di Marina Poci per il7 Magazine
Si chiamano Francesco Tramacere, radioterapista, Palma Fedele, oncologa, Mariangela Capodieci, radiologa e, da ultimo, Laura Orlando, anch’ella oncologa della Breast Unit (l’equipe multidisciplinare che si occupa delle donne affette da carcinoma della mammella): sono i medici in forza alla Asl di Brindisi che, negli anni che vanno dal 2018 al 2022, hanno ricevuto il prestigioso riconoscimento “Laudato Medico”, con la sola eccezione del 2020 (in cui è stata premiata una mesagnese, Stefania Guarino, per quanto in forza all’ospedale di Urbino).
In una fase delicatissima per la sanità brindisina, in cui si chiudono reparti (è di alcuni giorni fa la notizia della sospensione delle attività in urgenza ed elezione dell’unità operativa di Ginecologia e Ostetricia nel nosocomio Dario Camberlingo di Francavilla Fontana), si dimettono direttori sanitari (ufficialmente per ragioni di carattere personale), si aprono inchieste da parte della locale Procura della Repubblica, si dispongono procedimenti disciplinari, si ordinano ispezioni regionali e nell’opinione pubblica risuona con insistenza la tragica eco della morte per eclampsia (dopo il parto di due gemelli) della professoressa fasanese Viviana Delego, ci sono storie professionali e umane in grado di riconciliare i cittadini con il senso autentico della vocazione medica, professionisti le cui competenza e umanità vengono riconosciute a livello nazionale (e oltre) proprio dalle pazienti che quotidianamente li incontrano nei reparti e si affidano alle loro cure a alla loro cura.
Ispirato all’approccio terapeutico del compianto professore ed ex ministro dell’allora Sanità Umberto Veronesi, direttore prima dell’Istituto Nazionale dei Tumori e poi dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano e fondatore dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro e della Scuola Europea di Oncologia, il premio “Laudato Medico” è assegnato dall’associazione Europa Donna Italia, sulla base dei voti espressi dalle pazienti, alle quattro categorie di medici che trattano il cancro al seno, dalla diagnosi alle terapie (radiologi, chirurghi, oncologi, radioterapisti). I criteri di valutazione tengono conto della disponibilità a interagire con la paziente e a fornirle risposte e aiuto; dell’ascolto attento e accogliente per conoscere la donna, le sue convinzioni, i suoi progetti, i suoi bisogni e le sue paure; di una capacità di comunicazione chiara e semplice, in grado di far comprendere e di creare un rapporto di fiducia nella relazione medico-paziente; dell’attitudine a porsi in maniera empatica nello stato d’animo della paziente per supportarla al meglio; del sostegno e dell’incoraggiamento forniti alla paziente per permetterle di vivere con speranza ogni tappa del percorso della malattia.
A dire il vero, il momento d’oro dell’oncologia brindisina aveva avuto il suo culmine il 23 ottobre 2021, con l’elezione del dottor Saverio Cinieri, attualmente a capo dell’Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica dell’Asl di Brindisi e della relativa Breast Unit, a presidente nazionale di AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), la società clinico-scientifica degli oncologi medici italiani, in rappresentanza della quale il professionista francavillese ha recentemente preso parte ad un evento dedicato alla ricerca clinica, una due giorni intitolata “Clinical Research Course”, organizzata da AIOM in collaborazione con ASCO (la società statunitense di oncologia clinica, punto di riferimento mondiale in materia). Il dottor Cinieri, sotto lo pseudonimo di “PercontodiSmith”, è anche abile divulgatore sulla sua seguitissima pagina di informazione scientifica e aggiornamenti sulle novità terapeutiche che si occupa di cancro e stili di vita, presente su Facebook e Instagram con circa tredicimila follower.
“Sono onorata e felice: ringrazio di cuore tutte le pazienti che mi hanno votato, perché lavoro nella convinzione che confrontarmi ogni giorno con loro mi renda un medico e una donna migliore. E ringrazio tutti i colleghi della Breast Unit dell’ospedale Perrino di Brindisi, che sono per me una vera e propria famiglia. Se la singola persona viene premiata, è perché dietro c’è una squadra che le permette di lavorare serenamente e di tirare fuori gli aspetti caratteriali più umani, senza i quali il lavoro del medico sarebbe monco, nonché il meglio delle proprie capacità professionali. Lavorare in equipe, d’altronde, se è importante in ogni branca della medicina, vale sicuramente di più in oncologia, dove il singolo professionista deve necessariamente collaborare con gli altri specialisti per arrivare a quella visione di insieme che assicura ai pazienti le cure migliori. Io sono fortunata, perché questo intento è perseguito nell’unità in cui lavoro grazie al nostro primario che ha avuto su tutti noi un effetto – per così dire – “coagulante”. Inoltre, da quest’anno il premio Laudato Medico prevede che una commissione valuti, oltre alle capacità umane, anche il curriculum dei medici che vengono votati, perciò sono particolarmente orgogliosa che sia stato considerato e ritenuto degno di essere premiato anche il mio intero percorso professionale, incluse le esperienze precedenti al mio incarico a Brindisi.”, afferma la dottoressa Orlando, laureatasi in Medicina e Chirurgia presso l’Università La Sapienza di Roma, specializzatasi in Oncologia Medica presso l’Università Tor Vergata e successivamente vincitrice di borsa di studio e poi dirigente medica all’IEO (nel quale ha avuto modo di conoscere proprio Umberto Veronesi, cui è ispirato il premio che ha vinto). Del professore milanese, che continua a considerare il suo maestro, conserva il ricordo di uno scienziato rigoroso e diligente, ma anche quello di un medico compassionevole ed attento che, di ogni sua paziente, ricordava senza sforzo nome e storia clinica.
