di Adele Galetta per il7 MAGAZINE
Perché alcune Istituzioni preferiscono evitare di parlare del suicidio? Perché nella giornata dedicata alla prevenzione di questo atto estremo, il 10 settembre scorso, solo il Comune di Brindisi, grazie al Centro di Salute Mentale ( impegnato dal 2011 in questa “campagna” di sensibilizzazione sociale) ha partecipato ad un tavolo di confronto e di dialogo costruttivo verso questa problematica che è un’importante causa di morte tra gli italiani, soprattutto, tra i più giovani? “Non c’è molta sensibilità verso questo argomento – commenta il dott. Franco Colizzi, responsabile del CSM di Brindisi – perché i Comuni preferiscono evitare invece bisognerebbe parlarne”.
Ma come? “È molto difficile, bisogna saperlo fare ma solo così si riesce a capire davvero cosa accade anche “utilizzando” delle tristi occasioni per dire alle persone che non possiamo fare finta che non esista questa rinuncia alla vita che ha in sé valori contrari in qualsiasi Comunità. Bisogna cogliere occasioni come questa della Giornata Mondiale per la Prevenzione al Suicidio per far riflettere e imparare, anche, a rispondere alla domanda: ‘Cosa avrei potuto fare io?’”.
Analizzando alcuni dati su base provinciale forniti dalla Questura di Brindisi, nei primi mesi del 2018, circa una ventina di persone, in prevalenza uomini di età adulta, hanno, deliberatamente, rinunciato alla vita. Da Fasano a Ceglie Messapica. Da Ostuni, Mesagne fino a Francavilla Fontana e Villa Castelli. Pietro, il più giovane, aveva 33 anni. La più anziana, un’ottantenne di San Pietro Vernotico.
Allargando lo sguardo, secondo gli ultimi dati Istat relativi al biennio 2015-2017, quasi 800 mila persone muoiono per suicidio ogni anno e nei giovani tra i 15 e i 29 anni il suicidio rappresenta la seconda causa di morte. In Italia nel 2015 si sono verificati 3.935 decessi per suicidio, con un tasso pari a 6,5 per 100 mila abitanti.
Questo valore risulta tra i più bassi in Europa, dove il tasso medio è di 11 decessi per 100 mila. Con valori di poco inferiori a quelli di Regno Unito e Spagna, il nostro Paese si posiziona al terzultimo posto prima di Cipro e Grecia, e mantiene tale posizione per entrambi i generi. In un numero non trascurabile di suicidi sono compresenti stati morbosi rilevanti: malattie mentali nel 13% dei casi, malattie fisiche nel 6% dei decessi (triennio di analisi 2011-2013). “In realtà – continua il dott. Colizzi – non sempre c’è uno stato depressivo o un disturbo mentale dietro al suicidio. Sicuramente c’è un disagio che la persona tenta di nascondere ma che, attraverso dei sottili segnali, ci manda. Il suicidio è solo la parte finale di quel disagio, quando non si riesce a vedere una via d’uscita. Una visione sbagliata perché, in realtà, nessuno vuole morire pur nella consapevolezza che il nostro ciclo si chiude così. Ma quando sei in una fase di dolore mentale così forte da toglierti lo sguardo dalla realtà, quando sei arrivato nel cosiddetto ‘tunnel’, l’unica soluzione è farla finita. Noi, soprattutto, chi come me lavora in quel mondo sanitario, dobbiamo evitare che la persona arrivi nel tunnel. È difficile perché siamo abituati a vedere più i fallimenti che non le vittorie di chi ce l’ha fatta perché è stato aiutato prima. Per questo parliamone, senza avere paura, sdoganando, socialmente l’idea della morte. Parliamone ma impariamo a farlo, discutendo. Ascoltando. Perché il suicidio riguarda tutti”.
Tornando, infatti, ai dati Istat, le caratteristiche strutturali della popolazione ( es.: genere, età, livello di istruzione, territori) rappresentano importanti traiettorie di analisi. Il suicidio è un fenomeno non gender-neutral: il 77,9% sono uomini ed il 22,1% donne.
Anche il gradiente per titolo di studio si riscontra tra gli uomini ma non tra le donne: 14,8 suicidi ogni 100 mila uomini con nessun titolo o basso livello di istruzione, 9,2 suicidi fra uomini con laurea o titolo di studio superiore. La fascia d’età più colpita è quella dai 45 ai 65 anni (37%), seguita dagli ultra sessantacinquenni. Maggio, giugno e luglio sono i mesi più critici con un trend in diminuzione nel secondo semestre.
Se si guarda, invece, alle differenze territoriali, i tassi più elevati di mortalità nel 2015 vanno al Nord-Est (con 7,6 decessi per 100 mila abitanti), mentre dall’altro lato c’è il Sud (4,7). “Bisogna che le Istituzioni abbiano la volontà di approfondire il tema facendo, soprattutto, degli incontri sui disagi – conclude il dott. Colizzi – ed imparare a riconoscerli e di, conseguenza, insegnare a chiedere aiuto”.
Per questo, già dallo scorso anno, in collaborazione con l’associazione per la tutela della salute mentale “Gulliver 180”, è partita la campagna “Riconosci i cinque segni del disagio” allo scopo di intervenire tempestivamente sostenendo la persona sofferente nella ricerca di aiuto specialistico.
Lo strumento utilizzato è costituito dalle emoticon che scorrono sui social network ( e che le nuove generazioni conoscono benissimo) che rappresentano: l’agitazione, il ritiro sociale, il cambiamento di personalità, la scarsa cura di sé e la disperazione. Un modo moderno per descrivere storie complicate di esistenza e disperazione dell’animo umano.