Castello di Oria, il processo torna a Brindisi. Alla sbarra 12 imputati

Torna a Brindisi il processo per i presunti abusi edilizi compiuti trasformando il castello di Oria in una sorta di resort di lusso: la Corte di Cassazione ha stabilito che la competenza spetta al Tribunale del capoluogo e non a quello di Lecce dove la difesa degli imputati aveva tentato di spostare il dibattimento.
Imputati principali i due legali rappresentanti della società che acquistò il castello, Isabella Caliandro, sorella di Domenico Caliandro, arcivescovo di Brindisi e Ostuni, e Giuseppe Romanin. Oltre a loro il progettista Severino Orsan, il capo dell’ufficio tecnico di Oria Pietro Incalza, e poi funzionati della Soprintendenza: Antonio Bramato, Salvatore Buonuomo, Attilio Maurano, Giovanna Cacudi, Vito Matteo Barozzi, Salvatore Monteduro, Antonio Forte, Antonio Loporcaro.
Tra gli undici capi d’imputazione ipotizzati dal pm Antonio Costantini, anche la la realizzazione di opere in contrasto con la normativa che salvaguarda il patrimonio storico e artistico. Con modifica della destinazione turistico culturale del castello al cui interno furono creati una sala congressi, una sala multiuso, una cucina, una sala da pranzo, un office e un ufficio amministrativo. Un resort in piena regola che muta completamente – sostengono gli inquirenti – le caratteristiche di uno dei castelli più belli e importanti del sud Italia.
La struttura fu sequestrata per la prima volta nell’ottobre 2011 ed è tuttora sotto tutela giudiziaria. E’ visibile periodicamente solo grazie all’accordo tra il circolo di Legambiente “Piaroa”, custode giudiziario del monumento, e la magistratura. Il castello era stato riaperto in pompa magna, dopo la ristrutturazione, nel 2010. Solo dopo un anno scattarono i sigilli.

I ritardi del percordo penale, con il palleggiamento delle carte tra Brindisi e Lecce sembra rendere ancora più lontana la data della riapertura, qualsiasi sia il destino degli imputati.