Ma, soprattutto, a Veronesi la dottoressa Orlando riconosce il merito di avere intrapreso una capillare e sistematica attività informativa e di divulgazione sulle patologie neoplastiche, specialmente quelle che colpiscono le donne, sulla differenza fondamentale tra diagnosi precoce e prevenzione primaria, sull’importanza dello stile di vita per ridurre il rischio di sviluppare il cancro: “Purtroppo sulla questione della diagnosi precoce dobbiamo lavorare ancora tantissimo, in sinergia con la politica, per raggiungere risultati omogenei in tutta la penisola. Tanto per dirne una, ai programmi di screening mammografici in Lombardia aderiscono più del 50% delle donne che vengono convocate, mentre in Puglia questa percentuale scende a meno del 30%. Come medico, mi sento frustrata: se il Servizio Sanitario Nazionale predispone uno strumento gratuito per monitorare le donne più a rischio per età, è inaccettabile che la popolazione scelga di non utilizzarlo. È una lotta prima di tutto culturale, per la quale serve un impegno comune se vogliamo riuscire a ribaltare i dati degli ultimi anni, in base ai quali arrivano in reparto donne con tumori sempre più avanzati, con tutto ciò che questo implica in termini di prognosi (necessariamente peggiore) e qualità della vita (che ovviamente diminuisce quando siamo costretti a utilizzare strategie terapeutiche adeguate alla gravità del caso). A questo mancato utilizzo degli strumenti predisposti per la diagnosi precoce, deve aggiungersi anche l’innalzamento della vita media, per effetto del quale noi oncologi riscontriamo tumori anche in pazienti più anziani, il che significa, e non è cosa semplice, dover gestire la malattia neoplastica insieme a tutte le patologie correlate all’età”.
Discorso a parte merita, invece, la prevenzione primaria (il cui scopo è contenere in modo significativo, con un corretto stile di vita, l’incidenza della malattia). A questo proposito, la Breast Unit dell’ospedale Perrino sta approntando un sistema di monitoraggio di pazienti al di sotto dei trentasei anni di età, attraverso uno studio osservazionale denominato Protocollo Lillibet (“perché”, precisa Orlando, “è stato messo a punto il giorno della morte della regina Elisabetta”), che sia in grado di cogliere le correlazioni tra stile di vita e lesioni alla mammella: “In questo momento siamo in attesa che si esprima il comitato etico, poi potremo partire: l’indagine terrà conto di una serie di fattori, dal consumo di fumo e alcolici all’utilizzo di contraccettivi estroprogestici, dal tipo di occupazione lavorativa allo svolgimento di attività fisica regolare. Tengo a precisare che si tratterà di valutare l’impatto di questi fattori in donne con lesioni mammarie benigne o precancerose, in modo da cercare di comprenderne l’influenza su una eventuale evoluzione maligna o meno. Ma questo non basta: sogno una medicina che sia attiva sul territorio, che organizzi incontri per sensibilizzare l’opinione pubblica di tutte le età, a partire dai più piccoli che, già nel contesto scolastico, vanno educati a comprendere che vivere rispettando il proprio corpo aiuta a prevenire il cancro. Certo che spero nei vaccini (la ricerca ci dimostra già adesso che vaccinando contro il papilloma virus e l’epatite B si registra una importante riduzione di alcune forme tumorali) e certo che ho fiducia nella ricerca di strumenti terapeutici sempre più efficaci, ma bisogna agire a livello ancora precedente, formando le nuove generazioni”.
Una sorta di oncologia militante e una visione sempre più multidisciplinare nella gestione della paziente, insomma, sembrano essere il sogno di Laura Orlando che, anche in relazione alle azioni correttive da approntare per migliorare la funzionalità della presa in carico dimostra di avere le idee chiarissime: “Al di là della soddisfazione personale, che comunque non nego, questo premio è importante per tutta la Breast Unit del Perrino, soprattutto perché le nostre professionalità vengono considerate efficaci in un momento così difficile per la sanità non soltanto brindisina, ma nazionale. Tuttavia, abbiamo il dovere di crescere ancora. Mi vengono in mente almeno un paio di aspetti organizzativi che potrebbero essere migliorati: intanto, un incremento delle sedute operatorie (essenziale per impedire che le pazienti facciano ricorso ai cosiddetti viaggi della speranza): poi, una maggiore interazione con figure che già esistono nell’equipe (quali psiconcologi, fisiatri, nutrizionisti) ma la cui presenza dovrebbe essere assicurata in maniera più assidua. Con circa 350 casi all’anno, siamo una Brest Unit di riferimento per le province vicine e accogliamo pazienti anche da fuori regione: il minimo che possiamo fare è essere sempre più all’altezza di questa fiducia”, conclude.