Abusi su minore: rinviato a giudizio sacerdote che sapeva e non ha risposto alle domande del PM

Un sacerdote del Tarantino è stato rinviato a giudizio per il reato di false dichiarazioni rese al pubblico ministero nel corso di un procedimento per abusi sessuali su una minore, celebrato nei confronti di un pregiudicato che si trovava agli arresti domiciliari nella comunità gestita dal religioso.
La giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Taranto Fulvia Misserini ha condannato a sette anni di reclusione (pena scontata di un terzo per effetto della scelta dell’imputato di avvalersi del rito abbreviato) un 47enne originario della provincia di Taranto, avendolo riconosciuto responsabile degli abusi contestatigli su una 13enne, che all’epoca dei fatti era alloggiata in una comunità nella quale anche l’imputato era ospite. Nella stessa udienza è stato disposto il rinvio a giudizio per il sacerdote, assistente spirituale della comunità, contro cui pende l’accusa di non avere risposto alle domande del PM.
Il 47enne condannato, secondo la ricostruzione della Procura di Taranto, sposata dalla GUP, avrebbe molestato una 13enne palpeggiandola e scattandole alcune fotografie.
Il sacerdote, interrogato dal PM, avrebbe asserito di non poter rispondere alle domande in quanto sarebbe stato a conoscenza dei fatti soltanto in ragione del suo ministero (nello specifico, avrebbe appreso della vicenda durante una confessione). La tesi della magistrata, invece, è che ad informarlo delle molestie siano state terze persone. In tal caso, non ricorrerebbe l’ipotesi del segreto confessionale (cui il sacerdote ha fatto appello per evitare di rendere testimonianza), trattandosi invece di rivelazioni affidategli durante l’attività sociale di volontariato svolta nella comunità e quindi indipendentemente dalla sua carica ecclesiastica.
L’inchiesta della PM Vittoria Petronella è partita dalla denuncia dei genitori della giovane vittima e i fatti sono stati confermati in dibattimento da altri operatori della struttura, che anche precedentemente avevano chiesto l’allontanamento del condannato.
Marina Poci
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