Pino Rogoli, il manduriano Vincenzo Stranieri e il tarantino  Alberto Lorusso. Proprio quest’ultimo, attualmente detenuto nel carcere di Opera, è la “dama di compagnia” di Totò Riina, ossia – in gergo carcerario – il detenuto scelto per trascorrere ogni giorno l’ora di socializzazione con i mafiosi ristretti al 41 Bis. E a lui Riina ha rivelato il progetto di eliminare il pm di Palermo Nino Di Matteo.

L’accoppiamento tra i due detenuti sarebbe stato deciso dal Dipartimento amministrazione penitenziaria dopo aver ricevuto l’indicazione del nome dalla Procura nazionale antimafia. Anche la “dama” precedentemente assegnata a Riina era un pugliese.

Ora c’è il timore che proprio San Pancrazio Salentino possa essere lo snodo di un’alleanza e una comunione di intenti tra Cosa Nostra e Sacra corona unita. Proprio a San Pancrazio avvenne la strage che di fatto aprì la storia di sangue della Sacra corona  e la portò alla ribalta nazionale come associazione mafiosa: alla fine degli anni Ottanta, quattro ragazzi furono uccisi e sotterrati in campagna dopo una rapina a un furgone di caffè.

Storia di un quarto di secolo fa ma che potrebbe tornare tristemente d’attualità.