«Il virus si diffonderà ancora: Asl e cittadini facciano la loro parte»

Il virus arriverà e si diffonderà capillarmente in tutto il territorio nazionale, in una regione oggi, in un’altra tra una settimana, ma sappiamo che arriverà, esattamente come arriva ogni anno il virus dell’influenza. Perciò, come con l’influenza, ciascuno deve fare la sua parte. Prima di tutto, deve farla il sistema sanitario nazionale, che si deve attrezzare adeguatamente: se ci saranno in una certa zona pazienti bisognosi di terapia intensiva (e abbiamo la certezza che in una minima percentuale di casi questa necessità si presenterà), dovrà essere garantito a chi è in condizioni più gravi questo tipo di assistenza. In secondo luogo, la loro parte devono farla i cittadini, che sono chiamati singolarmente alla responsabilità e devono attenersi tassativamente a quanto ordinato dalle autorità e alle prescrizioni dei medici”.
Non è più il momento di parlare del Covid-19 in termini di mera eventualità, dunque, secondo il professor Pier Luigi Lopalco, epidemiologo di fama mondiale e ordinario di Igiene e Medicina Preventiva all’Università di Pisa. Pur incalzato da testate ben più note della nostra e da televisioni nazionali, trova il tempo per rispondere alle nostre domande con disponibilità e chiarezza, sfoggiando un timbro vocale rassicurante che, malgrado gli anni trascorsi lontano dalla Puglia, conserva ancora, a volerla cercare, una leggera cadenza salentina. Nato a Mesagne (“i miei genitori, di origini mesagnesi, volevano che tutti i figli nascessero a Mesagne”), ma cresciuto a Lecce, è autore di numerosissimi articoli su riviste specializzate, di testi universitari e di manuali di divulgazione scientifica rivolti ad un pubblico di lettori non esperti (tra cui “Informati e vaccinati. Cosa sono, come funzionano e quanto sono sicuri i vaccini”, che vanta anche un buon riscontro editoriale). L’ultima pubblicazione, in uscita il 10 marzo, è una collaborazione al libro del celebre virologo Roberto Burioni, “Virus – La grande sfida”, del quale Pier luigi Lopalco ha scritto due importanti capitoli.
Professor Lopalco, facciamo il punto della situazione.
“Il punto è questo: la grande maggioranza delle persone affronterà questo virus come affronta l’influenza, senza particolari difficoltà e senza particolari strascichi, ma, in assenza di un vaccino e poiché – a differenza dell’influenza – il pericolo di polmoniti gravi è molto più alto, la nostra attenzione deve focalizzarsi su quanti, invece, per guarire avranno bisogno di assistenza intensiva. Ecco perché, per evitare il collasso del sistema, è importantissimo il ruolo del singolo. Se torni dalla Lombardia e hai la febbre, non vai ad una festa: resti in casa, chiuso in una stanza, evitando i contatti con gli altri. Allo stesso modo, chi va al lavoro con la febbre in questo periodo non è uno stakanovista: è un imbecille e un incosciente! Questa malattia inizia, anche nei casi che poi si evolvono in maniera critica, con sintomi banalissimi (febbricola, malessere, raffreddore, lieve tosse) che, se normalmente saremmo portati a trascurare, in questa fase non dobbiamo ignorare. Anche perché i contagi da asintomatici sono la minima parte: prevalentemente la diffusione inizia da chi manifesta i sintomi. Su questo bisogna essere molto chiari e molto fermi. Si deve avere la pazienza di adattarsi a questo stile di vita. Se tutti facessero questo, i contagi non soltanto diminuirebbero ma sarebbero più diluiti nel tempo. Così, chiunque ne avesse bisogno troverebbe un posto in terapia intensiva e sarebbe assistito come è giusto che sia”
A proposito di questo, abbiamo notizia di alcuni ospedali lombardi in forte affanno sui posti letto in terapia intensiva. Per questa ragione, c’è stata una richiesta formale da parte della Regione alle strutture private perché diano disponibilità ad accogliere pazienti.
“Esatto. In Lombardia la sanità privata è diffusa quasi quanto quella pubblica. In Puglia, in Basilicata, in Calabria, un discorso del genere non sarebbe fattibile. Ecco perché, proprio in queste regioni, è prioritario rallentare la diffusione del virus: siccome dal punto di vista delle strutture e del personale vi è una oggettiva carenza, il rischio di non riuscire ad assicurare a tutti le giuste cure è più alto rispetto ad altre regioni. Però su questo aspetto sento di tranquillizzare i cittadini: parlando della Puglia, ad esempio, dove il picco del contagio probabilmente arriverà tra due o tre settimane, c’è tutto il tempo per approntare le giuste misure. So, per averlo appreso da colleghi, che ci si sta già attrezzando per cercare nuovi spazi e per recuperare posti letto, quindi si sta procedendo nella giusta direzione”.
