Via Appia: candidata a patrimonio Unesco. Ma è la strada dei rifiuti

di Fabiana Agnello per il7 Magazine

Onduline di amianto, batterie e taniche di oli esausti, scarti di lavorazione industriale, copertoni di auto, materiale ferroso di varia natura privo di qualsiasi protezione o isolamento, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, rifiuti solidi urbani, ingombranti frazioni umide raccolte in maniera indifferenziata: sono vergognosi i cumuli di immondizia che per almeno dieci chilometri, dalle campagne di Mesagne a quelle di Latiano, deturpano la via Appia Antica, candidata sito Unesco «patrimonio dell’umanità» dalla giunta comunale di Brindisi nel 2018.
Gravi reati ambientali commessi alla luce del sole, mai denunciati dai proprietari terrieri, dai comuni o dalla provincia, a circa 70 metri dal sito archeologico, città ellenistica, di Muro Tenente, tra ulivi secolari, vigneti e canneti.
Ci troviamo a Mesagne, a 50 metri prima dell’imbocco per la strada provinciale Mesagne- Latiano: superato il deposito di materiali edili sulla sinistra, ha inizio lo sterrato della «Regina Viarum», la madre di tutte le strade europee. Lasciamo la macchina e approfittiamo del primo tepore di un pomeriggio di febbraio per un blitz in zona, in compagnia dell’archeologo Christian Napolitano.
«Itinerario via Appia» indica il cartello «percorso turistico», ma di turistico c’è ben poco perché appena 5 metri più avanti, un vigoroso oleandro nasconde la prima montagna di spazzatura.
Proprio di fronte all’ingresso della Masseria Pizzorusso, acquistata anni fa dagli americani, e meta di turisti stranieri che vengono accompagnati di notte nel Resort, per non farli indignare troppo alla vista di montagne di immondizia che straripano sullo specchio di un’Italia millenaria, dall’età romana, a quella medievale.
Ci penseranno i proprietari, l’indomani mattina, a spiegare ai pellegrini che una strada percorsa da legioni, poeti e da imperatori, è clamorosamente abbandonata dall’ignoranza della provincia che rifiuta la valorizzazione della sua identità storica.
E allora, i turisti, con zaino in spalla e bastone alla mano, vorranno percorrere ugualmente l’antica strada costruita 2300 anni fa, nel 312 a. C. per volere del politico e letterato romano Appio Claudio, perché quella stessa via l’ha percorsa Federico II verso il suo imbarco brindisino per le Crociate.
Candidata sito Unesco «patrimonio dell’umanità», la Madre di tutte le strade europee non è nuova agli ecoreati mai denunciati: tonnellate di rifiuti bruciate e, sui resti carbonizzati, ulteriori depositi e abbandoni di rifiuti speciali e tossici.
«La maggior parte delle persone riprese dalle nostre fototrappole nell’atto di gettare sacchetti di spazzatura nei pressi del Parco Archeologico di Muro Tenente e sulla via Appia» commenta l’archeologo Napolitano «non paga la tassa sui rifiuti solidi urbani. E non è difficile risalire ai presunti autori di questi crimini: basta aprire i sacchetti di immondizia per individuarne i nomi».
E non sono solo di cittadini: dall’immondizia vengono fuori anche nomi di società, industrie della provincia e presidi ospedalieri.
«I dati raccolti in questi anni ci permettono di affermare che in un paese come Latiano, per esempio, di circa 15mila abitanti, almeno 300 persone/famiglie, molte delle quali concentrate in alcune zone, vengono regolarmente “graziate dal sistema”, con un grave danno per l’ambiente, il paesaggio e l’erario: parliamo di oltre 200mila euro all’anno», prosegue l’archeologo Napolitano.
«Un danno che dovrebbe balzare agli occhi considerando i mancati introiti, le spese per la raccolta dei rifiuti nelle campagne, i danni al turismo, e agli investimenti. Ma chi c’è dietro questo sistema malato? Cosa ci guadagna?».
Effetti certamente catastrofici provocati dal sistema di gestione dei rifiuti se moltiplicassimo l’evasione della Tari per tutti i comuni della provincia: effetti di cui beneficia qualcuno, mentre tutti gli altri pagano con la salute e con la deturpazione di un volano culturale, sociale ed economico per il territorio.
Secondo Napolitano, diventerebbe sempre più necessaria l’esigenza di incrociare i dati fra le residenze e chi effettivamente paga la tassa sui rifiuti per iniziare a contrastare in maniera efficace il problema.
«La via Appia Antica» si legge nella nota della giunta comunale di Brindisi «costituisce un capolavoro del genio creativo umano per la lunghezza del percorso, attraverso quattro regioni: Lazio, Campania, Basilicata e Puglia, e per la particolarità della tecnica costruttiva»: ma di creativo, oggi, c’è soltanto tanta immondizia, indignazione e criminalità.
Scarpe, frigoriferi, mobili, cartoni, lavandini, materiale di risulta, televisori, sedie, divani, copertoni di auto, amianto: un lungo elenco di rifiuti, così quanto l’inciviltà di alcuni cittadini e imprenditori, che ha dovuto vedere il giornalista e scrittore Paolo Rumiz, nell’estate del 2015, quando ha percorso interamente a piedi i 612 chilometri di via Appia partendo da Roma per arrivare a Brindisi. Un lungo grande viaggio che ha raccontato e illustrato con le mappe di Riccardo Carnovalini nel suo libro «Appia».
612 chilometri di strada laica e italiana, scolpita nella pietra e percorsa nei secoli da legionari, carri armati, mercanti, camionisti, prostitute, imperatori, poeti: un simbolo del Sud, e degli innamorati d’Italia, ritrovato e consegnato al Paese.
Se la richiesta posta dal comune di Brindisi dovesse essere accettata, la Puglia avrebbe il suo quinto luogo del patrimonio Unesco e l’Italia, con il maggior numero di siti inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità, salirebbe a quota 55: la via Appia sarebbe pari al Castel del Monte di Andria, ai trulli di Alberobello, al Santuario di San Michele Arcangelo di Monte Sant’Angelo e alla riserva naturale della Foresta Umbra.
Una scommessa, la riscoperta della nostra identità, a due passi dalla città ellenistica di Muro Tenente, seppellita da dieci chilometri di immondizia.