Ferrarese e il suo folle sogno del basket che prese per mano Brindisi nel momento più duro


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di GIANMARCO DI NAPOLI

Pensare a Massimo Ferrarese come “quello che ha riportato Brindisi in serie A dopo 29 anni” è estremamente riduttivo, anche se solo tale impresa sarebbe sufficiente a garantirgli gloria eterna e l’intitolazione (tra cent’anni) almeno di un pala eventi.

Ma Ferrarese non è stato solo un eroe della Brindisi a spicchi, l’emblema del Rinascimento sportivo di una città frustrata da decenni di umiliazioni maturate su campetti spelacchiati di pallone o in palestre scolastiche double-face tramutate la domenica in piccole oasi di canestri traballanti e linee confuse con quelle della pallamano.

La crescita inarrestabile del basket in questi dieci anni ha rappresentato un appiglio formidabile al quale si è aggrappata una città che veniva da uno dei suoi momenti peggiori del dopoguerra, devastata dal terremoto giudiziario che aveva portato in carcere il sindaco e altri politici, tra cui lo stesso presidente della squadra di basket, e che viveva le scosse d’assestamento della fine del contrabbando.

Era tutto buio in quel 2004, con la città commissariata e poi affidata alle cure Mimmo Mennitti. La squadra di basket era anche quella allo sbando, con la retrocessione in serie C evitata ai playout contro Bari e il titolo che stava per finire a Molfetta.

C’è sempre stata una simbiosi speciale tra Brindisi e la pallacanestro, un legame che ha toccato i suoi livelli più alti quando la città era forte politicamente e solida economicamente, basti ricordare le epiche sfide tra la Libertas di Giulio Caiati e l’Assi di Mario Marino Guadalupi, rinnovate – con nomi diversi ma in rappresentanza delle stesse entità politiche – dalla Pallacanestro Brindisi di Mario Scotto e l’Azzurra di Italo Piliego.

Ferrarese è riuscito a venire fuori da questa logica. Ha innescato il motore della ripartenza da un sogno semplice quanto apparentemente irrealizzabile: quello di riportare da solo Brindisi in serie A. Sì la squadra, sì il basket, ma soprattutto la città. Ha ingaggiato i giocatori migliori, i tecnici più affermati, ma nel frattempo guardava oltre, capitalizzando in quegli stessi anni il suo ruolo di presidente di Confindustria per attirare verso questa terra nuovi investimenti e usando il grimaldello dello sport, che parla un linguaggio universale, per avvicinare aziende, politici e facendo rientrare Brindisi nelle mappe del turismo dalle quali era stata depennata.

Non gli credeva nessuno quando giurava che avrebbe portato la squadra in serie A, ma quella scalata inarrestabile e sempre più concreta diventava nel frattempo la dimostrazione che questa città poteva aspirare a raggiungere qualsiasi traguardo, che se da Maddaloni, prima partita della New Basket nel 2004, si era arrivati a sfidare la Montepaschi Siena pluricampione d’Italia, nulla poteva essere precluso al sogno di una rinascita, di una nuova affermazione sociale, di un ruolo diverso in una Puglia fino ad allora monopolizzata da Baricentrismo.

Ferrarese, nella sua folle e dispendiosa determinazione, ha contribuito a riportare a galla, anche attraverso il basket, l’immagine di una città che annaspava e che tutt’oggi deve fare i conti con le ombre di un passato becero e a tratti patetico (l’ex sindaco pluriarrestato Giovanni Antonino, di cui sopra, recentemente di nuovo indagato, su Facebook ironizza – proprio lui – sulla presunta fine di Ferrarese dopo l’addio al basket).

Brindisi ha avuto altri grandi personaggi che hanno regalato momenti di gloria allo sport biancazzurro, nel basket e nel calcio, ma sono stati accomunati tutti da un unico destino: la gloria è stata effimera ed è stata poi macchiata da fallimenti e successivi tracolli nello sport dilettantistico, e spesso loro stessi sono stati coinvolti in disavventure giudiziarie, anche molto gravi.

Ferrarese è invece riuscito a realizzare il suo sogno, partire dalla B2 per arrivare all’Europa, giungendo persino a rinunciare all’unico titolo che avrebbe davvero meritato di ricoprire: presidente della New Basket. Non voleva mischiare il basket con la sua carriera politica.

Ma soprattutto dice addio alla sua creatura quando non solo è in vita e in salute ma nel suo momento di massimo splendore (in serie A e in Europa).  In più senza aver mai ricevuto a casa la visita di un ufficiale giudiziario, nonostante la politica, la pubblica amministrazione, i mille nemici accomunati da risentimenti e invidie.

Se non sono miracoli questi… Buona vita, Patron.