Per “correggere” i suoi alunni di 3 anni li picchiava e minacciava: condannata maestra nel Brindisino


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Di Marina Poci per il numero 423 de Il7 Magazine
Era solita “contenere, tentare di correggere e prevaricare abitualmente” i suoi studenti di tre anni che mostravano comportamenti contrari alle regole, riservando loro punizioni corporali (percosse, schiaffi al volto, colpi al capo, strattonamenti violenti che in alcuni casi provocavano la caduta dei bambini), minacciandoli, spaventandoli, urlando con vemenza a pochi centimetri dal loro viso frasi minatorie e ingiuriose, umiliandoli con esternazioni denigratorie e inducendoli spesso in un pianto dirotto, con la conseguenza di procurare nei bambini “uno stato di prostrazione ed intollerabile sofferenza nella frequentazione scolastica”: per queste condotte, circoscritte almeno alla primavera del 2019, una maestra 66enne della scuola dell’infanzia, G. V., originaria di Ceglie Messapica ma in servizio in un altro comune del Brindisino, è stata condannata dal Giudice monocratico del Tribunale messapico Leonardo Convertini alla pena (sospesa) di un anno e quattro mesi di reclusione
La Procura della Repubblica, rappresentata dal viceprocuratore onorario Nino Alessandro Bixio, aveva chiesto una pena più severa, ovvero due anni e mezzo di reclusione, mentre la difesa, sostenuta dall’avvocato Aldo Gianfreda, aveva chiesto in via principale la riqualificazione dei fatti (che nel capo di imputazione erano stati qualificati come maltrattamenti nei confronti di persone affidate “per ragioni di educazione, istruzione, cura”) nella più lieve fattispecie di “abuso dei mezzi di correzione” e l’assoluzione dell’imputata con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.
L’inchiesta è nata dal coraggio di una coppia di genitori che, dopo aver notato lividi sulle braccia e sui polsi del proprio figlio e aver ascoltato i suoi racconti tra lacrime e parole spezzate (“la maestra mi picchia”), decisero di nascondere un vecchio cellulare in modalità registrazione audio nello zainetto del bambino. In quella occasione il bimbo uscì da scuola rosso in volto sudato e piangente e la maestra disse ai genitori che quell’aspetto era dovuto al fatto che si era agitato perché aveva corso in classe. Tuttavia, i genitori, una volta rientrati a casa e ascoltato quanto carpito dalla registrazione, si resero conto che la maestra durante la giornata scolastica aveva fatto oggetto il piccolo di parolacce e bestemmie ed ebbero inoltre modo di ascoltare inquietanti rumori, che ricondussero presumibilmente agli schiaffi e al pianto del piccolo e degli altri compagni presenti in aula.
Quella registrazione, poi consegnata ai Carabinieri in allegato alla querela nella quale madre e padre precisarono anche che il loro figlio era terrorizzato, che si rifiutava di recarsi a scuola e che aveva iniziato a svegliarsi nel cuore della notte con crisi di pianto a fare la pipì a letto, indusse i militari dell’Arma a installare in classe una microtelecamera che documentò in modo diretto atteggiamenti e comportamenti violenti e inappropriati. E quei filmati, che testimoniamo una routine scolastica quotidiana fatta di urla, minacce, trascinamenti, schiaffi e parole umilianti, sono poi stati visionati nel corso del dibattimento, convincendo il Giudice di prime cure della colpevolezza dell’imputata, condannata pur con la concessione della sospensione condizionale della pena.
Oltre agli episodi di violenza fisica, particolare riprovazione morale suscitano gli insulti e le intimidazioni che la maestra era solita proferire all’indirizzo dei piccoli studenti: “tu sei malato, malato di capo”, “ti tiro la testa”, “se ti alzi dalla sedia ti faccio un bernoccolo” e addirittura “ti imbalsamo con la colla” e “ti metto la colla sul culetto”, accompagnati dalla minaccia di incollare loro le manine.
Nel processo si sono costituite parte civile, con gli avvocati Giacomo Viva, Pasquale Annichiarico e Mario Laveneziana, cinque famiglie: oltre agli originari querelanti, infatti, altri otto genitori, accomodandosi sullo scranno testimoniale, hanno raccontato che i loro figli, durante l’anno nel quale la maestra imputata era stata loro insegnante, presentavano crisi di pianto, irritabilità, improvvisi risvegli notturni, incontinenza, deciso rifiuto di andare a scuola.
Nel corso dell’istruttoria dibattimentale, una mamma ha riferito al Tribunale che, durante una festa di compleanno, suo figlio, circondato dal chiasso dei coetanei, si sarebbe messo le mani sulla testa e avrebbe ripetuto: “Zitti, botte ai bimbi, botte ai bimbi”, probabilmente rievocando quanto accadeva in aula quando non si faceva silenzio. Tutti i genitori hanno inoltre riferito che, durante il successivo anno scolastico, quando la maestra imputata aveva cessato l’incarico nella loro classe, i bambini sono lentamente ritornati alla tranquillità psicofisica, ritrovando il piacere di recarsi all’asilo e non manifestando più né problemi nel ciclo sonno-veglia, né minzione involontaria.
Dal canto suo, G. V., ascoltata tanto nella fase delle indagini quanto nel processo, ha ammesso di aver agito “un pochettino non delicatamente”, ma soltanto a meri scopi educativi, aggiungendo che alcuni dei suoi comportamenti erano anche dettati dal timore che i bambini si facessero del male accidentalmente ed escludendo che le sue azioni fossero animate dalla precisa volontà di far del male ai piccoli.
Contegno processuale che, unitamente alla sua condizione di incensuratezza e al parziale risarcimento del danno poi liquidato in sentenza, corrisposto in assegni come acconto sul maggiore avere ai genitori dei piccoli, le ha fatto guadagnare il giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle contestate aggravanti.
Ciò che colpisce, tuttavia, è la circostanza che alcune colleghe dell’imputata, nonché il dirigente scolastico e i collaboratori, chiamati a testimoniare, abbiano dichiarato di non avere mai ricevuto lamentele e di non avere percepito o riscontrato comportamenti di particolare gravità.
Addirittura, l’insegnante subentrata l’anno successivo nella classe frequentata dai piccoli maltrattati, ha riferito al Tribunale di aver trovato un gruppo di studenti molto vivaci, tra i quali uno di particolare vivacità e intolleranza al rispetto delle regole. Proteste e recriminazioni sono state escluse anche dalla collega di sezione, che ha detto di avere avuto con la maestra condannata “un bellissimo rapporto di collaborazione” e di non avere mai ricevuto accuse da parte dei genitori. Lo stesso ha detto il dirigente scolastico, che ha riferito di non aver mai ricevuto lamentele sul conto della maestra neppure dopo che i fatti divennero pubblici, né di aver mai riscontrato criticità di tale tenore nelle occasioni in cui si era arrecato nel plesso per svolgere sopralluoghi.
Un atteggiamento che, pur nel rispetto della presunzione di non colpevolezza di G. V. sino all’ultimo grado di giudizio, lascia supporre che, in assenza della prova documentale visiva, difficilmente si sarebbe giunti ad una sentenza di condanna.