Per essere un “menagramo”, come lei stesso si è definito sulla sua seguitissima pagina Facebook, la sua conclusione è, tutto sommato, confortante…
“Mi sono definito menagramo perché sono stato tra i primi a lanciare l’allarme sul pericolo rappresentato dal Covid-19: mentre molti, per tranquillizzare i cittadini, hanno parlato di ‘banale influenza’, io sono stato schietto sin dall’inizio: intanto perché il virus dell’influenza, di per sé, non è affatto banale (tanto è vero che ogni anno abbiamo una piccola percentuale di casi gravi, anche tra bambini) e poi perché per l’influenza abbiamo farmaci efficaci e abbiamo una certa immunità data dal vaccino, che nel caso nel Covid-19 non esiste, trattandosi di un virus nuovo e del quale non conosciamo la capacità di mutazione. Adesso, glielo posso assicurare, tutti gli scienziati con cui mi confronto sono concordi nel seguire questa linea di pensiero: quella della ‘banale influenza’ è una stupidaggine”.
In un suo post su Facebook del 22 febbraio lei fa riferimento alla differenza tra misure di contenimento e misure di mitigazione. Sino a che grado dell’emergenza ha ancora senso parlare di contenimento, e, soprattutto, in Italia in che fase siamo?
“Le due cose non sono esclusive l’una dell’altra, nel senso che, quando c’è la circolazione di un virus, la prima cosa che bisogna fare è cercare di limitare l’epidemia, con le quarantene, gli isolamenti, le chiusure di scuole, università, uffici pubblici e luoghi di aggregazione: ecco perché parliamo di contenimento. La mitigazione ha a che fare con il limitare l’impatto della circolazione del virus: una volta che è arrivato il contagio, si approntano tutti quegli accorgimenti perché l’epidemia causi meno danni possibile. In questo momento in Italia, in particolar modo in Lombardia, si stanno facendo entrambe le cose. E si dovrà continuare ad agire in questo modo, soprattutto in previsione della diffusione del virus nelle altre regioni”.
A proposito della Lombardia e di quello che è stato identificato come il caso 1: un 38enne di Codogno, uno sportivo senza patologie pregresse, è ricoverato in terapia intensiva più o meno da due settimane e non accenna a migliorare. Come si spiega, se la narrazione mediatica punta invece a diffondere la convinzione che il Codiv-19 comporti esiti gravi in soggetti già sofferenti e/o immunodepressi?
“In medicina non esiste il cento per cento: una minima quota di casi gravi possono essere registrati anche in soggetti giovani e sani. Le confermo che il virus attacca in maniera più violenta anziani e malati, ma non possiamo prevedere l’esito dell’infezione in tutti i pazienti. Per tutelare quanta più gente possibile, dobbiamo puntare ad evitare nuovi focolai e monitorare gli effetti delle misure che sono state adottate nel tempo medio di dieci giorni da quando sono iniziate. L’Italia si è mossa prima di altri Paesi e, muovendosi prima degli altri, ha pagato il prezzo economico di questa scelta. Ma non si poteva fare altro, bisogna che i cittadini lo capiscano. E le stesse misure dovranno essere adottate altrove, se il nostro obiettivo è assicurare a tutti cure adeguate”.
Il professor Roberto Burioni ha scritto di lei: ‘ho avuto il piacere di scrivere questo libro con l’amico e collega Pier Luigi Lopalco. È stato non solo un onore e un piacere, ma anche l’occasione per imparare da lui cose che non sapevo e acquisire un punto di vista sulla diffusione delle malattie infettive tanto originale quanto importante per la mia formazione scientifica e culturale’. Per l’impressione che ne abbiamo dalle trasmissioni televisive e dalle pagine social, facciamo fatica a pensare al prof Burioni che impara da qualcuno…
“Io e Roberto Burioni abbiamo due competenze diverse, lui è un virologo e io sono un epidemiologo. Io non mi metterei mai a parlare in maniera cattedratica di come funziona un virus, di come si inattiva un virus, di come un farmaco agisce su un virus. È compito dei virologi. Così come Roberto, quando doveva parlare di come si diffonde un’epidemia e di come si combatte un’epidemia, ha avuto la grande onestà intellettuale di telefonarmi e chiedermi di scrivere un paio di capitoli del suo nuovo libro: uno riguarda come si indaga in linea di principio un’epidemia, l’altro riguarda l’indagine su un’epidemia molto famosa, la Sars, della quale racconto la storia. Voglio precisare che il ricavato delle vendite sarà devoluto alla ricerca sul coronavirus, anche se ancora non sappiamo con quali modalità. Molto dipenderà da quanto riusciamo a raccogliere Se la cifra fosse ridotta, si potrebbe pensare ad un premio ad un ricercatore o ad uno studente per una tesi. Se la cifra fosse più alta, per esempio intorno ai 30mila euro, si potrebbe pensare anche ad una borsa di studio o ad un assegno di ricerca. L’idea è quella di creare un comitato di esperti che elabori il bando, valuti i vari lavori e assegni il premio al più meritevole. Aspettiamo che inizino le vendite e poi decideremo il da farsi. Nel frattempo, viste le polemiche che si sono scatenate sul web sull’opportunità di un libro del genere, rispondo che il nostro compito di scienziati è contribuire alla migliore lettura del fenomeno. Io e Roberto Burioni abbiamo cercato di dare il nostro contributo”.
Ai complottisti che credono che il coronavirus sia stato creato in laboratorio per affossare l’economia cinese o per non meglio identificate ragioni politiche, cosa mandiamo a dire?
“Che si divertano. Io mi occupo di scienza, non di complotti!”.