Di Marina Poci per il numero 411 de Il7 Magazine
Una vicenda “tragica”, “che, a distanza di oltre quattro decenni, non cessa di suscitare dolore e sgomento”: così il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Giuseppe Battista, descrive la morte della 14enne di Fasano Palmina Martinelli, data alle fiamme nel bagno dell’abitazione di famiglia l’11 novembre del 1981 e deceduta il successivo 1 dicembre nel reparto di Rianimazione del Policlinico di Bari per le conseguenze delle gravissime ustioni riportate. “Serenamente”, ma con il rammarico dell’uomo di legge che deve arrendersi davanti all’impossibilità di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità penale di chi è sottoposto al proprio vaglio critico, il magistrato barese, cancellando in tal modo una volta per tutte la parola “suicidio” (e pure l’espressione “morte accidentale”…) dalla storia di Palmina, riconduce quelle ustioni all’azione di terzi e non ad una mai del tutto spiegata volontà della giovanissima vittima di porre fine volontariamente alla sua vita.
È questo il sunto del decreto datato 1 luglio 2025 con cui il Gip, accogliendo la richiesta della Procura della Repubblica di Bari, ha archiviato la posizione di Cesare Ciaccia, cognato della vittima (in quanto marito della sorella Tommasina), sul quale, in relazione alla morte di Palmina, pendevano le ipotesi di reato di false informazioni al pubblico ministero e di omicidio aggravato in concorso con ignoti. “Si deve tristemente prendere atto che le pur approfondite indagini da ultimo svolte non hanno consentito di raggiungere alcuna certezza processualmente spendibile in ordine all’autore (o agli autori) dell’orrendo delitto”, scrive il magistrato, facendo riferimento alle circostanze che hanno concorso in tal senso: il lungo tempo trascorso dal fatto, l’avvenuta assoluzione in via definitiva di alcuni dei soggetti coinvolti nel procedimento penale (“la cui posizione non può essere rivisitata, pur a fronte dell’erronea riconduzione dell’evento a un atto autolesionistico di Palmina”) e la morte di altri, tra i quali la madre e i fratelli della vittima Antonio e Rita, nonché “la chiara volontà di vari familiari di non collaborare con gli inquirenti”.
Un’archiviazione, dunque, giuridicamente necessaria e in linea con i principi dell’ordinamento e gli orientamenti della più recente giurisprudenza di legittimità, ma dalla quale emerge la dolorosa e niente affatto dissimulata impotenza del giudice Battista a rendere alla piccola, che in tutto il decreto chiama semplicemente “Palmina”, la giustizia che avrebbe meritato il coraggio di cui, facendo i nomi dei suoi assassini dal letto d’ospedale, si rese protagonista. Per l’omicidio dell’adolescente fasanese, infatti, furono inizialmente indagati proprio i due giovani uomini che lei stessa, con la voce resa fioca dalle lesioni, indicò al sostituto procuratore della Repubblica Nicola Magrone: Giovanni Costantini ed Enrico Bernardi, fratellastri di Locorotondo, figli di una donna che gestiva una vera e propria “casa di piacere” nelle campagne, assolti, insieme ad altre tre persone, dall’accusa di omicidio con sentenza passata in giudicato nel 1989, ma condannati successivamente per reati legati alla prostituzione. E sarebbero stati proprio il tentativo di questi ultimi di indurre Palmina a prostituirsi (tentativo peraltro condiviso con alcuni membri della sua famiglia), e il netto rifiuto della ragazza, a costituire il movente del delitto. Dopo le pronunce di primo e secondo grado, che esclusero il coinvolgimento di Costantini e Bernardi per insufficienza di prove, l’assoluzione sancita dalla Cassazione contemplò la più liberatoria formula dell’insussistenza del fatto: nessuno dei tre processi, dunque, ha mai messo minimamente in dubbio che Palmina si sia autonomamente appiccata il fuoco.
Nell’inchiesta, il nome di Cesare Ciaccia, la cui posizione è stata per l’appunto archiviata l’1 luglio, è entrato soltanto quando, in seguito alla richiesta di riapertura delle indagini da parte di Giacomina Martinelli, sorella di Palmina, la Procura di Bari (indicata dalla Cassazione come quella territorialmente competente a procedere) ha effettivamente percorso nuove strade investigative, superando “l’erronea” tesi del suicidio. Eppure, malgrado “numerosissime audizioni di persone informate sui fatti, intercettazioni telefoniche e ambientali, attività di sopralluogo presso l’abitazione dei Martinelli e consulenze tecniche” in merito ai più diversi aspetti della vicenda, anche il PM barese è stato costretto a chiedere l’archiviazione. Richiesta che il Gip ha accolto, nonostante non abbia “alcun dubbio sul fatto che la sventurata ragazza sia stata uccisa e non si sia suicidata”.
A sostegno della tesi dell’omicidio il Giudice Battista porta innanzitutto le risultanze dell’elaborato peritale di parte redatto dai professori Vittorio Delfino Pesce e Tommaso Fiore e dal dottor Flavio Ceglie nell’interesse della sorella di Palmina, elaborato definito “rilevantissimo ai fini della certezza dell’ipotesi omicidiaria” e i cui esiti non lasciano adito a interpretazioni di segno contrario quando evidenziano che “il volto di Palmina era protetto con entrambe le mani prima dello sviluppo della vampata e quindi dell’innesco dell’incendio”, che fu quindi “provocato da altri”.
