Theodoro unì brindisini e greci

di Giancarlo Sacrestano

San Teodoro d’Amasea (Turchia), lo sappiamo, è insieme a San Lorenzo da Brindisi, il Santo patrono della città messapica. Non tutti sanno però che egli sostituisce un precedente patrono, San Leucio, che è stato il primo vescovo della città, perché ritenuto troppo buono e mite, specchio della identità della città, già nota alle cronache antiche, come luogo della pace e della convivialità cordiale. Non è forse vero che il nome della città, è da sempre sinonimo di saluto augurale?

Nel 1480, vuole la leggenda, al Santo d’Amasea – le cui reliquie erano già presenti in città dal lontano 27 aprile di non si sa quale anno, forse 1212 o come più agevolmente piace pensare del 1225, guarda caso in concomitanza con il massimo splendore dell’imperatore Federico II Svevo – viene attribuito il miracolo di aver fatto scampare la città dalla invasione dei turchi che per l’occasione dovettero ripiegare su Otranto sottoponendo quella città al massacro di ben 800 persone! Al Santo soldato, quindi, i brindisini ritennero di poter affidare da allora le loro sorti, avendo egli, più del mite e pio Leucio, saputo difendere le ragioni dei brindisini.

E’ proprio il caso di stendere un velo di pietà sulla incongruenza teologica di un santo che si erge a giudice tra gli uomini e sceglie chi deve e chi non deve sostenere. Ma questa è questione che come si comprende non appartiene ad un blogger. Quello che ci interessa è che il cambio di patrono avvenne perché una città chiusa nella povertà, relegata alla periferia più estrema del regno, era morta e sepolta sotto la fanghiglia di un porto impaludato e puteabondo. Risale al 1485, il primo intervento di politica economica e finanziaria per sostenere la città.

Fu voluta dai regnanti spagnoli che ritennero Brindisi una “no tax area” sovvenendo con fondi e agevolazioni nel tentativo di ripopolarla. Coincide con l’introduzione della devozione al Santo soldato e l’arrivo sulle sponde brindisine di greci, albanesi e dalmati. Da fratelli, perché questo erano, costruirono qui le ragioni di un territorio, insieme ai giannizzeri e agli ebrei. Brindisi, porto di speranza è luogo che troppo è sconosciuto, che troppo è violentato, che troppo è persino vilipeso dagli stessi brindisini. Nella foto a margine di questo “sfogo” il momento solenne dell’incontro, sulla scalinata virgiliana, dei brindisini con i Santi Patroni. Approdati dal mare con una processione suggestiva di ogni tipo di imbarcazione, i Santi vengono accolti ed ancora una volta a loro vengono tributati i saluti più intensi, e tra le loro mani vengono riposte le speranze e le preghiere di una comunità. Il sindaco pone tra le mani dei Santi, le chiavi della città.

E’ segno incontrovertibile. Scambio di fiducia intima e profonda. Ognuno, e non è il caso che qui lo sottolinei, di origine giannizzera, greca, albanese, dalmata, ebrea che sia – E’ BRINDISINO! – e con atto di devozione prega o applaude o semplicemente rispetta la memoria delle ragioni di questa nobile ed antica comunità. E’ parte integrante della tradizione che la città saluti i Santi con uno spettacolo pirotecnico, nel cielo sul porto, sulle sue acque sempre tranquille e accoglienti i colori scintillanti dei fuochi d’artificio, invitano ognuno, nel frastuono e nella immaginazione a prendersi carico per intero della responsabilità di essere parte di una comunità di persone che traguardano lo stesso obiettivo.

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