di GIANMARCO DI NAPOLI
Ci ha provato sino all’ultimo, prima con le onde che rimbalzavano sulla banchina di Punta delle Terrare rendendo dieci volte più difficile qualsiasi manovra di attracco, poi mandando giù una nevicata che a Brindisi non si vedeva da anni e che ha raggiunto il suo culmine proprio mentre il portellone laterale di nave San Giorgio veniva calato per creare, dopo giorni in balìa delle onde, il primo ponte tra il mare e la terraferma. Era come se il destino, o chiamatelo come volete, si fosse intestardito a tenere a tutti i costi lontani dall’agognata salvezza i superstiti del Norman Atlantic, il traghetto maledetto, come se un incantesimo li privasse del legittimo diritto di riappropriarsi della loro vita, di riassaporare il sapore dei baci dei parenti che erano impazienti nell’open space del terminal brindisino, figli, mamme, mogli, alcune tolettate di fresco per accogliere con un pizzico di civetteria un marito che temevano di aver perso, altre ancora stravolte da giorni di pianti, paure, angosce tenute a freno.
Mai quella stazione per i traghetti, costruita nel punto magico in cui s’insediò il primo nucleo preistorico di brindisini, aveva vissuto un momento di tale intensità emotiva, propiziato da quella ormai collaudata macchina dell’accoglienza che questa città ha perfezionato negli ultimi vent’anni e che questa sera ha dato prova di straordinaria efficienza. Polizia, carabinieri, guardia di finanza, vigili urbani e del fuoco, e poi la Protezione civile, la Croce rossa e il 118, con tutte le associazioni di volontariato.
Così l’incantesimo non poteva che essere sfatato, come nelle migliori favole, con un bacio, e con un pianto liberatorio. Lo schiocco risuona, ovattato dalla neve che viene giù copiosa. Lui ha poco più di vent’anni e una maglia arancione, la giovane moglie lo avvinghia piangendo, la mamma gli prende il viso tra le mani. E tutti e tre si stringono in un girotondo che non c’è sortilegio che potrà separare. Là intorno è tutto un ritrovarsi e stringersi, chi piangendo, chi urlando, chi con un sorriso silenzioso. E i lampeggianti blu di cento mezzi di soccorso che pulsano a ritmo stroboscopico, interrotti dalle improvvise flashate dei fotografi e dai fari delle tv.
Cronisti tedeschi, spagnoli, francesi, greci e persino quelli della televisione giapponese che frugano negli occhi di questi marziani che per 48 ore sono sopravvissuti sul ponte di una nave alla deriva, con l’alternativa di morire buttandosi nell’acqua o lasciandosi bruciare dal fuoco che saliva dai garage della nave. E che ora, giunti finalmente all’interno del terminal, si muovono come tanti Linus, abbracciati a una coperta che non hanno intenzione di lasciare.
Alla fine sono 212 quelli che sbarcano dall’unità anfibia della nostra Marina, molti con i loro piedi e potranno riposare in hotel messi a disposizione dal Comune, altri adagiati sulle ambulanze. In cinque tornano a casa chiusi in una bara: sono quelli che la burocrazia definisce “morti accertati”. Il loro viaggio si concluderà all’istituto di medicina legale del Policlinico di Bari per l’esame autoptico. Gli altri, quelli che ancora vengono considerati “dispersi” e che potrebbero essere più di cento, forse non riceveranno mai neanche l’ultimo saluto. Per loro l’incantesimo, la maledizione del Norman Atlantic, non sarà mai sciolto.
(Tutti i video delle operazioni di sbarco sono sulla nostra pagina Facebook https://www.facebook.com/sebrindisi)