Taranto, imprenditore condannato per stalking si toglie la vita in carcere


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È stato trovato morto, impiccato a una sbarra del letto a castello della sua cella, nel carcere di Taranto, dove stava scontando una condanna a tre anni e mezzo di reclusione per stalking e violenze sessuali nei confronti della moglie. La vittima è F.L., 53 anni, imprenditore della provincia ionica.
L’uomo è stato scoperto privo di vita nella serata di venerdì dai compagni di cella e dagli agenti di polizia penitenziaria che stavano riaccompagnando i detenuti dopo l’ora d’aria. Inutili i tentativi di rianimazione, prima da parte degli agenti e poi dei sanitari dell’infermeria: il decesso risaliva a diverso tempo prima del ritrovamento.
Si tratta dell’ennesimo suicidio avvenuto all’interno di un istituto penitenziario negli ultimi mesi, un fenomeno che continua a sollevare interrogativi sulle condizioni di sicurezza e di tutela della salute mentale dei detenuti.
F.L. soffriva di un disturbo psichico: una perizia psichiatrica, presentata dalla difesa e accolta dal giudice, aveva infatti riconosciuto una parziale infermità mentale. Inoltre, l’uomo aveva una lunga storia di dipendenza da sostanze stupefacenti.
La notizia della morte è stata comunicata ai familiari, all’ex moglie – che lo aveva più volte denunciato – e ai figli. Informato anche il suo avvocato, Alessandro Cavallo, che solo pochi giorni prima, lunedì scorso, aveva incontrato il suo assistito in carcere per comunicargli un esito favorevole: l’idoneità al trasferimento in una struttura di cura sotto la responsabilità del Servizio per le dipendenze.
La vicenda giudiziaria si era conclusa il 28 novembre scorso con la sentenza del giudice Francesco Maccagnano, che lo aveva condannato a tre anni, sei mesi e venti giorni di reclusione, beneficiando della riduzione di pena prevista dal rito abbreviato e della diminuente per la semi infermità mentale.
Alla base della condanna, i comportamenti tenuti durante la convivenza con la moglie. Convinto di essere tradito, l’uomo sosteneva di percepire presunte “presenze” in casa, che attribuiva a immaginari amanti della donna, circostanza ritenuta indicativa di un possibile disturbo psichico. Dopo la denuncia della donna e l’attivazione delle misure previste dal “codice rosso”, era stato disposto nei suoi confronti il divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico. La successiva violazione della misura aveva portato all’aggravamento e alla custodia cautelare in carcere.
Secondo quanto denunciato dalla vittima, la convivenza era stata segnata da violenze domestiche reiterate: gelosia ossessiva, insulti, minacce di morte e aggressioni fisiche. L’uomo l’avrebbe inoltre costretta a rapporti sessuali non consensuali, accompagnandoli con frasi umilianti e degradanti, arrivando più volte a minacciarla di morte.