Non ce l’ha fatta, Annunziata D’Errico, a fissare lo schermo su cui venivano proiettate le immagini del corpo del figlio Paolo Stasi sottoposto all’autopsia: è uscita dall’aula Metrangolo del Tribunale di Brindisi per rientrarvi solo una volta che la testimonianza del professor Raffaele Giorgetti, direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università delle Marche, il professionista che ha svolto l’esame, è terminata. Seconda udienza istruttoria oggi, 9 aprile, del processo celebrato in Corte d’Assise (presidente Maurizio Saso, giudice a latere Adriano Zullo) per la morte del 19enne francavillese, attinto il 9 novembre 2022 da due colpi di pistola sparati dal killer reo confesso Luigi Borracino, all’epoca minorenne, per regolare – secondo la tesi della Procura di Brindisi, sostenuta dal PM Giuseppe De Nozza – un debito di droga.
Udienza completamente dedicata all’ascolto dei consulenti del pubblico ministero: il già citato medico legale, le due biologhe forensi Giacoma Mongelli e Nunzia Vacca, l’ammiraglio Alessandro Biagini, perito balistico.
Giorgetti ha parlato di due colpi esplosi da una distanza sicuramente superiore ai 40 centimetri, ma soltanto uno avente idoneità lesiva: quello rinvenuto sopra l’areola mammaria sinistra (di forma rotondeggiante e regolare), che ha prodotto lesioni viscerali letali, perforando i polmoni e trapassando il cuore. Dopo un trauma del genere, secondo quanto riferito dal professor Giorgetti, si può sopravvivere al massimo “per tre o quattro minuti”, comunque difficilmente mettendo in atto azioni coerenti animate da coscienza e volontà. Il che sembrerebbe non spiegare quanto dichiarato da Giuseppe Stasi, padre di Paolo, che nella scorsa udienza ha affermato di aver trovato il figlio accasciato nel piccolo androne dell’abitazione con le spalle sul portoncino d’ingresso, chiuso. È su questo punto che si gioca, per l’imputato Borracino, molto del suo destino processuale: mentre il PM (e il medico legale ha ritenuto di non poter escludere tale ricostruzione) ritiene che il portone sia stato chiuso dalla vittima cadendo all’indietro, dopo una rotazione del busto causata dal forte impatto del primo colpo, dal canto suo l’avvocato Campanino, difensore di Borracino e di Christian Candita (imputato di concorso in omicidio, per aver guidato l’auto su cui Borracino è arrivato a casa Stasi), ritiene che la vittima abbia tentato di chiudere il portone quando i colpi non erano ancora stati esplosi e che il killer abbia infilato la canna della pistola all’interno dell’androne e inavvertitamente siano partiti i due colpi (quello letale in regione mammaria sinistra e quello ininfluente sull’exitus, in regione sottoclaveare destra). La speranza, qualora quest’ultima tesi fosse avallata dalla Corte, è di fare venire meno l’aggravante della premeditazione:
va detto, però, che appare difficile sostenere la tesi del delitto d’impeto se si pensa che il mezzo sul quale Borraccino si è fatto trasportare dal Candita a casa Stasi aveva i vetri laterali e il lunotto posteriore oscurati e, ancor di più, se si riflette sul fatto che il mezzo con a bordo i due presunti assassini è stato catturato dalle immagini di una telecamera comunale il giorno 5 novembre, mentre transitava, come in una sorta di sopralluogo, nei pressi della via dove si è poi consumato il delitto qualche giorno più tardi.
Quanto alla dinamica dell’evento, secondo il professor Giorgetti l’ipotesi più probabile è che Stasi avesse di fronte una persona destrimane che ha sparato all’altezza della sua spalla, forse salendo sul gradino d’ingresso dell’abitazione, e sia stato attinto dal primo colpo mentre era in posizione frontale al killer e dal secondo mentre ruotava per effetto del tentativo di evitamento di eventuali colpi successivi. Gli spari che lo hanno raggiunto provenivano da un’arma di piccolo calibro, il che consente di escludere – stando all’esame effettuato dall’ammiraglio Biagini – che il fucile rinvenuto (e sottoposto alla perizia su cui Biagini stesso ha riferito in aula) non sia l’arma del delitto che resta, a tutt’oggi, sconosciuta.
L’udienza si è chiusa con l’ascolto delle biologhe forensi Mongelli e Vacca, che hanno riferito sull’esito degli esami su sostanze stupefacenti e materiali di confezionamento rinvenuti nell’abitazione di Stasi nell’immediatezza del delitto e nei luoghi che erano nella disponibilità di altri tre imputati successivamente.
L’omicidio è infatti maturato nel contesto di una rete di spaccio di droga della quale Luigi Borracino è ritenuto dal sostituto procuratore De Nozza l’istigatore: per questo risponde dei reati di droga, insieme ad altre otto persone, tra cui Annunziata D’Errico, madre della vittima, innanzi al Tribunale di Brindisi per i fatti successivi al compimento della maggiore età e dell’omicidio dinnanzi al Tribunale per i Minorenni di Lecce, in quanto 17enne all’epoca dell’uccisione di cui è reo confesso.
Secondo la ricostruzione effettuata dalla Procura, Paolo Stasi fu ucciso in quanto lui e la madre si sarebbero appropriati, pagandole solo in parte e quindi maturando un debito di circa 5mila euro, di dosi di sostanze stupefacenti confezionate ai fini di spaccio nell’abitazione della famiglia Stasi a seguito di un accordo tra Borracino e la D’Errico.
Sì tornerà in aula a luglio, per l’ascolto del perito trascrittore e l’esame delle intercettazioni ambientali e telefoniche.
Per tutti gli imputati vale il principio della presunzione di non colpevolezza sino a sentenza definitiva.
Marina Poci
(foto di Antenna Sud)
Senza Colonne è su Whatsapp. E’ sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati
Ed è anche su Telegram: per iscriverti al nostro canale clicca qui