Anche uno degli imputati assolti, in una intercettazione ambientale captata nella sala d’attesa della Stazione dei Carabinieri di Fasano dopo la riapertura delle indagini, sembra dare per certo che la morte di Palmina non sia stata un gesto estremo: Giovanni Costantini, infatti, rivolgendosi proprio a Cesare Ciaccia, dice: “… che tanto lo hanno capito che sei stato tu e quel signore di tuo cognato [Antonio Martinelli, fratello della vittima, cioè colui che la ritrovò nel bagno avvolta dalle fiamme, nel frattempo morto]… se tu non c’entri niente diglielo chi è stato. Tanto non ci sta più, non gli possono fare più niente”. Così come ritiene imputabile a terzi la morte di Palmina anche la figlia di Ciaccia la quale, sempre intercettata, riferendosi alla zia che aveva sollecitato la riapertura delle indagini, dice “…vuole che questi la pagano, però l’ha fatto adesso che le persone che c’entravano sono morte”.
Anche in questo caso il riferimento, sebbene non esplicito, sarebbe ad Antonio Martinelli, sul quale il magistrato esprime perplessità (per usare un eufemismo) che appaiono condivisibili alla luce di considerazioni di mero buon senso e, in qualche caso, di testimonianze. Tra queste, ad esempio, c’è quella del benzinaio di Fasano nella cui stazione di servizio Antonio asserì di aver fatto rifornimento, dovendo accompagnare Palmina in ospedale dopo averla ritrovata avvolta dalle fiamme. Ebbene, l’uomo ha riferito agli investigatori che il fratello della vittima si recò al distributore non manifestando nessuna fretta (come sarebbe stato logico pensare avendo premura di affidare alle cure dei sanitari una sorellina gravemente ustionata) e alla guida di una Fiat 124 (quindi non a piedi e con una tanica da riempire di carburante, come Antonio dichiarò, probabilmente per giustificare l’ampio lasso di tempo intercorso tra il ritrovamento di Palmina e l’arrivo in Pronto Soccorso a Fasano).
Per il coinvolgimento del fratello della ragazza militano, secondo il Gip, ulteriori due elementi: in primis, quanto detto al PM barese nel 2018 da una delle sorelle di Antonio e Palmina, Carmela, secondo cui Antonio prima di morire aveva manifestato in più di una occasione la volontà di parlare con un giudice (volontà mai assecondata dalla famiglia “nel timore, forse, che il contenuto delle rivelazioni avrebbe potuto esporli a responsabilità nell’omicidio”); inoltre, il desiderio di Antonio, nelle ultime fasi della sua vita, di portar con sé un’immagine della sorellina. La stessa immagine che, una volta morto, fu riposta su di lui nella bara. “Benché si tratti di soggetto deceduto e, dunque, non più destinatario di approfondimenti spendibili in un processo”, conclude il Gip, “la disamina degli elementi emersi a suo carico (e illustrati dal PM) non è superflua, nella misura in cui fa emergere un possibile responsabile – o corresponsabile – della terribile morte di Palmina”.
Il Gip barese, infine, si occupa in maniera diffusa del biglietto che fu trovato da Antonio Martinelli non appena entrò in casa e scoprì la sorella che bruciava in bagno: quello che per anni è stato considerato il messaggio di addio di Palmina alla famiglia, scritto prima di darsi fuoco, sarebbe in realtà frutto di costrizione sulla ragazzina da parte del Bernardi (uno degli assolti in via definitiva) e di interpolazione di alcune lettere da parte di quest’ultimo. D’altronde, evidenzia il Giudice Battista, in nessuno dei procedimenti penali è mai emersa “alcuna ragione per cui Palmina potesse aspirare al suicidio, pur vivendo in un contesto familiare degradato e sicuramente disfunzionale”.
Quanto alla posizione di Ciaccia, descritto nell’esposto di Giacomina Martinelli del 2012 come “un autentico despota, sessualmente aggressivo e con un ruolo predominante all’interno della famiglia Martinelli, grazie anche all’arrendevole complicità dei genitori di Palmina”, il Gip si duole che “da tutte le piste investigative battute non sono emersi elementi e dati tali da consentire di formulare una ragionevole previsione di condanna, attesa l’impossibilità per gli esiti giudiziari di superare la soglia del mero sospetto”.
Anche le dichiarazioni dell’uomo in fase di riapertura delle indagini, difformi da quelle rilasciate nell’immediatezza della morte di Palmina, non apparirebbero per il magistrato idonee a fondare il rigetto della richiesta di archiviazione. A tale proposito, il Gip, nel vagliare l’eventuale responsabilità del cognato della ragazza in merito al delitto di false informazioni al pubblico ministero, tiene a ricostruire l’intera vicenda. Ciaccia, infatti, in un primo momento aveva dichiarato che, nel pomeriggio del giorno dell’omicidio, era in macchina con il suocero, quando incontrarono Palmina che si stava recando al catechismo e la riaccompagnarono a casa, proibendole di andare in chiesa. Versione completamente diversa da quella incartata nel 2019, secondo cui Palmina tornò a casa da sola. Una difformità che il Giudice attribuisce al tentativo dell’uomo di “allontanare la sua persona dal luogo dell’omicidio in un momento immediatamente precedente all’evento”.
Indizi, congetture, opinioni, che però non spostano di un millimetro la conclusione a cui il perviene il Gip: per la morte di Palmina, “avvenuta con modalità atroci”, morte che “in tutta verosimiglianza trova la sua scaturigine all’interno della cerchia familiare”, una parte della quale ancor oggi reticente ed ostile alle indagini”, non pagherà nessuno.