Ottanta nostalgia: l’ossessione da cui non riusciamo a guarire

Al grido di “Who you gonna call?” non importa da dove veniamo, né se siamo nati quando già esisteva il computer, risponderemo tutti “Ghostbusters!” forse anche con una lacrimuccia che ci irrora il viso.
È il 2019 e, che lo abbiamo vissuti o no, siamo tutti irrimediabilmente malati di anni 80.
Nei cinema assistiamo a remake, reboot, omaggi o che dir si voglia. Spesso la sensazione è quella che siano finite le idee, gli spunti e quel pizzico di sperimentalismo che da sempre permette al cinema di andare avanti.
Attualmente, il tempo sembra essersi fermato e nessuno osa staccare il cordone ombelicale da quelli che, a detta di tutti, sono stati gli anni d’oro della società.
Basta prendere ad esempio Stranger Things, che con i suoi mille riferimenti, citazioni e colonne sonore disco, fa un’incredibile operazione di fan service, ovvero da al pubblico esattamente ciò che chiede. E quello che chiede il pubblico è una buona dose di vintage.
Intanto, tutto intorno siamo circondati da remake: nel 2016 usciva una deludente versione di Ghostbusters che era riuscita solo a scaturire l’odio e il razzismo da parte del pubblico (questo per certo pare non essere ancora passato di moda). Il 2019 è l’anno della Disney, con le riproposizioni di tutti i più grandi classici di animazione. Persino l’acclamato “A Star is Born”, amato dai fans e divinizzato agli Oscar udite udite, non è altro che una copia moderna del più originale omonimo già riproposto plurime volte in quel di Hollywood. E infine, a breve assisteremo alla rinascita di un altro grande classico: Man in Black, stessa dinamica, attori diversi.
La domanda dunque rimane una: “Perché non riusciamo a lasciar andare gli anni 80?”
Era il decennio che precedeva la grande rivoluzione tecnologica, era tutto da scoprire e i paesi occidentali vibravano di ambizione e curiosità. Da qualche parte si legge che erano gli anni in cui si smise di voler cambiare il mondo e si cominciò a farlo davvero.
Alle persone piace rifugiarsi nella cultura pop e nerd di quegli anni perché è rassicurante.
Chi li ha vissuti ha visto un periodo di splendore: a parte le tensioni geopolitiche in atto, la società stava vivendo una rivoluzione. Le donne cominciavano ad esprimere davvero la loro autenticità sia nello stile che nel modo di vivere, la musica prendeva ritmi sempre più dance e la tv non trasmetteva più solo programmi ma veri e propri tormentoni. I confini non sembravano più essere tanto minacciosi e i primi germi di globalizzazione cominciavano a farsi strada.
C’è chi, come Steven Spielberg lo ha definito come il tempo dove “non esisteva lo stress ed era tutto semplice”. Davanti all’orrore a cui assistiamo tutti i giorni, non possiamo che essere d’accordo, forse davvero non esistevano preoccupazioni o forse non si possedevano ancora i social network, che oggi ci costringono, con sfacciata brutalità a guardare il mondo così com’è, spesso senza paillettes né fantasie sgargianti.
E allora negli anni 80 si stava meglio solo perché così credevamo e niente sembrava darci torto.
Nel 2019 invece, alla ricerca di un breve ma piacevole momento di illusione sottoscriviamo un abbonamento su Netflix.